
Conte: "Se sono diventato allenatore della Juve, è per una telefonata di Silvio Baldini"
Antonio Conte si racconta a Federico Buffa Talks su Sky Sport. Nel primo episodio si parla tanto della vittoria dello scudetto al Napoli ma anche della sua ultima stagione in Premier, una delle più difficili della sua carriera: "Al Tottenham è stato un anno difficile. Arrivo a novembre con loro noni in classifica e finiamo in Champions superando l'Arsenal e conoscete la rivalità tra i due club. Per loro andare in Champions era come vincere la Premier. All'ultima giornata si festeggia l'entrata in Champions nello spogliatoio. Io chiamo il mio staff e gli dico: non ci abituiamo a questi festeggiamenti. Non si festeggiano queste cose. Noi siamo abituati a festeggiare altre cose. Ok, bella impresa, ma al tempo stesso capiamo che tipo di festeggiamento è. L'anno dopo parlo con alcuni calciatori e loro ci tenevano continuassimo il nostro percorso al Tottenham, ma io avevo firmato un anno e mezzo per capire che situazione avrei trovato. L'anno dopo capitano un po' di cose, muore Gian Piero Ventrone per una leucemia in quindici giorni ed è una mazzata tremenda a livello affettivo e psicologico e non è stato facile. Poi va via anche Gianluca Vialli con cui mi ero visto il mese prima a ristorante con mia moglie. L'avevo visto molto sereno, stava anche bene, ma in quella cena avevo capito che c'era qualcosa che non andava. Te ne accorgi quando qualcuno si gode qualcosa, lui aveva bevuto, mangiato...e dopo un mese è mancato".
I lutti: "Anche la vicenda di Sinisa ha inciso. Una serie di dolori che mi hanno portato a ripensare ad alcune priorità. Io avevo la famiglia lontana, in Italia, mentre io ero in hotel. Mia moglie aveva sempre fatto sforzi per me. Allora mi sono chiesto: quanto vale la pena sacrificare famiglia e amici per questo sapendo che da un giorno all'altro ti ritrovi ad affrontare tragedie del genere e a non esserci più? Questo mi ha fatto cambiare alcune priorità. Poi ho avuto anche un problema e mi sono dovuto operare urgentemente di cistifellea e rischiavo di andare in pancreatite. Insomma, quel periodo mi ha portato a fare grandi riflessioni sulle priorità da dare".
Sulla carriera da allenatore: "Quando finisco di giocare a calcio faccio un'intervista che poteva sembrare presuntuosa ma non lo era. Dissi: se in tre anni non arrivo ad allenare la Juve o comunque a livelli alti, smetto di fare l'allenatore. Avevo già sacrificato troppe cose da calciatore. Un'affermazione che poteva sembrare esagerata perché era forte, ma fa capire anche la ferocia nel raggiungere un obiettivo. O io arrivo a certi livelli o altrimenti il sacrificio non ne vale la pena. La voglia e l'ambizione con cui ti appresti ad arrivare a determinati traguardi fa la differenza dei livelli".
