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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: vita e miracoli di Johan Cruyff

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: vita e miracoli di Johan Cruyff
mercoledì 11 marzo 2020, 01:05Serie A
di Marco Conterio
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

Nel giorno del compleanno di una delle grandi leggende del calcio mondiale come Johan Cruyff, Tuttomercatoweb.com ripropone la 'storia della buonanotte' sul 14 più famoso d'ogni tempo. Il racconto della sua vita, dei suoi miracoli, della sua eterna eredità.

Figlio della periferia di Amsterdam, Johannes Cruyff nasce dopo gli ultimi scoppi di cannone della Guerra. La madre, Nell, faceva la lavandaia, il padre, Manus, ha un rivenditore di frutta e verdura. La strada è la sua scuola di calcio, laddove si definisce e rifinisce. Leggende di gioventù: Johan faceva pure 150 palleggi di fila. Bravo, sì. Il punto è che lo faceva a cinque anni. Genio da sempre, Johan da Betondorp. Che cresciuto a duecentometri dal De Meer, lo stadio dell'Ajax, diventa prima la mascotte della squadra e poi entra nel settore giovanile dei lancieri. E lì, in quella società, germoglia il primo seme del calcio totale, grazie a Vic Buckingham, tecnico della prima squadra. Un inglese, che fa debuttare il ballerino della periferia, Johan Cruyff, in prima squadra.

Il sessantotto Quali anni migliori per fare, letteralmente, un sessantotto? Amsterdam è la capitale europea della controcultura e l'Ajax è il suo manifesto calcistico. A guidarla c'è un rivoluzionario. Nome: Rinus. Cognome: Michels. Segni particolari: visionario. E' un ex centravanti dell'Ajax, sostituisce l'esonerato Buckingham e crea una mentalità nuova. Con lui i lancieri non sono più una semplice squadra. No, signori. Sono un'orchestra, che però ha bisogno di tempo e di strumenti giusti per crescere e diventare grande. Gli olandesi in generale, l'Ajax in particolare, monopolizzarono il calcio europeo e nel 1972, con Michels passato al Barcellona, in panchina c'è il romeno Kovacs. Però il seme ha già dato i suoi frutti. Cruyff è il numero uno al mondo e guida l'Ajax a quello che è il primo, vero, grande slam della storia del calcio. Eredivisie, Coppa d'Olanda, Coppa Campioni, Coppa Intercontinentale. Era l'estate del 1973 quando Cruyff passò poi al Barcellona.

Arancia Meccanica Michels, nel 1974, da ct dell'Olanda portò l'Arancia Meccanica al suo apice. Jongbloed, che Brera liquidò a "portiere macchietta", è l'archetipo dell'estremo difensore libero. Quello che poi caratterizza pure il Barcellona ed anche il calcio moderno, per intenderci. Cruyff è il direttore d'orchestra, la sinfonia più bella è il gol che porta in vantaggio l'Olanda contro la Germania nel Mondiale del '74. Sì, il timbro arriva su rigore, ma se Cruyff non fosse stato atterrato, allora sarebbe davvero, arrivato, il gol perfetto. L'Olanda quella finale la perderà, nonostante quella ragnatela meravigliosa. E Cruyff, in bacheca, non ce l'avrà mai un Mondiale. Nel 1978 non partecipò a quello in Argentina non tanto per motivazioni politiche ma per un tentato rapimento, fortunatamente fallito. "Qualcuno mi puntò un fucile alla testa, legò me e mia moglie, davanti ai nostri tre bambini, nella nostra casa di Barcellona". Pensò di smetterla col calcio, per questo non partecipò al mondiale Argentino, che è anche stato quello più discusso della storia e definito "il Mondiale delle torture e dei dittatori".

