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Piccareta: "Emigrante in panchina, da Wembley alla Finlandia. Ma ora la Roma..."

Piccareta: "Emigrante in panchina, da Wembley alla Finlandia. Ma ora la Roma..."TUTTO mercato WEB
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport
venerdì 31 luglio 2020, 08:45La Giovane Italia
di La Giovane Italia
La Giovane Italia vi porta alla scoperta dei nuovi talenti del calcio italiano, raccontandovi ogni giorno, alle 8:45, le storie dei giovani di casa nostra e dei club che scommettono su di loro

Fabrizio Piccareta è un vero e proprio giramondo del pallone: dopo una carriera da calciatore, iniziata nel vivaio della Sampdoria (dove è stato anche agli ordini di Marcello Lippi, in Primavera), e proseguita nei campi della provincia tra Serie D e Promozione, dal 2004 è diventato allenatore, iniziando nelle giovanili dell’Inter. Dopo essere stato nello staff nerazzuro, Piccareta è volato oltremanica come vice di Paolo Di Canio allo Swindon Town, centrando la promozione in League One e sedendo anche in panchina a Wembley, nella finale di EFL Trophy (la coppa di lega delle serie minori del calcio inglese), perdendo in finale contro il Chesterfield. L’anno seguente, con lo Swindown primo in classifica anche in League One, quando Di Canio lasciò per dei dissapori con la nuova società, Piccareta lo seguì nelle dimissioni e nella successiva esperienza al Sunderland, in Premier League. Poi, dopo un periodo in Portogallo, all’Olhanense, è volato in Finlandia (all’Inter Turku, dove ha vinto la Coppa di Finlandia e disputato i preliminari di Europa League). Alla fine però, il richiamo dell’Italia è stato irresistibile: oggi Piccareta allena l’Under 17 della Roma, che prima della sospensione dei campionati era in testa al girone C. E a La Giovane Italia ha raccontato la sua vita da emigrante (di ritorno) del pallone.

Mister, prima della sospensione stavate dominando il campionato. Hai qualche rimpianto?
“Beh l’amarezza di non finire la stagione c’è perché pregustavo la possibilità di tentare di rivincere il campionato dopo la finale persa del 2019. Il dispiacere più grande però è legato alle aspettative dei ragazzi, dotati di grandi doti tecniche e caratteriali. Li vedevo proiettati verso l’obiettivo finale, e so che avremmo avuto la chance di arrivare fino in fondo. Mi spiace per quello e per non aver avuto la possibilità di giocare i classici tornei di fine stagione, in cui ti misuri contro le squadre più blasonate d’Europa. È un peccato perché sono situazioni che fanno crescere i ragazzi".

Quando inizierete la prossima stagione?
“Se tutto va come deve, il cinque agosto iniziamo la preparazione e, in teoria, il 20 settembre dovrebbe ricominciare il campionato. Ovviamente riprenderemo secondo le norme di sicurezza che verranno imposte. Spero potremo allenare i ragazzi nel modo più normale possibile".

Com’è stato sedersi in panchina a Wembley?
“Penso sia un’esperienza irripetibile. Finale di JP Trophy, la Coppa di Lega della Football League, che organizza League One e League Two. La differenza con la nostra Coppa Italia di Lega Pro è che quel giorno allo stadio c’erano 52.000 spettatori. Perdemmo 2-0 contro il Chesterfield ma vincemmo il campionato e venimmo promossi in League One. Eravamo primi in classifica e nonostante fossimo lanciati per vincere il campionato ci fu il cambio di proprietà del club. Ne nacque un conflitto con Paolo (Di Canto, ndr.), che non andava d’accordo con la nuova proprietà, e quando decise di dare le dimissioni lo seguii a ruota".

E poi sei arrivato in Premier League.
“Ci vorrebbero due ore per parlare di tutte le sfaccettature del campionato inglese, perché è il calcio alla massima potenza. L’estate precedente l’inizio della Premier andammo a fare una tournée ad Hong Kong con Manchester City, Tottenham e una squadra locale. Arrivati lì, ognuno di noi, dai giocatori ai membri dello staff, aveva una suite personale a disposizione. Questa è la Premier League: hai tutto al massimo. Tutte le trasferte venivano fatte in aereo, anche le più brevi e avevamo sempre a disposizione il meglio. Tutte le persone che lavorano nel calcio inglese hanno un’umiltà, un rispetto per le persone e per il gioco in sé importantissime".

Prima di andare alla Roma sei stato in Finlandia, all’FC Inter Turku. Cosa ti ha portato a scegliere un’avventura così particolare?
“Io credo che chi alleni come me cerchi di non restare mai fermo e di rimanere nel giro. Quando Di Canio ha deciso di smettere di fare l’allenatore mi sono trovato nella condizione di avere maggiori possibilità di scegliere il mio destino. Non ho mai avuto paura di prendere la valigia e partire. In quel momento ero osservatore per le nazionali giovanili, cosa che mi faceva piacere ma non era la mia aspirazione. Fu in quel momento che mi chiamò Shefqi Kuqi (ex attaccante di varie squadre in Inghilterra, ndr.), mio compagno all’UEFA Pro ad Edimburgo, che mi chiese di andare a fargli da vice. Quando dovette lasciare mi venne offerto il posto di capo allenatore e io accettai. Si tratta di un calcio minore a livello tecnico, ma come strutture e come organizzazione non ha niente da invidiare a nessuno. In Finlandia ho visto grande serietà e fu facile accettare, aiutato anche dalla mia famiglia che si rese disponibile a seguirmi. Se non fosse arrivata l’offerta della Roma probabilmente sarei ancora lì, perché mi trovavo bene".

C’è stato qualche giocatore che ti ha lasciato qualcosa più di altri in questi anni all’estero?
“Ho avuto la possibilità di allenare un campione come John O’Shea, che nonostante avesse già vinto tutto col Manchester United mostrava una professionalità e un’umiltà uniche. Avere giocatori come lui ti fa crescere come allenatore, così come mi è successo con giocatori come Wes Brown, Larsson, lo stesso Giaccherini, Fabio Borini. Mi hanno lasciato tanto e mi hanno confermato che il mondo del calcio inglese è il meglio a cui possono aspirare professionisti come noi".

Pensi mai di tornare ad allenare una prima squadra?
“In realtà, mi trovo molto bene ad allenare i giovani, ma anche perché sono parte di un grande settore giovanile. Al momento stare alla Roma mi appaga molto. Chi fa questo mestiere da tanti anni deve essere in grado di distinguere tra le proprie aspettative e quello che offre il mercato. Magari un giorno mi arriverà un’offerta su cui riflettere, ma io in questo momento sono alla Roma e ci sto bene. Non ho in mente nient’altro".

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