
Tommaso Rocchi: "Gli allenamenti con Baggio e la Lazio sempre nel cuore"
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Se c'è un attaccante che ha lasciato il segno in Serie A non solo per i gol ma per la sua caparbietà quello è senz'altro Tommaso Rocchi, protagonista della nuova puntata di Storie di Calcio su TMW Radio.
Classe '77, Tommaso è cresciuto nelle giovanili del Venezia e all'età di 16 anni si trasferì nella formazione Primavera della Juventus. Con i bianconeri vince tra le altre cose il Campionato Primavera 1993-1994 per poi essere inserito nella rosa della prima squadra due stagioni dopo, senza però giocare alcuna partita col gruppo che trionfa in Champions League. La Juventus decide a fine stagione di mandarlo a farsi le ossa nelle serie minori. Fino al campionato 1999-2000 ha giocato un totale di 121 partite in Serie C con le maglie di Pro Patria, Fermana, Como e Saronno, mettendo a segno un totale di 36 reti. Nei due anni successivi ha militato in Serie B con le squadre del Treviso e dell'Empoli, totalizzando 19 gol in 74 gare. E proprio con i toscani esplose definitivamente, tanto da finire nel mirino della Lazio che lo acquistò nell'estate del 2004.
Rocchi ha scritto la storia della Lazio: con 105 gol complessivi in 293 presenze con la maglia biancoceleste, capitano dal 2008 al 2013, è sesto tra i migliori realizzatori di sempre del club, con il quale ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa. Poi l'esperienza all'Inter, prima di chiudere la carriera tra Padova, Haladás e Tatabánya, due club ungheresi.
E l'attaccante ha parlato così di se stesso: "Mi definisco una persona perbene, uno che crede sempre in quello che fa, che non si arrende. Che da bambino aveva un sogno che era quello di giocare al calcio, ma con sacrifici ce l'ho fatta. Si deve sempre ottenere il massimo e lottare per ottenere qualcosa nella vita. Oltre alle capacità tecniche e tattiche c'è sempre la parte mentale che ti porta a spingerti oltre, anche nei momenti di difficoltà. Punto sempre a migliorarmi, anche oggi".
Sul suo avvento alla Juve da giovanissimo ha detto: "Sono partito molto giovane da casa, è stata dura. Gradualmente, vedendo che le cose miglioravano ho acquistato fiducia in me stesso, anche mentalmente. E ho pensato che tutti questi sacrifici dovevano portarmi a giocare. Arrivare alla Juve non era facile, soprattutto in prima squadra. Io volevo entrare nel mondo del calcio e guadagnarmi quello che poi mi sono guadagnato. Mi ricordo che mi allenavo in prima squadra con Roberto Baggio, incredibile".
Poi la gavetta in Serie C e Serie B: "Ho quasi sempre preferito andare in categorie minori per giocare e dimostrare il mio valore. La Serie C mi è servita per farmi le ossa e mi ha fatto dimostrare le mie potenzialità. E lo dico anche ai ragazzi di oggi di fare una scelta del genere". Di sicuro un tecnico importante è stato quello incontrato all'Empoli: "Baldini è uno dei tecnici più importanti che ho avuto, perché arrivavo dal Treviso in Serie B, lui mi volle all'Empoli e mi ha trasmesso tanto in termini di sacrificio. E' lui che mi ha adattato ad esterno". Ma in generale poi ha confessato: "Mi sento legato a Delio Rossi, perché ci ho vissuto diversi anni alla Lazio, un professionista e un grande lavoratore. E poi anche con Reja".
Sul momento più bello della sua carriera, Rocchi ha ammesso: "Tutti i derby vinti e la vittoria di Pechino. E' stato un coronamento importante, perché la Coppa Italia fu il prim otrofeo vinto. Poi giocare la Supercoppa contro l'Inter del Triplete, vincere segnando e con la fascia da capitano...Mourinho? A distanza di qualche anno dico però che qualche telefonata è arrivata per andare lì, a giocare nella sua Inter. Alla fine ci sono andato con qualche anno di ritardo". Mentre il momento più delicato è stato: "L'anno delle Olimpiadi. Era una grande occasione andarci da fuori quota nell'U21. Fui solo io a dare l'ok, ma prima della prima partita presi una ginocchiata sul perone in allenamento. Pensavo fosse una botta, saltai la prima gara, giocai la seconda anche se ero ancora dolorante, segnai anche poi però dopo che uscii, mi sedetti in panchina e quando provai a rialzarmi non ce la facevo. La diagnosi il giorno dopo fu: perone rotto. Quando tornai rimasi fermo due mesi e saltai la preparazione estiva. Giocai poco, anche perché alla Lazio arrivò Zarate, ma in generale fu un anno difficile".
