
Quando il calcio tace, e resta solo il dolore
Il calcio, a volte, non serve più a nulla. Quando un ragazzo di ventisei anni muore per una rivalità assurda, quando una domenica allo stadio diventa soltanto dolore e smarrimento, allora ci si rende conto che le bandiere, i cori e persino i gol non contano più nulla. O meglio, non possono contare più nulla.
La partita tra Monza e Atalanta avrebbe dovuto essere una festa del calcio, un pomeriggio primaverile di passione sportiva e di speranza, almeno per i tifosi nerazzurri. E invece, nel settore ospiti, c’è stato solo silenzio. Un silenzio assordante e simbolico, interrotto esclusivamente per ricordare Riccardo Claris, il giovane tifoso atalantino ucciso nella notte da una coltellata assurda quanto inspiegabile. «Claris ovunque con noi», diceva l'unico striscione portato dai tifosi della Dea: nessuna bandiera, nessuna sciarpa, solo compostezza e dignità. Una dignità che, spesso, manca proprio a chi dovrebbe spiegare ai giovani che per una rivalità calcistica non si può perdere la vita.
Chi era presente allo stadio non dimenticherà facilmente l'immagine di quei ragazzi a testa bassa, senza voce e senza voglia. Non dimenticherà gli sguardi smarriti, le mani nelle tasche e quei pochi applausi, come quelli rivolti dai tifosi atalantini alla curva monzese che ha esposto lo striscione «Claris ultras per sempre». Un momento raro di umanità e solidarietà, che non dovrebbe essere eccezionale, ma la norma assoluta.
Ci siamo spesso chiesti cosa renda speciale il calcio, cosa lo trasformi in qualcosa di così straordinariamente capace di unire e di dividere. Eppure, quando una vita umana finisce così brutalmente e inutilmente, ci rendiamo conto che forse non abbiamo mai imparato davvero la lezione. Non l'abbiamo imparata a Torino, a Milano, a Roma o in qualsiasi altra città teatro di tragedie simili. La morte legata al tifo calcistico non è mai "casuale": è sempre il risultato di una cultura della violenza che dobbiamo affrontare con coraggio e fermezza.
Ed è proprio questa l'immagine che più colpisce della domenica monzese: il silenzio, potente e assordante, di una tifoseria intera che sceglie di rispondere con dignità e compostezza alla tragedia. Sul campo, l'Atalanta ha vinto facile, ma nessuno aveva davvero voglia di festeggiare.Perché quando perdiamo un ragazzo per questioni di tifo, perdiamo tutti. Perde la società, perde il calcio, perdono le istituzioni, perdiamo noi giornalisti - rimarca L'Eco di Bergamo nel sentito corsivo - e soprattutto perdono i tifosi, vittime e carnefici di un sistema che ha smesso di interrogarsi sul vero significato della parola "sport".
Oggi dobbiamo ascoltare quel silenzio della curva, farlo nostro, e trasformarlo in un impegno concreto. Perché Riccardo Claris non sia ricordato solo per un triste episodio di cronaca, ma diventi il simbolo di un calcio che finalmente decide di cambiare davvero.
Il calcio non potrà mai essere più importante di una vita umana. Non dimentichiamolo mai, altrimenti avremo perso per sempre.









