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Azzurri: la meglio gioventù
Maltrattati, sottostimati, poi sopravvalutati economicamente, caricati, criticati. L’Italia che vince non è quella dei nobili che si abbassano a giocare in Nazionale ma di ragazzi che la Nazionale l’hanno sognata. Scorriamo i nomi per capire che solo i pochi eletti che hanno avuto la possibilità di giocarsi le proprie carte senza che a loro fossero preferiti i nomi altosonanti che soddisfano procuratori e mercanti, tifosi da play station e figurina, sono diventati protagonisti del calcio azzurro. A partire dal portiere che già dal nome sembrava destinato a essere un subalterno, Vicario. In silenzio con umiltà, anche quando non veniva utilizzato, ha costruito il suo successo. Noi del Cagliari che lo abbiamo conosciuto non possiamo non prendere atto della sua silenziosa maturità e sicurezza. Una difesa con Di Lorenzo che fino a 24 anni giocava in C con il Matera e che solo una società con un “perché” votato ai giovani come l’Empoli poteva pescare e valorizzare. Con Bastoni, Buongiorno e Calafiori tre ragazzi di una quadratura paurosa, di una determinazione devastante, costanza e autodisciplina.
Valorizzare il nostro settore giovanile, lavorare per farli sentire considerati, sacrificare in strutture invece che sperperare denari in scommesse. Cambiaso e Fagioli sono figli della next generation, di quel serbatoio dalla quale pescare i giocatori che non possono fare il grande salto dei grandi e hanno l’opportunità di stare in incubazione in una squadra intermedia, sentendo costante il profumo del sogno da realizzare, che nessuno gli spegne.
Tonali e Frattesi sono due predestinati che non si sono fatti schiacciare dalle pretese, dal dover diventare fuoriclasse all’improvviso, come chiede il campionato italiano agli italiani. Per chi viene dal settore giovanile, o sei pronto o sei scarso, e solo se non ti perdi riesci a rispondere alle pretese di successo, alle attese e ai soldi chiesti in anticipo per poter calcare le grandi scene.
Raspadori come Frattesi, frutto del momento d’oro del Sassuolo che aveva sposato la filosofia dell’Atalanta, sfornando giovani con la testa sulle spalle, disposti a divertirsi con sacrificio e abnegazione, secondo i canoni di chi guarda al calcio come uno sport dove l’atleta deve curare talento, fisico e tattica, sì, ma anche capacità intellettive e emotive, resistenza alla fatica, convinzione e autostima, coraggio e nessuna paura di sbagliare. Sbagliare è imparare. Viene prima di una nuova abilità e solo con pazienza e disponibilità, lasciando che il percorso si realizzi, che si succedano i comportamenti virtuosi, divengano successo.
Sono le caratteristiche anche di Lucca, Maldini, Ricci e Udogie. I magnifici 15 ai quali si è aggiunto il solo Retegui di matrice straniera ma di concretizzazione bergamasca, guarda caso.
Non è la vittoria per 4-1 su Israele che porta a giudizi di tanta positività, ma vedere che sono il prodotto dei nostri vivai, quelli più virtuosi a regalarci divertimento. Una prospettiva nuova che è nuova quanto l’acqua calda sulla quale però nessuno può speculare. Non è la vittoria ma la dimostrazione di quale è la strada del cambiamento. La ricetta di Nonno Thomas Arnold che nello sport aveva visto l’alternativa appassionata alla creazione di uomini e donne di successo, attraverso percorsi di valori e non solo di valore.
Valorizzare il nostro settore giovanile, lavorare per farli sentire considerati, sacrificare in strutture invece che sperperare denari in scommesse. Cambiaso e Fagioli sono figli della next generation, di quel serbatoio dalla quale pescare i giocatori che non possono fare il grande salto dei grandi e hanno l’opportunità di stare in incubazione in una squadra intermedia, sentendo costante il profumo del sogno da realizzare, che nessuno gli spegne.
Tonali e Frattesi sono due predestinati che non si sono fatti schiacciare dalle pretese, dal dover diventare fuoriclasse all’improvviso, come chiede il campionato italiano agli italiani. Per chi viene dal settore giovanile, o sei pronto o sei scarso, e solo se non ti perdi riesci a rispondere alle pretese di successo, alle attese e ai soldi chiesti in anticipo per poter calcare le grandi scene.
Raspadori come Frattesi, frutto del momento d’oro del Sassuolo che aveva sposato la filosofia dell’Atalanta, sfornando giovani con la testa sulle spalle, disposti a divertirsi con sacrificio e abnegazione, secondo i canoni di chi guarda al calcio come uno sport dove l’atleta deve curare talento, fisico e tattica, sì, ma anche capacità intellettive e emotive, resistenza alla fatica, convinzione e autostima, coraggio e nessuna paura di sbagliare. Sbagliare è imparare. Viene prima di una nuova abilità e solo con pazienza e disponibilità, lasciando che il percorso si realizzi, che si succedano i comportamenti virtuosi, divengano successo.
Sono le caratteristiche anche di Lucca, Maldini, Ricci e Udogie. I magnifici 15 ai quali si è aggiunto il solo Retegui di matrice straniera ma di concretizzazione bergamasca, guarda caso.
Non è la vittoria per 4-1 su Israele che porta a giudizi di tanta positività, ma vedere che sono il prodotto dei nostri vivai, quelli più virtuosi a regalarci divertimento. Una prospettiva nuova che è nuova quanto l’acqua calda sulla quale però nessuno può speculare. Non è la vittoria ma la dimostrazione di quale è la strada del cambiamento. La ricetta di Nonno Thomas Arnold che nello sport aveva visto l’alternativa appassionata alla creazione di uomini e donne di successo, attraverso percorsi di valori e non solo di valore.
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