Il caso Juric e la lezione del Bologna: quando l’allenatore fa la differenza
Quattro squadre su venti hanno cambiato allenatore dall’ultima sosta: il 20% della Serie A ha dunque già scelto di voltare pagina, dopo un avvio di stagione che sembrava destinato a un’insolita stabilità. Nessun esonero fino all’ottava giornata, poi le crepe hanno iniziato ad aprirsi. E anche Ivan Juric, nonostante la vittoria prestigiosa in Champions League sul campo del Marsiglia, non è riuscito a evitare la fine della sua esperienza all’Atalanta. Il 3-0 subito dal Sassuolo, sommato a un rendimento deludente (appena due vittorie in undici gare di campionato), ha sancito la parola fine.
UNA SCELTA SBAGLIATA – L’avventura di Juric a Bergamo è durata appena quattro mesi, un tempo troppo breve per parlare di progetto, ma sufficiente per capire che l’intuizione non era quella giusta. Già all’inizio, il suo arrivo aveva suscitato più dubbi che entusiasmo. La dirigenza, guidata dal direttore sportivo Tony D’Amico, aveva puntato su di lui in nome della “continuità gasperiniana”, ma la realtà ha mostrato un allenatore in parabola discendente, reduce da dodici sconfitte in quattordici partite con il Southampton e da un esonero alla Roma esattamente un anno fa.
Juric non è mai riuscito a trasmettere la sua impronta, né a stabilire un rapporto saldo con lo spogliatoio. Il carisma e la leadership che avevano contraddistinto Gasperini non sono stati replicati, e il confronto è diventato presto impietoso.
LA QUESTIONE ALLENATORE – Il caso Atalanta è l’ennesima dimostrazione di quanto la scelta del tecnico sia centrale per il destino di una stagione - analizza Raimondo De Magistris nel suo editoriale su TMW - . Il club nerazzurro, in estate, non ha cambiato la propria filosofia gestionale: una grande cessione per finanziare parte del mercato, una rosa di qualità e continuità nei ruoli chiave. Ma quando “cambia il manico”, cambia tutto. Juric non ha saputo valorizzare un organico competitivo, né dare continuità al modello tattico che aveva reso la Dea un’eccellenza italiana ed europea. Ora tocca a Raffaele Palladino, chiamato a ricostruire entusiasmo e identità, con la missione di restituire all’Atalanta la sua dimensione europea.
LA LEZIONE BOLOGNA – Il parallelo con il Bologna è inevitabile. Lì, Giovanni Sartori – ex architetto dell’Atalanta dei miracoli – ha dimostrato quanto conti la stabilità tecnica. Dopo la vittoria della Coppa Italia, il club rossoblù ha fatto di tutto per trattenere Vincenzo Italiano, corteggiato da Lazio e Milan. Contratto prolungato, fiducia piena, progetto costruito attorno al suo calcio. Anche senza due big come Ndoye e Beukema, ceduti a peso d’oro, la squadra emiliana ha rilanciato con Vitik, Heggem e Rowe, mantenendo intatto lo spirito e migliorando il rendimento. Dopo undici giornate, il Bologna ha otto punti in più dell’Atalanta e guarda con ambizioni da Champions.
L’Atalanta, invece, paga la fretta di inseguire un’idea di continuità solo apparente. Juric era stato scelto per non “snaturare” l’eredità di Gasperini, ma si è rivelato l’antitesi di quel modello. Ora il club prova a ripartire con Palladino, giovane, ambizioso e capace di unire gioco e risultati.
La Dea ha bisogno di ritrovarsi, e la prima pietra, come dimostra il caso Bologna, è sempre la stessa: scegliere l’allenatore giusto.






