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Adesso i playoff in Serie A non sono più esclusi. Ma perché si parla di Spadafora e non dell'unico punto che conta?

Adesso i playoff in Serie A non sono più esclusi. Ma perché si parla di Spadafora e non dell'unico punto che conta?TUTTO mercato WEB
mercoledì 6 maggio 2020, 00:21Editoriale
di Tancredi Palmeri

Non può essere un caso se anche in Premier si sono sollevate 20 mani contro il protocollo per fare riprendere il calcio, contestandolo. 20 mani che non sono contro la ripresa – ché nessuno lo è a prescindere – ma contro il punto nodale: ovvero il prosieguo normale dell'attività qualora si incontri un nuovo positivo tra i membri di una squadra, con la quarantena imposta solo per il nuovo contagiato e non per tutta la rosa (nonché pure per gli ultimi avversari affrontati dalla squadra del positivo, qualora la positività sia temporalmente vicina all'ultima partita disputata).
Non può essere un caso che le 20 mani siano quelle dei medici sociali delle 20 squadre di club della Premier.
Non può essere un caso che la stessa cosa sia avvenuta in Italia o quasi, dove 17 medici su 20 della Serie A (esclusi quelli di Juventus, Lazio e Genoa) hanno contestato proprio questo punto nodale.
Non è un caso che nella dialettica sul protocollo ci siano da una parte Figc, Serie A, il calcio, e dall'altra parte il Governo rappresentato dal Ministero dello Sport sulla base della consulenza del Ministero della Salute e del Comitato Scientifico, e che guarda caso l'unica frangia del calcio che si smarchi da questa dicotomia sia solo quella dei medici di calcio.
Non è un caso che guarda caso non solo i medici sociali di calcio sarebbero la parte appunto più scientifica del frangente calcistico, ma sarebbero i responsabili prima etici ma soprattutto penali nell'eventualità di nuovi casi positivi conseguenti alle prime positività, e che dunque ci pensino una dieci cento diecimila volte prima di dare il loro benestare a una cosa che non ha logica.
Non è un caso che muovano questo appunto, e non sono certo rincretiniti per andare contro i loro datori di lavoro.
Non è un caso che l'Inail abbia contrassegnato i calciatori tra i lavoratori più a rischio: perché i calciatori non è vero che siano dei lavoratori a rischio come gli altri: in nessun altro lavoro contemporaneamente non si può né applicare il distanziamento sociale, né utilizzare le protezioni personali basiche. Aggiungendo che il tutto viene mischiato dalla naturale promiscuità di campo e di spogliatoio, con il maggiore pericolo del droplet del sudore.
Non è un caso che dopo l'editoriale che scrissi una settimana fa, raccontando che molti calciatori in privato esprimevano la loro paura per la ripresa, dopo nell'ordine: Gary Neville – rispettatissimo tra i giocatori in Inghilterra – abbia raccontato che anche tra i calciatori della Premier c'è paura; che Sergio Aguero a ruota lo seguisse affermando la stessa cosa; che, in ordine sparso, la rosa dell'Eibar in Liga – autonomamente dalla proprietà – abbia fatto un comunicato durissimo denunciando il loro terrore di essere in balia di un sistema insicuro che rischia di portare il contagio nelle loro case; che l'Erzgebirge, squadra di B tedesca, dopo aver trovato un positivo tra le proprie fila, abbia deciso di mettere tutti in quarantena, nonostate il protocollo tedesco gli consentisse di continuare tranquillamente.
Non è un caso forse infine che da giorni il tema principale per la ripresa del calcio sia la supposta antipatia o simpatia del ministro Spadafora per il momento. Perché buttarla in caciara parlando di polemiche, facendo un referendum ad personam, è la maniera migliore per non affrontare il problema.


Se davvero fosse questo il problema, il calcio italiano non avrebbe che una maniera: approvare immediatamente il protocollo del governo, e dunque indirizzarsi verso la ripresa, e in questo caso scoprire il supposto bluff del ministro.
Approvate quello che chiede il governo sulla sicurezza personale, non date alcun alibi. Perché non farlo?
Ma il punto non è mai stato il cardinale, il ministro o il suo ministero, per dirla alla Benigni.
Il punto è stato che il calcio sta sperando che il polverone alzato possa aiutarlo ad aggirare, anziché affrontare, quello che da sempre è stato l'unico scoglio insormontabile del protocollo.
Una sorta di melina aspettando i rigori sullo 0-0, ma niente si è smosso nel frattempo.
E così il calcio adesso, dopo aver aspettato inutilmente 60 giorni senza decidere mezza cosa che sia mezza, comincia a temere davvero di non riuscire a smuovere il punto.
Mancano 19 giorni al 25 maggio, la scadenza in cui bisognerà comunicare alla Uefa l'eventuale cambio di formato, ovvero l'adozione dei playoff.
Opzione rifiutata sdegnosamente un mese fa. Il motivo vero? Perché le tv hanno comprato 124 partite ancora da disputare, e invece così ne avrebbero solo una trentina, e dunque comincerebbe il balletto legale su una proporzionale riduzione di pagamento.
Ma l'opzione prima totalmente rifiutata, adesso è tornata sul tavolo, proprio come piano B se non si riuscisse a modificare il protocollo.
Solo la paura fa prendere decisioni.
Non è un caso.

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