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La retorica di chi vuol fermare il pallone, un indotto da quasi 5 miliardi. Il calcio non è solo Ronaldo ed è alla base di quest'Italia alla deriva

La retorica di chi vuol fermare il pallone, un indotto da quasi 5 miliardi. Il calcio non è solo Ronaldo ed è alla base di quest'Italia alla derivaTUTTO mercato WEB
domenica 12 aprile 2020, 09:05Editoriale
di Marco Conterio
Nato a Firenze il 5 maggio del 1985, è caporedattore e inviato di Tuttomercatoweb.com. In passato firma per Il Messaggero e per La Nazione, speaker per RMC Sport e per Radio Sportiva

Non so cosa verrà dopo e detesto la retorica. La ripudio, schiava di cliché, avida di gretta banalità. "Prima la salute", ma poi? Siamo nell'epoca del buio oltre la siepe e neanche della Pasqua coi tuoi, con chi vuoi. Siamo soli, mura e spirito, quando regge, finché c'è l'animo. Perché c'è una lotta dura da combattare al fronte, e quella conta, quella prevarica, quella vale. Ma se solo quella vale, allora qui ci fermiamo. Riposiamo in attesa della luce, preghiamo, confidiamo e non reagiamo. Invece no. E' una questione di leggerezza e superficialità, maneggiare con cura la nostra vita è l'insegnamento di questa tragedia. Quel che sarà dopo non è dato saperlo, come il ciclista d'un tempo, in fuga tra la pioggia, che non ha studiato il percorso, che valica la montagna e si butta in picchiata, verso nuove discese, valli, tramonti. Siamo stati onesti gregari, e per il disonesto ora non c'è giustificazione. Siamo a portar le borracce, le mascherine, i guanti di sfida alla morte. A farci esami di coscienza con le nostre musiche e silenzi. Cosa conta? Quanto, conta? E via discorrendo e pensando, con orologi fermi o almeno pare, con lancette lente, così sembra.

Il virus è un'infinitesimale particella di male che ci ha tolto la grandezza del tutto
. La vita. La libertà. La libertà di viverla, questa vita, e l'importante è saper commisurare il dolore e la sofferenza e riportarla alla realtà. Delle bare che scorrono in una processione straziante, degli uomini soli che piangolo la propria solitudine, delle donne e dei figli, delle madri e dei nonni. A ciascuno il suo, l'importante è la bilancia. Nessun dorma, in queste notti di pensieri, ma nessun dramma, quando la luce c'è. Sicché, e torniamo a noi, anzi iniziamo a farlo, basta col calcio che è guerra. Battaglia. Scontro. Così vorrebbe anche il tifoso che nel rifugio del suo essere uomo, ha l'appiglio del pallone. Milioni così in questo stato e soffocare l'anima è esercizio di puro masochismo. Priorità, dicevamo. Il mondo del pallone le ha perse, tra un portavoce che discorre di complotti, un presidente che conta le monete, uno che pensa alle cause e mai agli effetti.

Ripartire. Certo che è lecito pensarci, perché se c'è stato un prima, c'è un oggi che trema ma la realtà si costruisce solo col futuro. Coi mattoni. Servirebbe Bergamo, che ha però altri pensieri, per costruire le nostre fondamenta. Chiuder bottega significherebbe costringere un indotto al fallimento. Un indotto da 4,7 miliardi, di cui 1,2 al fisco, secondo il bilancio integrato della FIGC del 2018. E se chi è nelle stanze di quei bottoni grandi e dorati non ci pensa, perché luxury first, comunque quelle saranno decisioni a cascata. Siamo l'ultimo scoglio sotto il Niagara, noi che battiamo tasti, i Dilettanti che prendono lo sponsor della pizzeria in piazza o dell'elettrauto all'angolo. Però la vita è un fiume che scorre e prima o poi bagna o travolge tutti. C'è da sperare che a monte, da chiederlo piuttosto, vengano issate dighe e che ci sia un progetto perché il mondo del calcio, che è la terza azienda del nostro paese, non s'alluvioni.

La Serie A si salverà, alla deriva ma con tante scialuppe a cui aggrapparsi. In fondo nel Mediterraneo navigano in tanti. La B forse, le prenderà avida la scia, perché in quel mare è poco dolce naufragare. Da lì in poi il buio, tra una C che era già balbuziente, da una D in poi che vivono aggrappate a una speranza. Quando riprendere a giocare, si chiedono in Lega? Quanto tagliare di stipendi? Che mercato fare? Il mondo viaggia a troppe velocità per prendere l'abbrivio giusto, per saltargli sopra. Ora c'è una data, pare, sembra. 4 maggio, per tornare a sudare, col Governo che tratta il calcio come qualcosa di ludico anziché come un movimento che porta soldi e pranzi e cene a tanti italiani. Non prima, nessuna concessione di quelle richieste dal carrozzone a chi è nelle stanze dei bottoni.Poi una stagione che sarà un tour de force, tre partite a settimana, tutte a porte chiuse, fino all'assegnazione del titolo più paradossale della storia. La logica avrebbe voluto che tutto si fermasse ma così non è stato. Così non sarà. Così non può essere. Il calcio è un treno che potrà anche rallentare, virare direzione, ma non può fermarsi. Altrimenti deraglia e, con lui, per primi, tutti quelli che dal basso con lui vivono, campano, e tirano avanti. Sicché niente retoriche o ipocrisie, che il pallone vada avanti è interesse di moltissimi che fan parte del suo indotto. Lo farà a porte chiuse, segno che va protetto l'investimento alla faccia della passione. Non è questo il momento di ripartire, ora è l'ora delle scialuppe. Non so cosa verrà dopo ma so una cosa. Che dovrà ripartire, tutto, con dei principi migliori. Più sani. Meno legati all'investimento e dell'uomo, e dunque anche del tifoso, chi se ne importa. Sarà retorico, questo. Ma è quel che ci serve.

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