Sulla sua esperienza alla Lazio ha raccontato: "Arrivai nell'estate 2004, ma all'ultimo giorno di mercato. L'Empoli voleva monetizzare ma alla fine l'offerta giusta arrivò solo all'ultimo giorno. Lotito mi prese insieme ad altri 8 giocatori, ma per me fu una grande gioia, perché andavo in una grande squadra. Andavo a Roma, in un club importante, fu un momento importante per me. Del primo anno ricordo il derby del 6 gennaio, con Di Canio che mi ha trasmesso una grande lazialità. Ho vissuto due anni insieme in camera con lui, e sono stati due anni importanti. Di quei nove anni di Lazio porto dentro tanti momenti. In particolare le vittorie, i gol, in particolare il centesimo, è stato importante. Fu il coronamento di un lavoro partito da lontano. Eravamo a Cagliari, fu il gol del 3-0. Un ricordo indelebile".
Alla Lazio ha incrociato anche un mito come Miroslav Klose: "Mi ha colpito soprattutto la sua professionalità, il modo di allenarsi, al sua serietà. Era molto propenso nel giocare insieme. Si allenava sempre al massimo, stava sempre attento al fisico". E anche Simone Inzaghi: "Non mi aspettavo che arrivasse a questi livelli da allenatore, ma lo si vedeva che sapeva di calcio. Quando giochi meno, l'occhio ti va più su certi aspetti del gioco e lui ce l'aveva".
Ma ha anche spiegato il suo famoso gesto delle dita che faceva a ogni gol: "Era il periodo che tutti facevano le esultanze. Un giorno mia figlia piccolina per indicarmi una palla, indicò con l'indice ma rimase con il pollice aperto. E così è nata quell'esultanza". Oggi è allenatore nelle giovanili della Lazio, dove gioca anche uno dei suoi figli, che però lascia libero di scegliere: "Ho sempre pensato che sia giusto che i figli seguano la loro strada. Il mio nome è importante e non voglio mai condizionare le situazioni. Ci confrontiamo spesso, ma se non lo chiede lui non lo faccio mai. Lo faccio fare senza pressioni". E sul futuro ha chiuso dicendo: "Non mi manca giocare a calcio, tanto che oggi non lo faccio. Ho giocato e corso tanto, ora non lo faccio più. Sono allenatore, sto sul campo, mi manca solo l'adrenalina che avevo da giocatore. Il sogno? Sta nel cassetto e lo tirerò fuori al momento giusto".
Classe '77, Tommaso è cresciuto nelle giovanili del Venezia e all'età di 16 anni si trasferì nella formazione Primavera della Juventus. Con i bianconeri vince tra le altre cose il Campionato Primavera 1993-1994 per poi essere inserito nella rosa della prima squadra due stagioni dopo, senza però giocare alcuna partita col gruppo che trionfa in Champions League. La Juventus decide a fine stagione di mandarlo a farsi le ossa nelle serie minori. Fino al campionato 1999-2000 ha giocato un totale di 121 partite in Serie C con le maglie di Pro Patria, Fermana, Como e Saronno, mettendo a segno un totale di 36 reti. Nei due anni successivi ha militato in Serie B con le squadre del Treviso e dell'Empoli, totalizzando 19 gol in 74 gare. E proprio con i toscani esplose definitivamente, tanto da finire nel mirino della Lazio che lo acquistò nell'estate del 2004.
Rocchi ha scritto la storia della Lazio: con 105 gol complessivi in 293 presenze con la maglia biancoceleste, capitano dal 2008 al 2013, è sesto tra i migliori realizzatori di sempre del club, con il quale ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa. Poi l'esperienza all'Inter, prima di chiudere la carriera tra Padova, Haladás e Tatabánya, due club ungheresi.
E l'attaccante ha parlato così di se stesso: "Mi definisco una persona perbene, uno che crede sempre in quello che fa, che non si arrende. Che da bambino aveva un sogno che era quello di giocare al calcio, ma con sacrifici ce l'ho fatta. Si deve sempre ottenere il massimo e lottare per ottenere qualcosa nella vita. Oltre alle capacità tecniche e tattiche c'è sempre la parte mentale che ti porta a spingerti oltre, anche nei momenti di difficoltà. Punto sempre a migliorarmi, anche oggi".
Sul suo avvento alla Juve da giovanissimo ha detto: "Sono partito molto giovane da casa, è stata dura. Gradualmente, vedendo che le cose miglioravano ho acquistato fiducia in me stesso, anche mentalmente. E ho pensato che tutti questi sacrifici dovevano portarmi a giocare. Arrivare alla Juve non era facile, soprattutto in prima squadra. Io volevo entrare nel mondo del calcio e guadagnarmi quello che poi mi sono guadagnato. Mi ricordo che mi allenavo in prima squadra con Roberto Baggio, incredibile".
