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INTERVISTA TC - Plasmati, Matera e non solo: "Calciatori devono contare di più"TUTTO mercato WEB
© foto di Sarah Furnari/TuttoLegaPro.com
mercoledì 14 novembre 2018, 18:30Interviste TC
di Dario Lo Cascio
per Tuttoc.com

INTERVISTA TC - Plasmati, Matera e non solo: "Calciatori devono contare di più"

Il ritorno al calcio giocato, il ritorno al gol, il ritorno ai tre punti. Tutto questo è coinciso con la rete di Gianvito Plasmati, attaccante del Matera, che sabato ha fatto gioire il pubblico della sua città, riportando i lucani al successo contro la Viterbese. Era anche il suo esordio in maglia biancazzurra. TuttoC.com ha intervistato in esclusiva l’esperto giocatore classe ’83, partendo proprio dall’emozione dopo quel colpo di testa:

“Sicuramente ritrovare certe sensazioni dopo tanto tempo, dopo che molti mi davano per finito, tra virgolette – quando non giochi da due stagioni il pensiero comune è che non sei più in grado di giocare a certi livelli – è stata una bella emozione. Non mi aspettavo un esordio così positivo, sia dal punto di vista personale che di squadra. Far gol e portare i tre punti alla propria squadra è l’auspicio che ogni giocatore ha alla vigilia di una partita. Ma sinceramente non potevo immaginare andasse proprio così”.

Hai già mandato qualche frecciata a chi ti considerava un ex giocatore. Nel calcio forse ci si dimentica che i giocatori sono prima di tutto degli uomini.
“Non mi hanno ferito tanto le critiche, dopo tanti anni nel calcio ci fai l’abitudine. Non mi sono invece piaciuti gli insulti, che sono una cosa ben diversa. Dietro il lavoro di un giocatore come qualsiasi altro impiego, c’è tanto sacrificio. Giocare a certi livelli non è facile, a volte quando non viene riconosciuto il tuo lavoro non fa piacere. In conferenza mi sono un po’ emozionato perché erano due anni che accumulavo tensione, rabbia. Mi sono lasciato un po’ andare. Da un lato è bello essere veri, dall’altro forse è meglio mantenere l’aplomb”.

Tante maglie nella tua carriera ma mai quella del Matera, se non nel settore giovanile. Eri già stato vicino al club della tua città in passato?
“Ci sono state delle chiacchiere, nulla più. Voglio puntualizzare che non è mai stata mia intenzione non venire a Matera. C’era stata una chiacchierata tempo fa, successivamente si sono susseguite delle voci. Il fatto di essere di Matera in molti desideravano che io giocassi con questa maglia, ma il fatto che non si fosse concretizzata la cosa non era assolutamente un mio rifiuto. L’anno scorso non ho giocato non per mancanza di voglia, bensì perché non ho ricevute proposte soddisfacenti. Nel calcio oggi quando stai fermo sei mesi vieni considerato finito. Tutti si dimenticano quello che hai fatto e che puoi ancora fare. Si guarda poco la qualità, ma solo se sei un under, se superi una certa età non sei più buono, paradossalmente anche se hai ventidue anni. La qualità è scesa tanto a tutti i livelli”.

Plasmati al Matera ora però è realtà. Come è nata la trattativa?
“Dopo un anno fermo ero ancora indeciso su cosa fare. C’era stato un approccio con uno dei componenti della cordata materana che aveva espresso il desiderio di vedermi con la maglia del Matera. Ma era più un desiderio personale, perché i soci almeno in fase iniziale non avevano sposato l’idea. Poi però la cosa ha iniziato a concretizzarsi, ho parlato col mister con il quale abbiamo deciso di provare a vedere come sopportavo i carichi di lavoro. Mi sono messo a disposizione, ho chiesto di potermi allenare, vedere come stavo, e poi ci saremmo seduti per discutere dell’eventuale contratto. La mia firma però tardava ad arrivare, ma con l’avvento del presidente Lamberti si è fatto tutto in cinque minuti”.

