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Soulé: "Ero sul punto di andarmene, Ranieri mi ha convinto a restare. Il gol nel derby mi ha cambiato". VIDEO!TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
Oggi alle 14:55Primo piano
di Gabriele Chiocchio
per Vocegiallorossa.it

Soulé: "Ero sul punto di andarmene, Ranieri mi ha convinto a restare. Il gol nel derby mi ha cambiato". VIDEO!

I fratelli Edul, youtuber argentini, hanno intervistato Matias Soulé nel loro canale. Ecco le parole del numero 18 giallorosso.

Come stai, Mati? Tutto bene?
«Tutto bene, tutto bene. Ora sono a Roma, non più a Torino. Mi sto adattando bene, è davvero bella. Il clima è fantastico, molto più simile all'Argentina rispetto al nord Italia. Roma è meravigliosa, ha tanta storia».

E calcisticamente?
«Abbiamo iniziato male, ma con l'arrivo di Ranieri ci siamo ripresi. Ci ha tranquillizzati e abbiamo fatto più punti».

Avevi bisogno di giocare? Ti agitavi quando non venivi impiegato?
«Sì, ovviamente. So che sono giovane, ma tutti vogliono giocare. All'inizio giocavo poco, ero sul punto di andarmene. Poi ho parlato con il mister Ranieri e mi ha detto: “Resta, la tua occasione arriverà”. E ora sto giocando, che è ciò che volevo».

Hai avuto anche il supporto di due argentini importanti, Dybala e Paredes. Quanto ti hanno aiutato?
«Tantissimo. Due persone splendide. Li conoscevo già da prima. Già prima di venire li sentivo per sapere se sarebbero rimasti. Ovviamente speravo di sì. Avere argentini in squadra ti fa sentire subito più a casa».

Come hai cominciato con il calcio?
«Da piccolissimo, a Mar del Plata. Mio padre era fanatico. Già a 3 anni volevo andare in una scuola calcio. Mi portarono a 4 anni al Club Argentino del Sud. Poi passai al Kimberley, dove giocavo con mio padre che mi accompagnava. Cercavo i provini su internet, volevo andare a Buenos Aires. Mio padre lavorava tantissimo, era cartero e stava fuori 10-14 ore al giorno. Ma quando poteva, mi accompagnava. Se no, mi portava mia madre in autobus».

Com'è nata la possibilità di andare a Buenos Aires?
«Una coincidenza. In spiaggia mio padre incontrò un vecchio conoscente che lavorava al Kimberley. Poco dopo ci chiamò la famiglia Cubero per un provino a Buenos Aires. Avevo 9 o 10 anni. Andai, feci un paio di settimane, poi mi dissero di tornare. Mi tesserarono per la Liga e iniziai ad andare una volta al mese. A 11 anni entrai in convitto. Fu dura, ma era ciò che volevo».

Quando hai capito di avere una marcia in più?
«Non me ne rendevo conto, mi divertivo solo. I mister mi dicevano che avevo potenziale. Già solo passare da una squadra locale a una di AFA era un grande passo. Era il sogno di ogni ragazzo dell'interno dell'Argentina».

Come si arriva all'Italia?
«Avevo 15 anni. Dopo un torneo con la Sub 16 in Portogallo dove andai bene, iniziarono ad arrivare offerte. Non avevo un contratto e decidemmo di venire qui. Fu tutto molto veloce, ma non ho mai esitato».

Com'è stato lasciare il Vélez?
«In quel momento non volevo andarmene. Ma poi successe che, poco prima di una convocazione in Nazionale, il club mi impedì di allenarmi. Mi dissero che era per via del contratto, ma io non sapevo nulla. Avevo 15 anni, non capivo. Mi fecero passare come se volessi andarmene. La gente iniziò a parlarne, e mi riportarono a Mar del Plata. Non mi piacque per nulla come venne gestita la cosa».

C'è anche questo legame curioso con l'Independiente, una squadra in cui non hai mai giocato ma che ti sente suo.
«Sì, è nato tutto da una matera con il logo dell'Independiente che mi regalarono quando andai in Nazionale. Sono tifoso da sempre, come tutta la mia famiglia. Non ho mai giocato lì, ma i tifosi mi trattano come uno di loro. Un onore».

Pensi mai di giocare in Argentina in futuro?
«Adesso no, sono all'inizio della mia carriera. Ma un giorno mi piacerebbe, soprattutto perché non ho mai giocato in Primera. Sarebbe bello viverla dall'interno, magari proprio con l'Independiente».

