
Zaccheroni: “Berlusconi mi chiese di smentire di essere comunista. Con Galliani mai parlato di calcio”
Alberto Zaccheroni, allenatore campione d’Italia con il Milan nel 1999, è intervenuto dal palco del panel “Legendary Coach”, nell’ambito del Festival della Serie A di Parma: “Fare l’allenatore mi è sempre piaciuto, a 9-10 giocavo con le figurine. Le mettevo in campo e cambiavo ruolo. Poi ho iniziato per caso, avendo un albergo non avevo tempo per allenarmi: al campo sportivo c’erano due amici che allenavano i bambini, hanno litigato e uno dei due ha mollato. L’altro era il panettiere dell’albergo, mi ha chiesto di dargli una mano. Da lì in poi, è stata una malattia”.
Il rapporto con Berlusconi?
“Le uniche squadre che ho allenato dall’inizio in A sono Udinese e Milan. Dopo non ho più allenato dall’inizio: io dico sempre che c’è un perché se succedono le cose. Sono arrivate al Milan che ero etichettato come Zac il comunista. Berlusconi era al governo, i media hanno indagato sulla mia vita e i miei compaesani dissero che avevo una cognata comunista”.
È vero che il Milan le aveva chiesto di fare una conferenza stampa per smentire questo fatto? “Me l’ha chiesto il presidente. Gli ho detto che mi aveva chiamato per fare l’allenatore di calcio, per cercare di migliorare le prestazioni della squadra, non per parlare di politica. Siamo partiti male: quando parti male è difficile arrivare bene. E infatti non abbiamo chiuso male: abbiamo chiuso malissimo”.
Galliani le offrì il rinnovo di contratto. “No, è stata una decisione del presidente: mi ha chiamato di notte e mi ha detto che voleva cambiare. Venni etichettato come un tecnico del 3-4-3, e poi nelle squadre successive mi chiedevano sempre quando avremmo iniziato a giocare 3-4-3. Io devo capire che giocatori ho a disposizioni: a Maldini disse semplicemente che non lo volevo più vedere nella metà campo avversaria. A Costacurta dissi che non lo volevo vedere troppo indietro, non si girava più bene. Non ho inventato niente, gli ho ridotto il campo d’azione chiedendo qualità e non quantità”.
Il rapporto con Galliani? “Ci tengo a precisare che io e Adriano non abbiamo mai parlato di calcio. Non ho mai fatto campagna acquisti, io mi limitavo a dare pareri: Berlusconi mi chiese di andare a vedere Shevchenko contro l’Arsenal. Mi portai il mio assistente, vedemmo la partita e tornammo a casa, presentai una relazione scritta e dettagliata, in fondo gli scrissi da prendere, in stampatello subito, sottolineato cinque volte. Non so se a livello economico sia stato un affare, a livello sportivo sì. Oggi mi chiama papà: solo lui e Stankovic mi chiamano così, li considero dei figli”.
Trova che quello scudetto sia sottovalutato?
“Forse è colpa mia, io non sono mai stato mediatico. Non ho mai cercato le prime pagine, non davano la formazione ai media: il telefono suona, non la davo mai. Qualcuno ha pensato che ci fosse un giornalista, con cui ci trovavamo spesso allo stesso ristorante: Marco Treves, indovinava la formazione. Ma io dovevo gestire i giocatori, non i giornalisti. E non ho mai avuto tanto spazio mediatico, perché non mi premeva”.
Weah?
"Sempre goliardico, sempre positivo. Poche parole, ma giuste, col tono di voce giusto. Era un compagnone, io gli volevo un bene infinito e gliene voglio tutt'ora. È chiaro che l'arrivo di Bierhoff gli ha dato fastidio, il ruolo era quello e lui non aveva più l'energia di poter gestire uno spazio più ampio con qualità. Le gambe si erano assottigliate".
Il rapporto con Berlusconi?
“Le uniche squadre che ho allenato dall’inizio in A sono Udinese e Milan. Dopo non ho più allenato dall’inizio: io dico sempre che c’è un perché se succedono le cose. Sono arrivate al Milan che ero etichettato come Zac il comunista. Berlusconi era al governo, i media hanno indagato sulla mia vita e i miei compaesani dissero che avevo una cognata comunista”.
È vero che il Milan le aveva chiesto di fare una conferenza stampa per smentire questo fatto? “Me l’ha chiesto il presidente. Gli ho detto che mi aveva chiamato per fare l’allenatore di calcio, per cercare di migliorare le prestazioni della squadra, non per parlare di politica. Siamo partiti male: quando parti male è difficile arrivare bene. E infatti non abbiamo chiuso male: abbiamo chiuso malissimo”.
Galliani le offrì il rinnovo di contratto. “No, è stata una decisione del presidente: mi ha chiamato di notte e mi ha detto che voleva cambiare. Venni etichettato come un tecnico del 3-4-3, e poi nelle squadre successive mi chiedevano sempre quando avremmo iniziato a giocare 3-4-3. Io devo capire che giocatori ho a disposizioni: a Maldini disse semplicemente che non lo volevo più vedere nella metà campo avversaria. A Costacurta dissi che non lo volevo vedere troppo indietro, non si girava più bene. Non ho inventato niente, gli ho ridotto il campo d’azione chiedendo qualità e non quantità”.
Il rapporto con Galliani? “Ci tengo a precisare che io e Adriano non abbiamo mai parlato di calcio. Non ho mai fatto campagna acquisti, io mi limitavo a dare pareri: Berlusconi mi chiese di andare a vedere Shevchenko contro l’Arsenal. Mi portai il mio assistente, vedemmo la partita e tornammo a casa, presentai una relazione scritta e dettagliata, in fondo gli scrissi da prendere, in stampatello subito, sottolineato cinque volte. Non so se a livello economico sia stato un affare, a livello sportivo sì. Oggi mi chiama papà: solo lui e Stankovic mi chiamano così, li considero dei figli”.
Trova che quello scudetto sia sottovalutato?
“Forse è colpa mia, io non sono mai stato mediatico. Non ho mai cercato le prime pagine, non davano la formazione ai media: il telefono suona, non la davo mai. Qualcuno ha pensato che ci fosse un giornalista, con cui ci trovavamo spesso allo stesso ristorante: Marco Treves, indovinava la formazione. Ma io dovevo gestire i giocatori, non i giornalisti. E non ho mai avuto tanto spazio mediatico, perché non mi premeva”.
Weah?
"Sempre goliardico, sempre positivo. Poche parole, ma giuste, col tono di voce giusto. Era un compagnone, io gli volevo un bene infinito e gliene voglio tutt'ora. È chiaro che l'arrivo di Bierhoff gli ha dato fastidio, il ruolo era quello e lui non aveva più l'energia di poter gestire uno spazio più ampio con qualità. Le gambe si erano assottigliate".
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