Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
tmw / juventus / Altre notizie
Doverosi chiarimenti ad un intellettuale napoletanoTUTTO mercato WEB
© foto di Gianfranco Irlanda
sabato 4 marzo 2023, 21:56Altre notizie
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Doverosi chiarimenti ad un intellettuale napoletano

Calcio, Libertà, Napoli, Juventus, Amore, Poesia. “Io, se potessi, scenderei in campo adesso, su un prato o all’oratorio. Perché io amo il calcio”. [Stefano Borgonovo]

A metà dicembre fui invitato, pregiandomi della sua amicizia, dal giornalista Vincenzo Marangio (napoletano) ad intervenire nella sua trasmissione “2 in Bianconero” su Radiobianconera, assieme ad Alessandro Santarelli, per discutere amaramente su un epiteto che il dott. Angelo Forgione (napoletano) affibbiò qualche tempo fa ai tifosi della Juventus nati a Napoli (come il sottoscritto): “disturbati mentali”. Non vorrei dilungami su questo triste e anemico argomento, meravigliandomi soltanto come un napoletano di cultura possa aver detto un qualcosa di così brutto, da tutti i punti di vista. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce i disturbi mentali come “una sindrome caratterizzata da significativi problemi nel pensiero, nella regolazione delle emozioni, o nel comportamento di una persona, che riflettono una disfunzione dei processi psicologici, biologici o dello sviluppo che compongono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono generalmente accompagnati da sofferenza o difficoltà nelle abilità sociali, occupazionali e altre attività significative”. Un’offesa gratuita che da un napoletano, colto ed erudito, non mi sarei aspettato verso suoi concittadini, che hanno solo il “torto” a suo dire, di essere appassionati di una squadra che non è della città natale, bensì della Juventus. Ahimè dico offesa perché tale è secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 46488 dell’11.11.2014. Secondo gli Ermellini, dare del “malato di mente”, quando non è discussione la salute mentale della vittima, ma il riferimento è ad altre sue condotte, e quindi travalicando il senso di uso comune della malattia mentale, equivale a offendere.

Un uomo di cultura, in particolare studioso della “Questione meridionale” e del Sud Italia come evinco da qualche sito e trasmissione televisiva (non possedendo social), non può offendere, e sono certo che il dott. Forgione non aveva questo intento. Probabilmente pose e si pose il “problema”, la domanda, del perché un napoletano potesse tifare una squadra di Torino, la Juventus, patria dei Savoia (del tempo che fu!), senza accorgersi che quell’epiteto avrebbe potuto aizzare e aggiungere ancor più benzina sulla rivalità, spesso purtroppo chiamata odio, addolcito con l’aggettivo “sportivo”, tra il Napoli (e i suoi tifosi) e la Juventus (e i suoi tifosi). La risposta, quella che tentai di dare anche in diretta radiotelevisiva, è semplice: perché siamo uomini liberi, e il calcio e lo sport dovrebbero essere la prima manifestazione della libertà donata e insegnata ai bambini, senza arrière-pensée direbbero i nostri cugini francesi, senza retropensieri storici, politici e linguistici. La libertà di esprimere le proprie convinzioni e le proprie idee è una delle libertà più antiche, essendo sorta come corollario della libertà di religione, rivendicata dai primi scrittori cristiani nel corso del II-III secolo e, successivamente, durante i conflitti tra cattolici e protestanti nel XVI-XVII secolo. D’altra parte, essa è stata sollecitata anche dai grandi teorici della libertà di ricerca scientifica, basti pensare a Cartesio o a Galileo e della libertà politica, citerei Milton, nonché, successivamente, dagli stessi filosofi del XVIII e del XIX secolo quali Voltaire, Fichte, Bentham, Stuart Mill. Va detto anche che in alcuni documenti costituzionali si parla precisamente di libertà di manifestazione del pensiero: art. 8 della Costituzione di Francia del 1848 e art. 21 della nostra vigente Carta Costituzionale. In pratica, il dott. Forgione, da esperto della materia risorgimentale, pone tutta l’attenzione sulla Questione Meridionale, sui soprusi subiti dal Sud da parte del Nord e dei Savoia, e da lì dovrebbe quindi partire l’impossibilità di un napoletano a tifare Juventus. Lettori di tutta Italia, chiedo a Voi: ma vi sembra possibile una cosa del genere? Un bambino che ha la fortuna di nascere a Posillipo, di fronte al golfo più bello del mondo, si appassiona della squadra più blasonata d’Italia, comincia a seguirla, a leggere la sua storia, i suoi campioni; poi all’improvviso studia la “Questione Meridionale” e cambia squadra, semmai rinunciando anche ai gustosi gianduiotti, gustosi cioccolatini a forma di prisma a base rettangolare tanto amati da Rosa Vercellana, meglio nota in piemontese come la Bela Rosin, dapprima l'amante e in seguito la moglie morganatica del re d'Italia Vittorio Emanuele II di Savoia? Mi appello ai Lettori per una giusta riflessione.

