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Ronaldo il Fenomeno: "Il 5 maggio sbagliammo noi. Iuliano? Juve non aveva bisogno di aiuti"

sabato 9 maggio 2020, 00:34Serie A
di Simone Bernabei

Luiz Nazario de Lima, in arte Ronaldo, e Alessandro Del Piero. Due divinità del pallone che questa sera, tramite una diretta Instagram hanno deciso di raccontarsi e scambiarsi battute, ricordi e aneddoti. Queste le parole di Ronaldo: “Durante l’emergenza sono stato un mese a Madrid, mi stavo annoiando. Quindi dopo un po’ sono venuto a Valladolid, 3 settimane fa, e sono qua con le mie figlie. Il mio vicino ha un campo da calcio e mia figlia mi fa da allenatore. Lei vuole allenarsi tutti i giorni, io vorrei stare tranquillo. Le piace il calcio, ha 11 anni ed è innamorata dello sport”.

La mia nuova carriera dirigenziale? “Non chiamatemi presidente, Ronnie va bene. Sono felice di aver raccolto questa sfida. Ho vissuto il calcio per tutta la vita, non mi sono mai visto allenatore perché sarebbe stata la stessa routine di quando ero giocatore. Anzi, forse peggio. L’idea di fare l’allenatore non mi fa impazzire neanche oggi. Ho provato un’esperienza in Florida, al Fort Lauderdale, squadra della Nasl (la seconda lega statunitense). Sono rimasto 1 anno e mezzo per capire cosa fosse quel ruolo. Volevo andare in MLS, sono andato a New York e ho provato a convincere i dirigenti che se avessimo vinto la Nasl saremmo dovuti salire di categoria. Mi dissero che per partecipare alla MLS dovevo pagare, qualcosa come 100 milioni di euro. Questo sistema non mi fa impazzire, come business è bello ma per il calcio non mi fa impazzire. Non vedo molto futuro per la competizione, senza promozioni, retrocessioni e rivalità non credo che il campionato possa crescere tanto. Lì ho imparato molto però, poi ho vissuto a Londra per 3 anni, ho studiato gestione, marketing e nel 2018 ho iniziato a cercare delle squadre”.

Come sono arrivato al Valladolid? “Vivevo a Madrid, durante il Mondiale mi è arrivata la possibilità del Valladolid. Mi sentivo pronto e mi sono buttato, mi piace tantissimo e mi diverto anche se ogni fine settimana è una sofferenza pazzesca. Io in carriera non ho sofferto molto, ero sempre a giocare per vincere i campionati. Essere lì per salvarsi è durissima, è una sofferenza. E’ strano, anche la comunicazione coi giocatori è una sfida. Io vedo il calcio in modo semplice, al di là di quello che facevo quando giocavo. Non era semplice il mio gioco? Nella mia testa lo era, io cercavo la porta e basta. E poi ero veloce, usavo le mie tecniche bene diciamo”.

Come reagisce il calcio in Spagna? “Questa settimana abbiamo fatto tutti i controlli, i test, vediamo come va. Il virus c’è ancora, ma i numeri sono calati tantissimo. Credo sia rischioso tornare a giocare, ma vogliamo trovare una soluzione giusta per tutti. Noi accetteremo ogni decisione. Mercoledì abbiamo fatto i test, oggi sono arrivati i risultati e nessuno è risultato positivo. Anche il mio era negativo. Da lunedì riprendono gli allenamenti, 6 giocatori in un campo e altri 6 in un altro. La prima settimana sarà tutto lavoro individuale, fisico. Poi si inizia a fare col pallone e chissà, forse per inizio giugno si potrà iniziare. Non è confermato, faranno circa un mese di allenamenti e poi vedremo”.

Perché il carnevale è importante per i brasiliani? “E’ la festa più importante in Brasile. Più di 10 giorni, è una cosa culturale. Quando sei giovane prendi decisioni stupide a volte. Io ho chiesto spesso di poter andare, ma ora capisco che avevano ragione i club che dicevano di no”.

Le scelte della mia carriera e l’arrivo all’Inter? “Non cambierei nulla delle mie scelte, anche perché in molte non avevo alternativa. A Barcellona avevo rinnovato, 5 giorni dopo mi chiamò il presidente per dirmi che non poteva rispettare ciò che avevamo firmato. Io a quel punto gli ho detto che sarei andato via, non mi sentivo importante. Per fortuna c’era l’Inter e il presidente Moratti che erano già pronti. E’ stata una storia d’amore bellissima, non solo calcisticamente. Conoscere l’Italia così è stato un regalo da parte di Dio, anche perché in quel momento il calcio italiano era il migliore. C’era rispetto. Come ha fatto il Barça a mandarmi via? Non lo so, avevo fatto 50 gol…”.

L’infortunio e cosa è cambiato dopo? “Mi ha interrotto la dinamica che avevo trovato… Avevo giocato 4-5 anni senza problemi fisici. Ne ho parlato anche con Cannavaro: prima del 2000 ci allenavamo in modo diverso rispetto agli ultimi anni. Mi allenavo con Roberto Carlos e con Cafù, dovevo andare al loro ritmo anche se non mi serviva. Io facevo solo scatti, la lunga distanza mi traumatizzava. Ogni settimana però mi facevano fare 10 chilometri. Dopo il 2000 è tutto un po’ cambiato, sono iniziati gli allenamenti personalizzati. E qui torno all’infortunio: l’unica spiegazione che trovo è che mi sono allenato male prima. Dopo ho iniziato ad allenarmi bene, ho recuperato ma mi sono fatto male nuovamente, quindi in realtà l’idea è controversa. Da questi due infortuni ho imparato molto, sono cambiato e cresciuto. Sono certamente un uomo migliore rispetto a prima, ho capito quanto era grande l’amore per il calcio. Dopo il primo ko tutti dicevano che era la fine, che non avrei recuperato. Io ero spaventato, ma sapevo che sarei tornato a giocare. Da quei momenti ho imparato una maggiore disciplina”.

Lo scontro con Iuliano nel ‘98? “Io posso capire gli errori. Capita a tutti di sbagliare e la Juve non c’entrava assolutamente nulla. Noi facevamo delle partite bellissime, la Juve non aveva bisogno di quegli aiuti”.

Se fa ancora male il 5 maggio? Il mio rapporto con Cuper pesò sugli avvenimenti? In quell’episodio, quello dell’Atalanta, avevo capito che il futuro sarebbe stato lontano da Cuper. Ma avevo rispetto per lui e volevo finire bene la stagione. Il 5 maggio è venuto dopo. Lì abbiamo perso noi la partita, senza altre interferenze. Eravamo primi, la Lazio non si giocava niente… Sono successe cose strane in settimana, si parlava di Nesta all’Inter per esempio. Ci siamo arrivati rilassati ed è stato uno sbaglio, la Lazio con quei giocatori poteva fare danni in ogni momento. Noi abbiamo perso con l’attitudine, nel come abbiamo preparato la partite. Ci furono troppe distrazioni, ma detto questo è una ferita. Ogni anno il 5 maggio mi taggano nella foto in cui piango sui social”.

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