Calcio italiano nel caos. Vedi una luce in fondo al tunnel?
“Secondo me, nonostante tutto, cambierà sempre poco. I protagonisti di questo gioco non sono i dirigenti, la gente va allo stadio per vedere i calciatori. Ma fin quando i giocatori non avranno il peso che meritano nelle decisioni che riguardano il calcio e saranno sempre messi in minoranza, potrà essere presidente chiunque, le regole non cambieranno mai. Perché il peso nelle decisioni delle società sarà superiore a quello dei giocatori. Ad esempio se paradossalmente si decide che la Serie C deve scomparire, i calciatori sono in disaccordo ma tutti gli altri dicono di sì, la Serie C sparisce. Ho massimo rispetto per tutti, conosco Gravina, so che è una persona per bene, così come lo sarà Ghirelli. Ma i giocatori e i loro sindacati devono avere maggior potere decisionale”.

Ad esempio in che aspetto?
“Prendiamo in considerazione la regola degli under, che ritengo folle. Ma non si fa nulla perché cambi, anzi si vuole inasprirla. A Chieti ho firmato il primo contratto da professionista non perché dovevo giocare, ma perché ero bravo. Tutti i giovani che erano miei compagni di squadra al Chieti hanno fatto carriera in Serie B e A: Quagliarella, Rajcic, Di Cecco, D’Anna. Tutti giovani del tempo”.

Si è un po’ persa la meritocrazia?
“Non solo, c’è di più. Perché si creano pure danni sociali. Un ragazzo che si sente giocatore per due anni, ma sta lì solo perché è under… di cosa parliamo? Un giocatore non può essere inserito in una squadra solo perché giovane, deve avere anche le qualità. Si fa un doppio danno: al ragazzo perché gli si danno delle aspettative non conformi al livello del giocatore, ma anche al resto della squadra. Quando giocavo in Serie A a Catania, Davide Baiocco, che per me è una persona eccezionale oltre ad un grande giocare, diceva una cosa: bisogna allenarsi a duemila, se su ventidue che fanno la partitella, due o tre non sono in forma o non si impegnano abbastanza, la qualità dell’allenamento si dimezza. Immaginiamo un allenamento con sette od otto under non al livello della Serie C. Che qualità di allenamento sarebbe?”.

Quindi bisogna tornare alla qualità.
“Se un giovane è bravo, una società ha ovviamente interesse a farlo giocare. Ma il problema è che le regole sono sbagliate. Se un club facendo giocare solo under sa di ricevere un rimborso e un altro che fa giocare solo over non ne ha, si crea una stortura. Le regole sono sbagliate, così come il presupposto. Se una società sa che facendo giocare venti under rientra nei costi, è un incentivo a far avvicinare al calcio soggetti non economicamente solidi. Invece il calcio deve fare chi ne ha possibilità e competenze. In Italia abbiamo avuto per tanti anni e tutt’ora ne abbiamo – anzi forse è anche peggio – gente che ha fatto calcio in maniera improvvisata. Nel calcio ci vogliono competenze, programmazione. Si parla del modello Juventus, chiediamoci perché funziona così bene. Non è nato dal nulla, ma da un processo lungo e costante. Con Fabio Paratici sono stato compagno di squadra. Quando giocava con me, non potendo girare come scout, si guardava le partite di notte, perché aveva già in mente l’idea di fare il direttore sportivo”.

Invece Gianvito Plasmati da grande cosa vuole fare?
“Non so cosa farò quando appenderò definitivamente le scarpe al chiodo. Per adesso le vedo ancora bene allacciate. Ad oggi è una domanda che non mi sono fatto. Ho fatto degli investimenti per quando il pallone si sgonfierà, ovviamente penso al dopo, so che non sarà un lavoro eterno. Ma finché la palla rotola e le mie gambe girano, a livello calcistico non sto ancora pensando ad un futuro senza scarpette ai piedi”.