Nessuno mette in discussione l’esistenza di una “Questione Meridionale”, ancora esistente per alcuni versi ai giorni d’oggi, figuriamoci all’epoca dei “fatti”.  L’espressione «questione meridionale» indicò l’insieme dei problemi esistenti nel Mezzogiorno d’Italia dal 1861: basso livello di sviluppo economico, diverso e più arretrato sistema di relazioni sociali, debole svolgimento di molti e importanti aspetti della vita civile rispetto alle regioni centrosettentrionali. «Che esista una questione meridionale, - scriveva nel lontano 1911 Giustino Fortunato nel suo Il Mezzogiorno e lo stato italiano - nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C'è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl'intimi legami che corrono tra il benessere e l'anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale.»

Ma tutto questo non significa che un signore napoletano, nato nella più bella città del mondo, non possa tifare per la Juventus. Inoltre, secondo autorevolissimi storici, - tra cui Bonanno, Mack Smith, Lizier -  le cause del problema meridionale vanno comunque ricercate nelle numerose vicende politiche e socio-economiche attraverso le quali il Mezzogiorno è passato nei secoli: nella mancanza di un periodo comunale, suscitatore di energie spirituali e produttive; nella persistenza di monarchie straniere incapaci di creare uno stato moderno; nel dominio plurisecolare di un baronaggio, geloso detentore di tutti i privilegi; nella persistenza del latifondo; nella mancanza di una classe borghese, creatrice di ricchezza e animatrice di nuove forme di vita politica; nella dominazione spagnola, nefasta e corruttrice. Particolare importanza ebbe la quasi sistematica alleanza tra monarchie straniere e nobiltà sulla base del mantenimento del regime feudale; essa, oltre ad alimentare i privilegi di classe, determinò una mentalità statica, un'atmosfera di servilismo che contribuì molto all'ignoranza e alla miseria del popolo. Tale alleanza impedì la formazione di una borghesia attiva e intraprendente. Quindi bisognerebbe, seguendo tali pensieri storici, andare a ritroso, “oltre” i Savoia, oltre il Risorgimento, e dove vogliamo arrivare, a quei signori nelle caverne con la clava per trovare un “motivo” per non tifare Juventus?  

Durante la mia bella chiacchierata con gli amici Marangio e Santarelli, per cercare di smussare gli animi, come tutti gli intellettuali dovrebbero fare e mai instillare odio, parlai del calcio quale argomento poetico, da proporre ai bambini per far sì che l’amore per lo sport e verso i propri compagni prevalga sulle inimicizie e sui rancori.

Pasolini, ad esempio, aveva un legame osmotico con il calcio.  Ci sono nel calcio – diceva - dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico. Oggi direbbe, e dico io, lo è Victor James Osimhen, chapeau al campione nigeriano del Napoli!

