
ESCLUSIVA TC - FLAVIO CHITI: "Feci tre presenze in un anno, ma l'esperienza a Cagliari mi ha lasciato splendidi ricordi. Mazzone preferiva affidarsi ai veterani piuttosto che ai giovani. Il calcio di oggi non mi piace e non mi ci riconosco"
Flavio Chiti ha marcato appena tre presenze in serie A con la maglia rossoblù, eppure è stato parte integrante e protagonista del gruppo che, nel campionato 1991-92, sotto la guida di Carlo Mazzone ha bissato la salvezza strepitosa conquistata l’anno precedente da Claudio Ranieri.
L’ex difensore veneto ha poi proseguito la sua carriera tra serie B e serie C, appendendo definitivamente le scarpette al chiodo nel 2006.
Flavio, come ricorda la sua esperienza cagliaritana, durata solo un anno ma durante la quale ha esordito in serie A?
“I ricordi sono molto positivi. Mi sono trovato benissimo a Cagliari, che è una città in cui si vive bene. Esordii in A contro la Sampdoria a Marassi, poi giocai contro il Milan al Sant’Elia. Iniziai molto bene, poi nel secondo tempo causai il rigore per i rossoneri con un fallo di mano in area. In quel momento avevo i crampi che mi arrivavano fino alle orecchie… Avevo chiesto la sostituzione, ma il mister non mi aveva calcolato. Poi mi fece rigiocare conto il Napoli, perché Festa e Napoli erano indisponibili e così scendemmo in campo io e Villa. Dopo l’esperienza di Cagliari andai a giocare a Venezia, lasciando la Sardegna dopo un solo anno ma, come dicevo, con tanti bei ricordi. Qualche amico conosciuto nell’Isola lo sento ancora oggi. Poi, per quanto la città a livello di svaghi e divertimenti non fosse certamente Milano o Roma, era bello andare a cena assieme al resto del gruppo: una compagnia sempre allegra e piacevole. E i sardi, come del resto tutti gli italiani, sanno essere molto accoglienti e ospitali.”
Che ricordo ha invece della formazione rossoblù nella quale militava? Partiste malino ma poi, carburando come un diesel, conquistaste una salvezza brillante e, tutto sommato, tranquilla.
“In quel Cagliari c’erano due o tre giocatori che erano veramente fuori dal comune. Francescoli e Matteoli non hanno bisogno di presentazioni. C’erano poi un giovanissimo Fonseca che si stava affermando e stava scalando le gerarchie e un Gianluca Festa che, per quanto fosse giovane anche lui, già da diversi anni vestiva la maglia rossoblù. Non dimentichiamoci poi della scoperta di un mediano preziosissimo per gli equilibri tattici della squadra: Pierpaolo Bisoli, che trovò posto anche in seguito al grave infortunio subito da Cappioli alla seconda giornata contro il Milan. Insomma, eravamo una compagine ben assortita e di buon livello: non a caso, con quell’intelaiatura l’anno dopo il Cagliari è andato in Coppa Uefa.”
Che rapporto aveva con Carletto Mazzone?
“Lui era un bravo gestore di uomini e di giocatori. Era un allenatore di vecchia scuola, perché ai giovani emergenti preferiva i calciatori esperti e navigati. Dava spazio a un talento in erba solo se era costretto dalle circostanze o se l’elemento in questione l’aveva convinto appieno e si era conquistato la sua fiducia. Altrimenti toccava pagare dazio e fare posto ai veterani. A Cagliari i giovani per cui stravedeva erano Fonseca e Festa. Il sottoscritto, Greco, Dibitonto, Corellas e via dicendo restavamo un po’ ai margini e venivamo impiegati col contagocce.
Ma non era un capriccio di Mazzone, quanto piuttosto un’abitudine inveterata nel calcio italiano dell’epoca. A quei tempi si arrivava in serie A a 26 anni. I giocatori che militavano in prima squadra a 21-22 anni, ovvero l’età che avevo io quando vestivo la maglia rossoblù, erano considerati delle scommesse. Tanto è vero che una squadra dall’età media di 26-27 anni veniva ritenuta ‘giovane’.”
Flavio, segue ancora il calcio e, in particolare, il Cagliari?
“Devo essere sincero: a me il calcio di oggi non piace. Innanzitutto non si trova più da nessuna parte una bandiera, un giocatore rappresentativo nel quale una squadra possa essere identificata. Poi proliferano troppi stranieri, perfino nelle formazioni primavera. Inoltre i calciatori attuali corrono come correvamo noi… forse un po’ di più, ma non ne sono nemmeno tanto sicuro. Quel che è sicuro è che tecnicamente sono davvero scarsi. Basti vedere i nomi che circolavano ai nostri tempi e paragonarli con quelli degli interpreti di oggi. Poi si dice che il nostro era un calcio più lento… ma intanto a Cagliari giocavano elementi dello spessore di Gaudenzi, Matteoli, Francescoli – che in quegli anni era tra i quattro migliori numeri 10 del mondo – Firicano – che dopo Cagliari si impose a Firenze in maglia viola – e tanti altri. Negli anni Ottanta a Udine giocava Edinho, difensore del Brasile, e a Verona Briegel, vicecampione del Mondo con la Germania nel 1982 e nel 1986.
Nel calcio attuale poi i guadagni dei giocatori sono veramente spropositati. Non che ai nostri tempi non si guadagnasse, anzi. Ma non come oggi. Il mondo del pallone ora come ora è retto da logiche puramente affaristiche e utilitaristiche che rendono difficile a chi, come me, ha vissuto un’epoca completamente diversa appassionarsi e seguire le partite con lo stesso trasporto di trent’anni fa.”