L'arrivo alla Juve: "Al Siena io raggiungo l'obiettivo e alla Juve c'era Delneri. Io stavo rientrando a casa, mi arriva una telefonata di Baldini, oggi al Pescara. Con Adani due settimane prima erano venuti a Siena a vedere un mio allenamento. Non avevamo tutto questo rapporto anche se si era creata una buonissima empatia. Silvio mi saluta e mi dice, ma tu vuoi allenare la Juve? Io gli dico ma cosa centra? Tu devi fare come Guardiola, lui aggiunge: vai da Agnelli e parlagli. Se vai tu diventi allenatore della Juve. Io chiudo la telefonata e il primo pensiero che mi viene in mente è: questo è matto? Ma in senso buono. Cosa mi ha suggerito?, penso. Lungo il tragitto però mi aveva lasciato quel qualcosa in testa e mi chiedo: come faccio a parlare con Agnelli? La persona che mi viene in mente è il dottor Giraudo, che chiamo a fine campionato. Lui mi disse che la Juve aveva deciso di confermare l'allenatore. Io gli dissi che volevo solo salutare Andrea. Intanto vado in Serie A con il Siena. Un giorno ero a cena con mia moglie e vedo Giraudo che mi chiama. Dall'altra parte del telefono c'è proprio Agnelli che voleva incontrarmi. Dopo la gara col Novara torno a Torino e vado a casa sua. Ci salutiamo e lui mi chiede se volessimo comprare giocatori della Juve, così capisco subito di non essere nella sua idea per il futuro. Parliamo forse cinque ore, però. Poi dopo verrò a sapere che la moglie gli chiese chi fossi e lui rispose: il futuro allenatore della Juve. Comunque...quando esco, lui mi dice: devi parlare con Marotta. Quindi in quelle cinque ore avevo toccato le corde e i momenti giusti. Sapevo cosa bisognava riportare e di cosa avesse bisogno la Juve in quel momento. Se io sono alla Juve e inizio questo percorso di tre anni, dunque, è per Baldini. Senza la sua telefonata mai mi sarei proposto e forse ma la Juve avrebbe pensato a un allenatore esordiente. Quei tre anni sono stati incredibili. Il primo scudetto lo abbiamo vinto da imbattuti nonostante i favori dei pronostici erano per il Milan che aveva grandi campioni come Ibrahimovic. Perdiamo solo la finale di Coppa Italia contro il Napoli. I 102 punti sono stati qualcosa di incredibile".
L'approdo di Pirlo alla Juve: "Tullio Tinti, il suo procuratore, mi chiama sapendo che volevo giocare col 4-2-4 che avevo già fatto a Bari e Siena. Mi dice di Andrea svincolato e mi chiede se potesse giocare nel mio sistema. Io gli dissi che sulla carta a due avrebbe potuto far fatica ma si parlava di un giocatore che era talmente diverso dagli altri che a prescindere doveva venire. Infatti noi la prima partita la facciamo con Pirlo e Marchisio a centrocampo e Vidal in panchina che entra e fa gol nel secondo tempo. Così inizia a crearmi dei pensieri. L'allenatore bravo è come un sarto che deve cucire addosso il miglior abito. Quindi noi quell'anno ci siamo arrivati al 3-5-2 per esigenze diverse. Pirlo a due faceva un po' di fatica ma con due accanto esprimeva tutte le sue potenzialità. Pirlo vedeva dove non vedevano gli altri. Metteva la palla dove, come e quando diceva lui. E noi per lui, ma anche per Chiellini e Bonucci, abbiamo cambiato dopo aver provato vari sistemi, dal 4-2-4 al 4-3-3 per arrivare poi al 3-5-2 che è diventato il modulo che ha fatto la storia della Juve".
I lutti: "Anche la vicenda di Sinisa ha inciso. Una serie di dolori che mi hanno portato a ripensare ad alcune priorità. Io avevo la famiglia lontana, in Italia, mentre io ero in hotel. Mia moglie aveva sempre fatto sforzi per me. Allora mi sono chiesto: quanto vale la pena sacrificare famiglia e amici per questo sapendo che da un giorno all'altro ti ritrovi ad affrontare tragedie del genere e a non esserci più? Questo mi ha fatto cambiare alcune priorità. Poi ho avuto anche un problema e mi sono dovuto operare urgentemente di cistifellea e rischiavo di andare in pancreatite. Insomma, quel periodo mi ha portato a fare grandi riflessioni sulle priorità da dare".
Sulla carriera da allenatore: "Quando finisco di giocare a calcio faccio un'intervista che poteva sembrare presuntuosa ma non lo era. Dissi: se in tre anni non arrivo ad allenare la Juve o comunque a livelli alti, smetto di fare l'allenatore. Avevo già sacrificato troppe cose da calciatore. Un'affermazione che poteva sembrare esagerata perché era forte, ma fa capire anche la ferocia nel raggiungere un obiettivo. O io arrivo a certi livelli o altrimenti il sacrificio non ne vale la pena. La voglia e l'ambizione con cui ti appresti ad arrivare a determinati traguardi fa la differenza dei livelli".
