
Cristiano Doni: "Con la maglia dell’Atalanta mi sentivo Superman. Morfeo il più forte mai visto da vicino!"
Cristiano Doni (52 anni), intervenuto in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, ha raccontato alcuni momenti chiave della sua carriera, dall’infanzia a Verona fino all’esordio in Nazionale, passando per i ricordi più intensi con la maglia dell’Atalanta e i mancati trasferimenti in grandi club. Tra nostalgia e orgoglio, l’ex capitano nerazzurro si è soffermato sul suo legame con Bergamo e sulla maglia numero 27 che lo ha reso un simbolo per la Dea. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
UN 10 FUORI DAGLI SCHEMI – Cristiano Doni non è mai stato un trequartista convenzionale. Piedi raffinati, fisico imponente e senso del gol lo hanno reso il miglior realizzatore della storia atalantina con 112 reti. Capace di interpretare ruoli diversi – dal centravanti arretrato alla mezzala – ha saputo unire resistenza e fiuto sotto porta. «Correvo tanto e mi adattavo a più posizioni. A Bergamo Vavassori mi chiese di trasformarmi in attaccante e gli devo molto: da lì nacque la mia dimensione di goleador», racconta.
IL MONDIALE DA SOGNO – L’esordio in azzurro arrivò tardi, a 28 anni, ma fu indimenticabile. «Trapattoni mi volle con sé a fine 2001. Sei mesi dopo ero al Mondiale in Corea e Giappone, titolare contro Ecuador e Croazia. Venivo da una stagione straordinaria con 16 gol: per me fu la realizzazione di un sogno». Un’esperienza che lo rese consapevole di poter competere ad altissimi livelli.
LA FEDE PER BERGAMO – Nonostante le sirene delle grandi, Doni non ha mai lasciato l’Atalanta. «La Juventus mi cercò, ma la società non volle cedere e io non me la presi: ero felice di restare. Spalletti alla Roma mi voleva come vice-Totti, Pradè mi chiamava facendomi sentire il jingle della Champions. Avevo 34 anni e risposi che sarei rimasto dov’ero. Bergamo era casa mia». Una scelta che consolidò il suo legame eterno con la Dea.
IL COMPAGNO PIÙ TALENTUOSO – In tanti anni di carriera ha incrociato campioni, ma il giudizio è netto: «Morfeo era il più forte. Con i suoi piedi parlava una lingua che nessun altro conosceva».
L’OMBRA DEL CALCIOSCOMMESSE – La carriera di Doni si è incrinata bruscamente con lo scandalo del 2011. Arresto, condanna e un’etichetta difficile da scrollarsi di dosso. «Sono stato ingenuo e ho commesso errori. Mi hanno dipinto come un capro espiatorio, ma so quanto ho dato per l’Atalanta. All’inizio il dolore fu devastante, poi ho capito che il tempo è davvero galantuomo». La gente di Bergamo, oggi, gli restituisce affetto e stima.
LA NUOVA VITA – Dopo la tempesta è arrivata la rinascita. «Ho sofferto molto, ma mi sono rimboccato le maniche. Ora sono un imprenditore: gestisco locali a Maiorca e a Bergamo ho aperto un centro sportivo di padel. È un modo per creare comunità, e per me motivo di grande orgoglio». Accanto a lui la famiglia: «Mio figlio di 12 anni ha come idolo il Papu Gomez. Non gli mostro i miei gol, deve costruirsi la sua strada. Io spero solo che sia felice».
Tra gol memorabili, un Mondiale vissuto da protagonista e le ferite di uno scandalo che lo ha segnato, Doni ha trovato oggi la forza di guardare avanti. Per Bergamo resterà sempre un simbolo, un capitano capace di rialzarsi e reinventarsi, testimone che anche dalle cadute più dure può nascere una nuova vita.






