
Bianchi: “Ieri ho cambiato canale dopo il 3-0. Maradona ha subito la connivenza"
Ottavio Bianchi, allenatore campione d’Italia con il Napoli nel 1987, è intervenuto dal palco del panel “Legendary Coach”, nell’ambito del Festival della Serie A di Parma: “Io non volevo fare l’allenatore, non me lo sentivo. Poi, quando ero a Ferrara negli ultimi periodi della carriera da calciatore, esonerarono l’allenatore e mi chiesero di fare da tappabuchi: ho visto che quel ruolo mi piaceva”.
Il calcio moderno vi appassiona ancora?
“Ieri ho cambiato canale in TV dopo il terzo gol… Vedere la partita da fuori è diverso, quella vera si vede sul campo. Da video vedi il gesto tecnico, ma non le posizioni: è per questo che al giorno d’oggi si evidenziano soprattutto queste cose e la gente impazzisce. Però il tecnico è come il direttore d’orchestra: sente il solista, ma deve sentire anche la base. La grande squadra è una grande orchestra sinfonica: le qualità del singolo esaltano il collettivo. Senza questo non puoi essere una grande squadra”.
Le differenze tra il calcio di oggi e quello dei suoi tempi?
“Oggi la situazione è molto cambiata, ai miei tempi allenavamo in tre: tecnico, vice e preparatore atletico. Adesso ho paura a dire quanti professionisti ci siano nei team delle grandi squadre. Io, a differenza di altri, non ho mai potuto chiedere dei giocatori: avevo quello che avevo. Anche lo schema per me non è così importante come si ritiene oggi: chi ha la palla ha mentalità offensiva, chi no deve assumere mentalità difensiva. Il calcio è di una banalità… Io ho giocato con Sivori e Altarini: non erano bravi solo tecnicamente, ma anche umanamente”.
È vero che Maradona non si allenava mai?
“Io quando sento queste cose non so che dire. Più grandi sono più il gesto lo provano: tutti i gol che avete visto li faceva cento volte in settimana. La bellezza del gioco del calcio è la semplicità. La sua cosa bella, mai troppo sottolineata, è che aiutava sempre gli altri. Fuori dal campo non posso dire, ma in campo curava i giovani”.
Le difficoltà umane di Maradona come le gestiva?
“Io poi sono andato via, avevo un contratto per l’anno dopo e ho detto che non ci stavo più. Il suo problema è stato che nessuno l’ha aiutato: era il ragazzo più bravo del mondo. Vi racconto un episodio: dovevamo giocare a Parigi, fuori dall’albergo era pieno di gente… Erano lì tutti per Maradona: doveva correre in camera e chiudersi. Non era facile per lui. Il comportamento degli altri era di connivenza: è come con un figlio, se gli dici di sì sempre vai d’accordo. Ma per educarlo gli devi dire di no, e bisognava che qualcuno gli dicesse di no: in primis i compagni”.
Il calcio moderno vi appassiona ancora?
“Ieri ho cambiato canale in TV dopo il terzo gol… Vedere la partita da fuori è diverso, quella vera si vede sul campo. Da video vedi il gesto tecnico, ma non le posizioni: è per questo che al giorno d’oggi si evidenziano soprattutto queste cose e la gente impazzisce. Però il tecnico è come il direttore d’orchestra: sente il solista, ma deve sentire anche la base. La grande squadra è una grande orchestra sinfonica: le qualità del singolo esaltano il collettivo. Senza questo non puoi essere una grande squadra”.
Le differenze tra il calcio di oggi e quello dei suoi tempi?
“Oggi la situazione è molto cambiata, ai miei tempi allenavamo in tre: tecnico, vice e preparatore atletico. Adesso ho paura a dire quanti professionisti ci siano nei team delle grandi squadre. Io, a differenza di altri, non ho mai potuto chiedere dei giocatori: avevo quello che avevo. Anche lo schema per me non è così importante come si ritiene oggi: chi ha la palla ha mentalità offensiva, chi no deve assumere mentalità difensiva. Il calcio è di una banalità… Io ho giocato con Sivori e Altarini: non erano bravi solo tecnicamente, ma anche umanamente”.
È vero che Maradona non si allenava mai?
“Io quando sento queste cose non so che dire. Più grandi sono più il gesto lo provano: tutti i gol che avete visto li faceva cento volte in settimana. La bellezza del gioco del calcio è la semplicità. La sua cosa bella, mai troppo sottolineata, è che aiutava sempre gli altri. Fuori dal campo non posso dire, ma in campo curava i giovani”.
Le difficoltà umane di Maradona come le gestiva?
“Io poi sono andato via, avevo un contratto per l’anno dopo e ho detto che non ci stavo più. Il suo problema è stato che nessuno l’ha aiutato: era il ragazzo più bravo del mondo. Vi racconto un episodio: dovevamo giocare a Parigi, fuori dall’albergo era pieno di gente… Erano lì tutti per Maradona: doveva correre in camera e chiudersi. Non era facile per lui. Il comportamento degli altri era di connivenza: è come con un figlio, se gli dici di sì sempre vai d’accordo. Ma per educarlo gli devi dire di no, e bisognava che qualcuno gli dicesse di no: in primis i compagni”.
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