Quattordici. Quattordici perché quel giorno, nella cesta delle maglie, la sette proprio non si trovava. Gerrie Muhren doveva giocare titolare e Johan Cruyff decise di cedergli ma sua numero nove. Si giocava Ajax-Psv Eindhoven e dalla cesta, da quella cesta delle maglie, uscì la quattordici. Che Johan da Amsterdam, scomparso a 68 anni per un tumore ai polmoni, nato il 25 aprile del 1947 in una famiglia modesta a pochi passi dallo Stadion de Meer, ha sempre vestito. Coi Lancieri, quando proprio a 14 anni vince il suo primo campionato. Con l'Olanda e nella sua avventura negli Stati Uniti. Non al Barcellona, però. Lì la regola imponeva solo e soltanto numeri dall'uno all'undici per i titolari. Così, Johan, decise di adattarsi e di vestire il 9. Sotto, però, nascosta, indossava un'altra maglia. Solo per sè, intima, privata. Col numero di una vita. Il 14. Ce l'aveva tatuato, impossibile da cancellare.

Amava le bionde Johan Cruyff aveva un carattere mica tanto semplice. Aveva due vizi. Il Calcio, quello maiuscolo, e le bionde. Bionde di filtro, che aveva capito. Fumava. Tanto. Troppo. E' anche per quello che questo mondo infame se l'è portato via presto, a sessantotto anni. Lui ed il suo carattere duro, tosto. Lui che ha rivoluzionato il calcio. Lui che ha giocato fino all'età di trentasette anni, ritirandosi con la casacca del Feyenoord, manco a dirlo, la numero 14, dopo 403 reti in 712 partite tra squadre di club e Nazionale. Ha segnato gol stupendi, impossibili. E' stato Profeta del Gol ed Olandese volante, bandiera e rivoluzionario. Poi nel 1984 decise di appendere le scarpette al chiodo, per la seconda volta e definitivamente; ma non vi preoccupate perché il viaggio è ancora lungo. Cryuff è stato genio da giocatore, innovatore come dirigente ed allenatore. Avventure che il 6 giugno 1985 lo portarono a sedersi per la prima volta su una panchina. Guarda un po', su quella dell'Ajax, una delle due squadre della sua vita.

Con Cruyff, da Cruyff e per Cruyff. Dal suo addio al Barcellona, i catalani hanno vinto una sola Liga. Il Real Madrid è troppo forte, quasi inarrivabile. Quasi. Perché Cruyff arriva a Barcellona dall'Ajax, dove ha vinto e lanciato giocatori che qualcosa, in carriera, la faranno. Van Basten, Bergkamp, Rijkaard, Koeman... Ecco. Il manifesto del 14 allenatore è questo: "Cambierò il mondo del calcio: i miei difensori saranno centrocampisti; giocherò con due ali ma senza una punta centrale". Trasforma la Masia in un laboratorio che creerà e plasmerà talenti come Guardiola, De La Pena, Xavi, Puyol, Iniesta, Fabregas. Messi... Tutti giocano con lo stesso sistema, liberi di sbagliare, liberi di creare. Palla a terra, movimento, corsa, rapidità. Tecnica. Genio. E' il calcio totale due punto zero, dove il 'Rondo', un torello buono per raffinare tocchi e tacchi, è il marchio di fabbrica delle sedute d'allenamento. E' l'inizio della rivoluzione che ha in un bulgaro, Hristo Stoichkhov, il suo profeta. Nomen omen, sì, ma c'è anche un altro olandese, Ronald Koeman, ha tirar bombe niente male da fuori. Come quella che gli farà vincere la Coppa Campioni nel 92 contro la Sampdoria. Quel Barcellona illuminava il Mondo. Come una luce, che non usciva mai dal cuore di ognuno.

L'uomo dello spazio C'è poco da dire, signori, Johan Cruyff ha segnato un'epoca. Anzi, forse c'è di più. Perché non si è limitato a questo, con la sua sigaretta tra i denti, con i suoi capelli al vento, con la sua collana e con la sua seconda pelle arancione. C'è stato un calcio prima e dopo il Cruyff giocatore. C'è stato un calcio prima e dopo il Cruyff allenatore. Forse, anzi, certamente, Johannes da Amsterdam non ha solo segnato un'epoca. Ma ne ha fatte terminare due e partire altrettante. Sì, forse non aveva il genio di Maradona, l'istinto di Pelè ed il fiuto di Messi. Però aveva una cosa, Johan Cruyff, che nessun altro di questi ha mai avuto. E' stato nello spazio. Ed ha scoperto, dai marziani, cose che tutti gli altri non sono ancora riusciti a capire...

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