Poi la gavetta in Serie C e Serie B: "Ho quasi sempre preferito andare in categorie minori per giocare e dimostrare il mio valore. La Serie C mi è servita per farmi le ossa e mi ha fatto dimostrare le mie potenzialità. E lo dico anche ai ragazzi di oggi di fare una scelta del genere". Di sicuro un tecnico importante è stato quello incontrato all'Empoli: "Baldini è uno dei tecnici più importanti che ho avuto, perché arrivavo dal Treviso in Serie B, lui mi volle all'Empoli e mi ha trasmesso tanto in termini di sacrificio. E' lui che mi ha adattato ad esterno". Ma in generale poi ha confessato: "Mi sento legato a Delio Rossi, perché ci ho vissuto diversi anni alla Lazio, un professionista e un grande lavoratore. E poi anche con Reja".
Sul momento più bello della sua carriera, Rocchi ha ammesso: "Tutti i derby vinti e la vittoria di Pechino. E' stato un coronamento importante, perché la Coppa Italia fu il prim otrofeo vinto. Poi giocare la Supercoppa contro l'Inter del Triplete, vincere segnando e con la fascia da capitano...Mourinho? A distanza di qualche anno dico però che qualche telefonata è arrivata per andare lì, a giocare nella sua Inter. Alla fine ci sono andato con qualche anno di ritardo". Mentre il momento più delicato è stato: "L'anno delle Olimpiadi. Era una grande occasione andarci da fuori quota nell'U21. Fui solo io a dare l'ok, ma prima della prima partita presi una ginocchiata sul perone in allenamento. Pensavo fosse una botta, saltai la prima gara, giocai la seconda anche se ero ancora dolorante, segnai anche poi però dopo che uscii, mi sedetti in panchina e quando provai a rialzarmi non ce la facevo. La diagnosi il giorno dopo fu: perone rotto. Quando tornai rimasi fermo due mesi e saltai la preparazione estiva. Giocai poco, anche perché alla Lazio arrivò Zarate, ma in generale fu un anno difficile".
Sulla sua esperienza alla Lazio ha raccontato: "Arrivai nell'estate 2004, ma all'ultimo giorno di mercato. L'Empoli voleva monetizzare ma alla fine l'offerta giusta arrivò solo all'ultimo giorno. Lotito mi prese insieme ad altri 8 giocatori, ma per me fu una grande gioia, perché andavo in una grande squadra. Andavo a Roma, in un club importante, fu un momento importante per me. Del primo anno ricordo il derby del 6 gennaio, con Di Canio che mi ha trasmesso una grande lazialità. Ho vissuto due anni insieme in camera con lui, e sono stati due anni importanti. Di quei nove anni di Lazio porto dentro tanti momenti. In particolare le vittorie, i gol, in particolare il centesimo, è stato importante. Fu il coronamento di un lavoro partito da lontano. Eravamo a Cagliari, fu il gol del 3-0. Un ricordo indelebile".
Alla Lazio ha incrociato anche un mito come Miroslav Klose: "Mi ha colpito soprattutto la sua professionalità, il modo di allenarsi, al sua serietà. Era molto propenso nel giocare insieme. Si allenava sempre al massimo, stava sempre attento al fisico". E anche Simone Inzaghi: "Non mi aspettavo che arrivasse a questi livelli da allenatore, ma lo si vedeva che sapeva di calcio. Quando giochi meno, l'occhio ti va più su certi aspetti del gioco e lui ce l'aveva".
Ma ha anche spiegato il suo famoso gesto delle dita che faceva a ogni gol: "Era il periodo che tutti facevano le esultanze. Un giorno mia figlia piccolina per indicarmi una palla, indicò con l'indice ma rimase con il pollice aperto. E così è nata quell'esultanza". Oggi è allenatore nelle giovanili della Lazio, dove gioca anche uno dei suoi figli, che però lascia libero di scegliere: "Ho sempre pensato che sia giusto che i figli seguano la loro strada. Il mio nome è importante e non voglio mai condizionare le situazioni. Ci confrontiamo spesso, ma se non lo chiede lui non lo faccio mai. Lo faccio fare senza pressioni". E sul futuro ha chiuso dicendo: "Non mi manca giocare a calcio, tanto che oggi non lo faccio. Ho giocato e corso tanto, ora non lo faccio più. Sono allenatore, sto sul campo, mi manca solo l'adrenalina che avevo da giocatore. Il sogno? Sta nel cassetto e lo tirerò fuori al momento giusto".
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