Parlai anche di Umberto Saba, e delle sue poesie sul calcio. Con stupore, l’amico Marangio mi ha fatto leggere un post del dott. Forgione, riferito a me nel quale si legge non solo che non conoscevo l’argomento della “Questione Meridionale” per aver detto che non era un buon motivo per chiamare disturbati mentali i napoletani tifosi della Juventus (che i Lettori traggano le loro conclusioni), ma che “Saba non era appassionato di calcio, non ne capiva nulla, e si trovò praticamente a vedere per caso una partita”. Ammesso e non concesso, ma chi ha detto che per scrivere una poesia di calcio si deve essere un allenatore o uno stratega, un Herrera o un Crujiff? Il poeta non ha bisogno di capire, il poeta emoziona, sé e gli altri. Umberto Saba fino ad un certo punto della sua vita è vero non seguiva il calcio. Eppure – scrive Carlo Iacono -  come un Ulisse richiamato dalle muse, avvertì la potenza e la prossimità del calcio alla vita dalle emozioni che trasparivano sul volto del suo ragazzo di bottega, Carlo Cerne. Il fido Carletto, che intratteneva, per definizione di Saba, i clienti strani e che, in futuro, si sarebbe finto proprietario della Libreria Antiquaria quando il poeta dovette nascondersi per la persecuzione degli ebrei, viveva di un umore lunatico ogni lunedì. La domenica, infatti, si recava allo stadio per seguire la Triestina e, a seconda che queste vincesse o perdesse, di lunedì si presentava radioso o afflitto. Volle avvicinarsi, allora, alla cosa più importante di tutte tra le cose meno importanti recandosi allo stadio insieme a Carletto. Lo fece un paio di volte. Bastarono. Dai riscontri, scrive il giornalista, sappiamo che seguì un Triestina-Ambrosiana (1933). In campo c’è Giuseppe Meazza che sbaglia un rigore, e la partita tra quella che era l’Inter, che non si poteva chiamare così per l’Internazionale Comunista, e i padroni di casa finisce zero a zero. Queste poche esperienze fecero si che un uomo non appassionato di sport cominciasse a scrivere di sport, cominciasse a scrivere poesie sul calcio, a trovarle dentro di esso: "Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose". Ecco cosa significa tifare per una squadra, quanto questo basti per far riaffiorare nell'uomo un impulso vitale atavico. Umberto Saba capì che il calcio conteneva tutto, non era poesia, era vita e lui scriveva della vita con le parole giuste per crearla la poesia. Così, nella sezione Parole del terzo volume del suo Canzoniere (1934), troviamo il calcio secondo Saba ne Le Cinque Poesie per il gioco del calcio. Il mondo del pallone che è ritratto, come frutto naturale della sua poetica, è un mondo senza esagerazioni, vicino a quelle che sono le condizioni esistenziali dell'uomo, vero più che straordinario, crudo, esaltante ma anche triste. La partita come metafora dell'esistenza.

Sempre in quel pomeriggio dicembrino, accennai in radio che nientemeno anche Giacomo Leopardi aveva cantato di sport, di “pallone”, nel 1821 scrivendo “A un vincitore nel pallone”: una lirica innovativa e profondamente attuale, che sembra rivolgersi continuamente a un eterno presente. La dedica a Carlo Didimi mostra tutta la lungimiranza di Leopardi, che aveva compreso il forte valore comunicativo insito nell'attività sportiva. Era questo il mio messaggio naturalmente, parlando anche di Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano, Mario Soldati e Giovanni Arpino. Ma anche qui il buon dott. Forgione, sicuramente distratto e credendomi forse completamente rimbambito, ha scritto stamane sul “twitter” di Vincenzo Marangio: “Vincenzo, dai, parli di chi confonde il pallone col bracciale di Leopardi, anno 1821, con il calcio affaciatosi (credo ci vogliano 2 c, sarà errore di battitura) in Italia nel 1891. Cultura un po’ confusa e usata male. Sempre disponibile al confronto, ma ormai avete capito che ho argomenti veri, e ve la suonate/cantate da soli”.

