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Il potere di attrazione del Barcellona. Perché in Catalogna possono permettersi Gundogan, Lewa e Joao…

Il potere di attrazione del Barcellona. Perché in Catalogna possono permettersi Gundogan, Lewa e Joao…TUTTO mercato WEB
mercoledì 6 settembre 2023, 15:10Editoriale
di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio

“Il Barcellona è l’esercito non armato della Catalogna”. Lo scrittore Manuel Vazquez Montalban, in uno dei suoi romanzi più celebri, “Il centravanti è stato ucciso verso sera”, parla del Barça e del suo vincolo straordinario con il territorio, non solo la città ma tutta la regione storica della Catalogna. Radici profonde che fanno della squadra, “més que un club”, più di un club, traducendo proprio dalla lingua catalana, che è anche il primo idioma delle comunicazioni verso l’esterno del Barcellona. Sempre Vazquez Montalban, scomparso improvvisamente nel 2003, in un'intervista diceva: “Con la crisi di identificazione delle società attuali, le squadre di calcio si sono convertite quasi in referenti politico-religiosi, sono l’unica possibilità di partecipazione di massa, di integrazione, di vincolo”.

È un vincolo appunto unico quello lega il Barcellona col suo territorio. Senza arrivare al legame col catalanismo esplicito, indipendentista, per certi versi estremo, deriva alimentata dal primo mandato del presidente Laporta, e molto sentito da diversi giocatori catalani del Barça (Pep Guardiola in testa, uomo che in ogni aspetto della vita non si nasconde dietro a un dito e legittimamente mostra le sue opinioni anche extra terreno di gioco), il club rimane un quasi un unicum per quello che rappresenta.

Nelle ultime ore Joao Cancelo e Joao Félix sono atterrati al Prati De Llobregat coronando un sogno che da tempo covavano, quello di indossare la maglia blau-grana. Ultimi di una lista di assoluto valore tecnico che negli ultimi anni ha compreso giocatori come Gundogan, arrivato lui pure questa estate, e Robert Lewandowski. Quest’ultimo ha forzato tantissimo l’uscita dal Bayern per approdare in Catalogna. Alcuni non hanno capito come un titolarissimo della squadra bavarese, che avrebbe mantenuto a vita la maglia numero 9 del Bayern avesse potuto scegliere di andare in un club indebitato e pieno di scandali come il Barcellona, che peraltro aveva detto addio, in maniera decisamente poco elegante, da Leo Messi.

Eppure quegli scandali etico-finanziari che mostrano gli strascichi ancora oggi (il DS Deco ha pubblicamente ringraziato Cancelo per il sensibile ritocco al ribasso dell’ingaggio, altrimenti legalmente non potevano permettersi la regolarità del trasferimento, ultimo di una lunga serie di “favori” chiesti ai giocatori in questi ultimi anni), sembrano toccare poco o nulla, l’incredibile prestigio calcistico che il Futbol Club Barcelona ha costruito, soprattutto dopo l’avvento di Johan Cruyff, l’uomo che ha calcisticamente fatto la rivoluzione due volte, prima da giocatore e poi da tecnico, ovviamente sempre in riva al Mediterraneo dopo aver abitato i canali di Amsterdam.

Quell’appeal, quella sensazione di diversità, di prestigio, di grandezza, accompagna il Barça, nonostante nemmeno l’attuale dirigenza abbia esplicitato nemmeno una dura condanna della giunta direttiva precedente, guidata dal presidente Bartomeu, e altamente colpevole dei disastri economico-finanziari degli ultimi anni. Una vergogna universalmente riconosciuta, eppure che non sembra scalfire l’attenzione di grandi giocatori, che l’uniforme del Barcellona vogliono continuare a indossarla.

Se è vero che la narrazione culturale non è per forza sovrapponibile a quella calcistica, certamente la rinforza, palesando appunto un concetto di seduzione che in primis i grandi calciatori subiscono. Gundogan è stato protagonista eccezionale di un club che ha vinto la Champions League e che è allenato dall’allenatore che più ha inciso negli ultimi lustri, eppure sceglie di provare l’esperienza al Barcellona, probabilmente anche in un ottica che lo vede come futuro allenatore. Sembra che quei giocatori che possiedono una finezza tecnica vogliano frequentare il Camp Nou (o, come in questa occasione, lo stadio Olimpico di Montjuic, vista la restaurazione dello storico stadio), quasi considerandolo un luogo epico che non può mancare nella loro carriera. Almeno un anno lì, lo devo fare, si dicono in tanti. Nonostante non sia più la squadra di Messi e Pep, e che il legame storico con il padre fondatore lo ha giusto in Xavi, che per quanto carismatico, oltre che catalanissimo ( e questo comunque conta molto lì) non ha ancora persuaso tutti per essere considerato al livello dei suoi maestri, nonostante la Liga vinta bene lo scorso anno.

Quella cultura di calcio nata sostanzialmente da Cruyff vive una perenna primavera, ed è accompagnato anche da quel fascino della creazione di calciatori in casa, come fu, appunto, per Guardiola e Xavi, ed è oggi per Gavi (un 2004 che ha toccato domenica scorsa 100 -!- presenze con la prima squadra del Barça) e Lamine Yamal, 2007 di origini marocchine ma nato e cresciuto in Catalogna, che si è già presentato come la nuova grande superstar made in Masia, lo storico centro di allenamento giovanile del club.
Il Barcellona, agli occhi soprattutto degli addetti ai lavori, rimane “més que un club”, come scrivono più o meno ovunque. Questa credibile narrazione, evidentemente suffragata da uno stile di gioco chiaro e identitario ha fatto sì che anche nei momenti di tempesta, il Barça rimanesse una squadra dall’elevato charme.

Non è una cosa da poco, anzi forse è proprio tutto lì. Un arcano che non ha ulteriore svelamento, se non quello della cultura del gioco, il rispetto del calcio. Qualche mese fa, Pep Guardiola ha detto: “Io posso allenare qui in Inghilterra, o altrove, ma se un giorno il Barcellona chiama, io risponderò che ci sono. E’ il club della mia vita”. Chissà tra quanto chiamerà. Perché c’è che al di là della cultura, della storia, dell’esercito disarmato, al Barcellona sanno scegliersi bene pure i testimonial della loro narrazione. Unica, davvero. Ma non irripetibile: ci pensino i grandi club italiani: richiamare storia e tradizione vale la pena. L’esempio è abbastanza visibile. Oltre che vincente.

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