Sei mai stato al Libertadores de América?
«Sì, una sola volta. Era la prima. Non potevo andare da piccolo perché mio padre lavorava troppo. L'ho vista con lui e mio fratello, meraviglioso».

Quali giocatori ti piacciono dell'Independiente?
«Cabral e Loyola. Hanno grande futuro. Seguo tutte le partite, quando riesco con il fuso orario. Anche Kevin Lopez lo conosco bene, ho passato del tempo con lui in Argentina».

Parliamone: Juventus. Il tuo arrivo in quello spogliatoio.
«Incredibile. Non ero ancora in prima squadra, ma cominciai ad allenarmi. C'erano Dybala e anche Cristiano Ronaldo. Una volta, CR7 venne a sedersi a pranzo con me un altro compagno. Parlammo per un'ora. Raccontava tutto, anche della sua vita a Madrid. Io ero sotto shock, ma facevo domande. Non ci potevo credere».

Poi l'esperienza al Frosinone.
«Avevo bisogno di giocare. Alla Juve non c'era spazio, quindi andai. Mi fece bene. Peccato per la retrocessione all'ultima giornata. Ma mi ha aiutato a crescere».

Ed è vero che ti ha contattato Spalletti per la Nazionale italiana?
«Sì. Il mio tecnico al Frosinone era in contatto con lui. Mi chiamò mentre ero a casa di Dybala. Mi disse che mi voleva, che avevo il passaporto e che c'erano gli Europei. Poi venne pure al centro sportivo. Ma io gli dissi che volevo aspettare l'Argentina. Mi rispose che capiva. Non fu facile dirglielo, ma seguii il mio cuore».

Ora sei ancora in attesa della chiamata dall'Argentina?
«Sì. So che c'è tanta concorrenza, ma continuo a lavorare. È il sogno di ogni bambino. Non smetterò di sperarci».

Ti ha cambiato il gol nel derby con la Lazio?
«Sì, tantissimo. Venivo da diverse partite da titolare. Segnare in un derby, con la famiglia sugli spalti, è stato incredibile. Non riuscivamo a trovare i posti, ma poi li ho visti. Una gioia enorme».

Dybala ti aveva detto che tiravi sempre dallo stesso lato?
«Sì! C'è anche un video dove fa il gesto prima della partita. Poi abbiamo scherzato nel gruppo: sembrava un allenatore. È uno alla moda, ma anche umile».

I tifosi della Roma ti ricordano quelli argentini?
«Sì, sono molto passionali. C'è tanta pressione, soprattutto quando le cose non vanno. Ma adesso abbiamo cambiato faccia».

Idolo?
«Messi. E anche Aguero, lo amavo».

Stadio più bello?
«Quello della Roma, San Siro, lo Juventus Stadium».

Parliamo di cose personali: cosa ti piacerebbe comprare?
«Una casa a Roma. È un obiettivo».

Serie consigliata?
«“Contrattempo”, con Mario Casas».

Il tuo tatuaggio preferito?
«Quello che ho qui sul braccio, è un disegno mio».

Videogame preferito?
«Call of Duty, gioco con Dybala e Angeliño. Ultimamente ci sto ricascando».

Il miglior esterno al mondo nel tuo ruolo?
«Salah».

Un giocatore con cui vorresti giocare?
«Mbappé. Anche Paredes l’ha nominato come il migliore nel suo ruolo».

Fai qualcosa in casa?
«Cucino. L’asado mi viene bene. Mobili? Lascio fare a mio padre o chiamo qualcuno!».

Compratore online compulsivo?
«Sì, compro tutto online, da elettrodomestici a vestiti».

Mate a ogni ora?
«Sempre. Ho pure una yerba consigliata da Paredes che non ha caffeina per la sera».

Un consiglio ricevuto da Di María?
«Mi ha insegnato un modo di calciare in cui sembra che non metta forza, ma la palla va. Ancora non so come faccia».

Parola pescata: "Amore".
«Ne ho tanto. Per la mia famiglia, la mia ragazza, i miei cani, il calcio. Sono cresciuto con amore».

Cosa significa tuo padre per te?
«Tantissimo. Da piccolo guardavamo le partite insieme, ascoltavamo la radio con l'Independiente. Mi ha trasmesso lui l'amore per il calcio. Ogni volta che parlo dell'Independiente, parlo anche di lui. La mia ragazza è del Racing, puoi crederci? Guardiamo i derby insieme. Sogna, un giorno, di vedermi giocare per l'Independiente. Se potessi dirgli qualcosa? Grazie, a lui, a mia madre, a mia nonna. Tutto quello che hanno fatto per me, i sacrifici, senza di loro non sarei qui. Li ringrazierò per sempre».