Caro dott. Forgione ma Lei crede davvero che io immagini il conte Leopardi ai tornelli del “Maradona” (ex San Paolo) a fare la fila, per entrare nei distinti, con bandiera, sciarpetta e cuppetiello di noccioline americane da sgranocchiare, o concentrato sul cerchietto di DAZN maledicendolo semmai con splendidi versi? È vero che viviamo in uno stato di confusione permanente, in giro c' è molto chiacchiericcio e poca verità umana, ma fino ad un certo punto… Tanto per essere precisi storicamente, come Ella insegna, la data del 1857 che Lei da sulla nascita del calcio non trova rispondenza. Secondo Paul Dietschy, docente di Storia contemporanea e Storia dello Sport all’Università di Franche-Comtè, le prime regole scritte sul calcio furono sancite nel 1846 all’università di Cambridge. Nel 1857 fu creato il primo club di football della storia, lo sheffield FC e  le prime regole del calcio, embrione di quelle nostrane, risalgono all'8 dicembre 1863 quando la neonata Football Association approvò le 14 regole scritte da Ebenezer Cobb Morley durante una riunione alla Freemasons' Tavern di Londra. Neanche la Sua precisazione sull’affaccio del calcio in Italia nel 1891 trova rispondenze: forse Lei si riferisce all’anno di fondazione dell'Internazionale Football Club, che, si badi bene, non è da confondere con Internazionale di Milano. Ma l’affaccio, come lo chiama Lei, vero e proprio, del calcio in Italia, si comincia a parlare nel marzo 1887, quando Edoardo Bosio, rappresentante a Londra di una ditta commerciale torinese, lo scoprì e tornato in patria organizzò una squadra con i suoi impiegati. Sei anni dopo, nel 1893, un gruppo di inglesi fonda il Genoa Cricket and Athletic Club: capitano, il dottor James Spensley. Soltanto a partire dal 10 aprile 1897, il Genoa ammetterà soci italiani.

Forse un po’ di confusione vera, e oserei dire un po’ di immotivata acredine usata bene però, ha invaso l’animo del dott. Forgione, capita, niente di male, siamo uomini, per fortuna con i nostri errori, i nostri dubbi, le nostre certezze, ma non dobbiamo dimenticare mai nel cassetto l’umiltà, virtù, secondo sant’Agostino, che rende gli uomini simili agli angeli.

Chiede un confronto, il dott. Forgione, sembra un’idea di grande cultura e umiltà, ma poi esclama che i suoi argomenti hanno la verità assoluta, e noi ce la cantiamo e suoniamo…E allora il “confronto” lasciamo che lo facciano i Lettori, e i tifosi d’ogni latitudine. A dir la verità, confronto, che brutta parola… in diritto penale, si intende l’atto processuale consistente nel contraddittorio fra persone già esaminate o interrogate (fra imputati, fra testimoni, fra imputati e testimoni), diretto a stabilire la verità fra dichiarazioni contrastanti già rese dalle persone medesime. Lasciamo stare! Meglio il disinteressato e nobile giudizio del Lettore.

Auguro al dott. Forgione di vivere questo momento meraviglioso, poetico, per il suo Napoli e per la Nostra Napoli, di goderselo attimo dopo attimo, visto che la Storia ci dice che gli azzurri vincono tre scudetti ogni 97 anni. Ebbene non sapendo quale sarà la prossima successione, potrebbe anche essere al 95°, 96° e 97° anno, meglio viverlo ora intensamente, mettendo un po’ da parte inutili ruggini storiche che nulla hanno a che vedere con una bella e sana partita di pallone.

Dimenticavo. Sono nato a Napoli, ho studiato a Napoli, crocevia di millenaria e universale cultura, vivo a Napoli, amo Napoli, tifo Juventus, e difenderò fino a quando avrò vita Napoli, i Napoletani e me stesso da qualsiasi sopruso e da coloro che vorrebbero minare i principi di libertà e amore, e farò da scudo anche contro i nemici più subdoli che hanno la dolce forma di babà, ma che al posto del rum sono imbevuti di veleno!

Con affetto sincero verso TUTTI I COLORI DEL CALCIO

Roberto De Frede