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Conte a Sky: "Ecco cosa mi sono detto con ADL! Il motivo per cui sono rimasto. La Juve..."
Oggi alle 07:37Copertina
di Fabio Tarantino
per Tuttonapoli.net

Conte a Sky: "Ecco cosa mi sono detto con ADL! Il motivo per cui sono rimasto. La Juve..."

Antonio Conte ha parlato anche della sua stagione al Napoli e dell'incontro con De Laurentiis a Sky Sport a Federico Buffa Talks: "Per me è stato fondamentale l'anno in cui sono rimasto fermo. Sono rimasto a casa, mi sono messo a studiare veramente tanto col mio subbuteo che c'è sempre. Tante situazioni le rivedo riportandole lì tra fase difensiva e offensiva.

LA PRIMA STAGIONE A NAPOLI - "Io ho firmato un contratto di tre anni. L'obiettivo era costruire basi solide. Il primo obiettivo era il ritorno in Europa, neanche in Champions. Poi al terzo anno prepararci a competere per vincere. Noi abbiamo fatto questo step con situazioni e forze non da vincere lo scudetto. Il fatto di averlo vinto non ha cambiato quello che avevo in testa. 

L'INCONTRO CON ADL DOPO LO SCUDETTO - "Incontro con De Laurentiis? Penso sia il segreto di Pulcinella quello che è successo a gennaio. Durante l'anno alcune cose non mi hanno fatto felice come l'arrivo l'ultima settimana di giocatori come McTominay, Neres, Gilmour e Lukaku. Non mi era piaciuto di base. Poi a gennaio tutti sapete benissimo cosa è successo. Io penso di essere stato molto bravo a incassare, a non dare alibi ai miei calciatori e a me stesso. Quando firmi hai oneri e onori. Nel momento in cui abbiamo parlato mi hanno confermato gli errori commessi ma il primo anno di matrimonio poteva essere più turbolento. Quando ho avuto rassicurazioni da questo punto di vista abbiamo continuato perché c'è uno scudetto da difendere e un lavoro da tutelare.

CONTE E LE VOCI SULLA JUVE - "La cosa che mi è dispiaciuta è che su un eventuale divorzio tra me e il Napoli a un mese dalla fine del campionato si sia parlato di me alla Juventus. Io non avevo alcun accordo con la Juve. A chiunque ha provato ad avvicinarsi ho sempre detto: non parlerò con nessuno fino a quando non avrò parlato con il presidente De Laurentiis. Per me la Juve, era e sarà sempre la Juve così come il Lecce. Nessuno potrà mai inficiare il mio sentimento nei confronti della mia storia, dove sono cresciuto. Mi dà fastidio perché a volte dietro il mio personaggio in tanti ci marciano, perché mi rendo conto che il mio nome è diverso. Anche quest'anno alla presentazione a Napoli in piazzetta iniziano a chiedermi di saltare al 'chi non salta juventino è'. Io li stoppo e dico che non potete chiedermi di fare qualcosa che non farò mai. Ma così come sarà quando andrò via da Napoli. Ci vuole rispetto".

L'IMPORTANZA DELL'EDUCAZIONE - "L'educazione che ricevi dalla famiglia segna te e la tua vita. Soprattutto chi è genitore deve sapere benissimo che abbiamo un compito e nel momento in cui abbiamo dei figli è di educarli, instradarli e fargli capire i valori. L'educazione familiare che ho avuto è stata molto rigida, fin da bambino se volevo qualcosa dovevo comunque dare. Ed è anche l'esempio che porto sul calcio. C'era un patto tra me e i miei genitori: se volevo giocare, dovevo andare bene a scuola. Quindi dovevo dare qualcosa per seguire la mia passione, che poi era anche quella di papà...".

I SACRIFICI PER IL CALCIO -  "La passione che ho per il calcio mi porta a superare sempre le difficoltà. A un allenatore che vuole iniziare questo lavoro, o anche a un giocatore, la prima cosa che chiederei è la seguente: 'Cosa sei disposto a perdere?'. Io ho fatto il mio primo ritiro a 15 anni, è una scelta, perché sacrifichi l'estate. Sacrifichi l'adolescenza, il rapporto con gli amici, la discoteca... Finisci la scuola e vai subito in ritiro, è una scelta".

LA VITTORIA DI NAPOLI - "Sconfitte? Ci sono delle cicatrici profonde. Ecco perché a volte io tiro fuori una cattiveria che può far paura, timore. Cerco in tutti i modi di vincere e celebrare le vittoria, cosa che io in passato tante volte non ho fatto e mi sono pentito. A Napoli me la son goduta perché si fa tanto per arrivare al traguardo e vincere, una volta che tu arrivi al traguardo devi godertela altrimenti non ha senso fare il percorso e fare tutti quei sacrifici".

GLI INIZI IN PANCHINA - "Io quando arrivo ad Arezzo, pronti-via non sono allenatore. Sono uno che pensa di essere allenatore, in virtù del fatto di esser stato allenato da tutti i grandi tecnici di quel periodo. Tranne Capello, io sono stato allenato da Lippi, Sacchi, Ancelotti, Fascetti, Mazzone. Arrivo ad Arezzo e penso di essere un allenatore per questo motivo, ma non ero un allenatore. Prendo questa bella mazzata nei denti e capisco che devo studiare. Quando dico che ad Arezzo ho fatto cinque anni in uno, lì divento allenatore. Ringrazio anche il Signore di essere stato mandato via. Perché se non vengo mandato via e non capisco alcune dinamiche, e non mi metto a studiare, magari rimango l'Antonio Conte che crede di essere allenatore ma è ancora giocatore nella testa".