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Diario da Rio - Il Brasile rende l’Argentina schiava di sé stessa

Diario da Rio - Il Brasile rende l’Argentina schiava di sé stessaTUTTO mercato WEB
mercoledì 3 luglio 2019, 15:00Sudamerica
di Tancredi Palmeri

Affronta le paure, guardale negli occhi, superale. Il percorso di redenzione del Brasile nei confronti del proprio popolo tifoso, nei confronti della propria storia calcistica, è a un passo dal compimento. Esorcizzata la maglia bianca del Maracanazo, esorcizzato il Paraguay già due volte giustiziere ai Quarti ai rigori, questa volta toccava alla discesa più dolorosa e pericolosa. Torna al Mineirao, fallo per una semifinale come contro la Germania, fallo contro l’Argentina tua nemesi.
Il Brasile vince 2-0 e lo fa soffrendo molto di più di quanto o placar, il tabellino, denunci, ma lo fa assolutamente meritando di andare al Maracana a giocarsi il riscatto.
Cosa c’è di meglio che battere l’Argentina, il tuo nemico peggiore, e farlo con le sue stesse armi, ma usandole meglio? Tite ha somministrato dosi di grandi calcio alternate a intelligenza e coesione. Si è visto un gruppo unico muoversi in sincronia, a prescindere dalle esigenze. Creando arte esaltante come nell’occasione del primo gol: strappo di Dani Alves, dribbling, sombrero, triangolo con Coutinho che fa un tunnel, di nuovo Dani Alves che smista a destra per Firmino, cross teso per Gabriel Jesus che segna. Ma in questa partita più grande della vita, c’era bisogno di accettare le prove. Perché di fronte c’era una bestia indomabile come l’Argentina, che ha aspettato l’occasione migliore per giocare il suo match migliore in questa Copa. Una Seleccion che si muove come un toro, carica e sbuffa, si fa girare la testa, e quando sembra che stia crollando torna a caricare e ritrova impeto. Due legni colpiti dall’Argentina, due grosse proteste per possibili calci di rigore, di cui uno sull’azione che avrebbe portato al contropiede del secondo gol di Firmino. Ha carattere l’Albiceleste, ha huevos e guizzi, ma c’è tanto altro che le manca. L’ordine soprattutto, e dalla cintola in giù nello specifico.

La fase difensiva dei sette uomini arretrati è passibile di denuncia. Il centrocampo argentino si è fatto totalmente inghiottire dal Brasile: prima quando i verdeoro hanno liberato il palleggio; poi quando una volta raggiunto il vantaggio hanno lasciato l’iniziativa. E allora l’Argentina si è ritrovata spersa come un toro solitario in una corrida pubblico né torero. Il pressing, su quello l’Argentina è maestra, ma la cabina di creazione era un foglio vuoto. Per questo Messi retrocedeva di 30 metri, provava a innestare, ma ci riusciva solo le rare volte in cui il Brasile abbandonava le posizioni e si faceva prendere dalla foga di un tifo e di un’atmosfera di pura nitroglicerina. E anche nel complesso di una prestazione rivedibile, Leo era capace di piazzare un palo di potenza, e una punizione nel sette. Ma il punto è che di fronte aveva anche Alisson, strepitoso nella parata nel sette che è sembrata essere una persecuzione.
L’Argentina non batte il Brasile in partite competitive da ben 14 anni. Il suo trauma, e quello di Leo, continua. Il Brasile invece, ha l’ultimo appuntamento con il proprio superiore domenica al Maracana. Finale contro la vincente stasera di Cile-Perù. In premio, una guarigione in forma di Coppa America.

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