L'arrivo alla Juve: "Al Siena io raggiungo l'obiettivo e alla Juve c'era Delneri. Io stavo rientrando a casa, mi arriva una telefonata di Baldini, oggi al Pescara. Con Adani due settimane prima erano venuti a Siena a vedere un mio allenamento. Non avevamo tutto questo rapporto anche se si era creata una buonissima empatia. Silvio mi saluta e mi dice, ma tu vuoi allenare la Juve? Io gli dico ma cosa centra? Tu devi fare come Guardiola, lui aggiunge: vai da Agnelli e parlagli. Se vai tu diventi allenatore della Juve. Io chiudo la telefonata e il primo pensiero che mi viene in mente è: questo è matto? Ma in senso buono. Cosa mi ha suggerito?, penso. Lungo il tragitto però mi aveva lasciato quel qualcosa in testa e mi chiedo: come faccio a parlare con Agnelli? La persona che mi viene in mente è il dottor Giraudo, che chiamo a fine campionato. Lui mi disse che la Juve aveva deciso di confermare l'allenatore. Io gli dissi che volevo solo salutare Andrea. Intanto vado in Serie A con il Siena. Un giorno ero a cena con mia moglie e vedo Giraudo che mi chiama. Dall'altra parte del telefono c'è proprio Agnelli che voleva incontrarmi. Dopo la gara col Novara torno a Torino e vado a casa sua. Ci salutiamo e lui mi chiede se volessimo comprare giocatori della Juve, così capisco subito di non essere nella sua idea per il futuro. Parliamo forse cinque ore, però. Poi dopo verrò a sapere che la moglie gli chiese chi fossi e lui rispose: il futuro allenatore della Juve. Comunque...quando esco, lui mi dice: devi parlare con Marotta. Quindi in quelle cinque ore avevo toccato le corde e i momenti giusti. Sapevo cosa bisognava riportare e di cosa avesse bisogno la Juve in quel momento. Se io sono alla Juve e inizio questo percorso di tre anni, dunque, è per Baldini. Senza la sua telefonata mai mi sarei proposto e forse ma la Juve avrebbe pensato a un allenatore esordiente. Quei tre anni sono stati incredibili. Il primo scudetto lo abbiamo vinto da imbattuti nonostante i favori dei pronostici erano per il Milan che aveva grandi campioni come Ibrahimovic. Perdiamo solo la finale di Coppa Italia contro il Napoli. I 102 punti sono stati qualcosa di incredibile".
L'approdo di Pirlo alla Juve: "Tullio Tinti, il suo procuratore, mi chiama sapendo che volevo giocare col 4-2-4 che avevo già fatto a Bari e Siena. Mi dice di Andrea svincolato e mi chiede se potesse giocare nel mio sistema. Io gli dissi che sulla carta a due avrebbe potuto far fatica ma si parlava di un giocatore che era talmente diverso dagli altri che a prescindere doveva venire. Infatti noi la prima partita la facciamo con Pirlo e Marchisio a centrocampo e Vidal in panchina che entra e fa gol nel secondo tempo. Così inizia a crearmi dei pensieri. L'allenatore bravo è come un sarto che deve cucire addosso il miglior abito. Quindi noi quell'anno ci siamo arrivati al 3-5-2 per esigenze diverse. Pirlo a due faceva un po' di fatica ma con due accanto esprimeva tutte le sue potenzialità. Pirlo vedeva dove non vedevano gli altri. Metteva la palla dove, come e quando diceva lui. E noi per lui, ma anche per Chiellini e Bonucci, abbiamo cambiato dopo aver provato vari sistemi, dal 4-2-4 al 4-3-3 per arrivare poi al 3-5-2 che è diventato il modulo che ha fatto la storia della Juve".
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