
Chivu nuovo allenatore dell'Inter: tra azzardo, urgenza e DNA nerazzurro. Più un'impreparazione alle emergenze
E chi l'avrebbe mai pensato una settimana fa. Forse qualcosa si è incrinato con lo Scudetto perso, di certo tutti quei milioni (oltre 50 in due anni) gli hanno fatto girare la testa, convinto dal pensiero di aver dato - oggettivamente - anima e corpo all'Inter in quattro anni e in condizioni in cui molti altri - Conte ad esempio - si sarebbero rifiutati di lavorare. Meritandosi una "pausa" nella terra dorata.
La mazzata accusata in finale di Champions League con il PSG ha dato il colpo di grazia e - almeno secondo il presidente Marotta - la decisione di Simone Inzaghi di prendere un volo sola andata per Ryiad, direzione Al Hilal, e lasciare l'Inter è arrivata due giorni dopo i fatti di Monaco.
Ed è qui che l'Inter si è vista spiazzata, spalle al muro e costretta a correre contro il tempo (con il Mondiale per Club a incombere). Ma la verità è che si è ritrovata in balia di un momento di panico generale e nella totale assenza - assurdo ma vero - di un piano d'emergenza da adottare nell'immediato. Il fatto che un club di questo calibro, primo nel ranking UEFA e per tre stagioni in due finali di Champions League, non abbia pensato di riservarsi un dossier da consultare in casi come questo fa riflettere parecchio. Perché presi o meno in contropiede, convinti o meno che Inzaghi sarebbe rimasto, non c'è alibi che regga. Prevenire è meglio che curare, sempre è stato e sempre sarà.
Detto ciò, il no di Cesc Fabregas ha certamente messo i bastoni tra le ruote alla dirigenza, smorzando l'entusiasmo di chi pensava di avere la soluzione in tasca in tempo zero post-Inzaghi. E il presidente Suwarso, con una presa di posizione piuttosto espressiva, ha spinto via l'Inter: "Abbiamo comunicato il nostro rifiuto direttamente al presidente dell'Inter. Difficilmente qualcuno insisterebbe dopo una risposta così chiara, soprattutto un club del calibro dell'Inter".
Di fronte ad un addio e a un rifiuto, con il volo per gli Stati Uniti in programma mercoledì e il Mondiale per Club a bussare alla porta, il presidente Marotta e il ds Ausilio hanno optato per una pista rapida e facilmente percorribile: Cristian Chivu. L'ufficialità ormai è solo una formalità, però i dubbi e le perplessità sono montati immediatamente.
Chiaro, trasuda interismo da ogni poro, da ex guerriero del Triplete e uomo di casa ad Appiano, così come da tecnico homemade nelle giovanili Under 14, 17 e 18 fino alla Primavera nerazzurra l'anno scorso. Ma Chivu non ha mai allenato a certi livelli, né gestito uno spogliatoio con obiettivi ambiziosi e pressioni costanti. Le attese saranno inevitabili, perché in un club come questo è doveroso vincere quanti più trofei possibili. Mentre l'ex nerazzurro dalla sua ha accumulato solo 13 panchine in Serie A, subentrato a Fabio Pecchia al Parma lo scorso febbraio. Riuscendo a salvarlo, sì, e con una difesa a 3 che certamente ricalca lo stampino interista dal 2019. Ma spesso arroccandosi a 5, lasciando a desiderare lo spettacolo per privilegiare la solidità. Basi di partenza che riflettono più una scelta azzardata che un piano d'evacuazione sicuro.
Staremo a vedere, nel frattempo l’ambiente interista - dal club ai tifosi -, com’è nella sua natura, darà a Chivu una chance. A partire dal Mondiale per Club, rodaggio esclusivo prima dell'inizio della nuova stagione. Subito una prova del nove per quantificare anche i danni generati da Monaco all'interno dello spogliatoio. Gli basterà presentarsi con il cuore in mano?
Sicuramente il mercato potrà aiutare, e sarà vitale tanto per Chivu quanto per l'Inter, ormai giunta alla fine di un ciclo. Con certi senatori ormai al capolinea, mentre alcuni giovani (Pio Esposito o Carboni quando tornerà) da valorizzare. Si attendono nuovi nomi - un centravanti e un difensore quantomeno - su quel tabellone luminoso dei nuovi arrivi. Per ora contiamo Sucic e Luis Henrique.







