
Ecco il nuovo centravanti per alzare la Champions!
Il calcio è anche, soprattutto, tradizione, ma che purtroppo molto spesso viene dimenticata in un cassetto per far posto a “novità” non sempre migliorative.
È arrivato David il freddo, il nuovo centravanti canadese della Juventus, e non si sa ancora che numero di maglia sarà a lui assegnato. Ma la casacca del centravanti non era quella col 9 stampato dietro? Avete dubbi? Pare che la 9 sia ancora occupata però da Dusan, e si vocifera di dare al nuovo arrivato la numero 12. Un pochino triste come numero, quello del portiere di riserva. Quello che non giocava mai e per questo ingrassava pure. Ingrassava così tanto che, chiamato alla partita della vita, rimediava sempre a disputare figure meschine. Finiva la carriera presto e con i soldi messi da parte, apriva un bar in paese. Alla parete metteva la foto sua in mezzo agli altri compagni, perché una a lui da solo non gliela avrebbe mai fatta nessuno.
David, fatti rispettare, che si rispettino le tradizioni, tu che mi hai ricordato, un tale… Tutti giorni, terminato l'orario di ufficio all'Istituto di assicurazioni dove lavorava, Franz Kafka tornava a casa a piedi da solo, camminando a passo veloce con la testa leggermente reclinata verso il basso. Attraversava le strade affollate del centro di Praga, ma sembrava non vedere la gente che passava accanto. Non a caso chi lo ha conosciuto ha sempre avuto l'impressione che fosse circondato da una parete di vetro che lo separava dagli altri. Lui era lontano, quasi assente, in un altro mondo. Ma geniale, nessuno più incisivo di lui nelle sue opere. Beh mi auguro che il nostro nuovo centravanti sia geniale quanto il praghese.
La Juventus un centravanti unico e irripetibile lo prese… e lo regalò al mondo bianconero.
Era il 1992. I 12 stati della CEE firmano il Trattato sull'Unione Europea, meglio noto come Trattato di Maastricht, sancendo la nascita di una cittadinanza europea e gettando le basi per l'Unione Economica e Monetaria. Steffi Graf vince il Torneo femminile di Wimbledon e Andre Agassi quello maschile: dopo qualche tempo convoleranno a nozze. I bambini al cinema corrono per abbracciare Aladdin, considerato il 31º Classico Disney secondo il canone ufficiale, basato sul famoso racconto persiano di Aladino e la lampada meravigliosa contenuto nella raccolta di novelle orientali Le mille e una notte. L’Uomo Ragno è ucciso dagli 883… Si legge, si riflette, si sogna con un velo di tristezza sfogliando A sud del confine, a ovest del sole di Haruki Murakami.
È la primavera del 1992, Vialli ha 28 anni, ha giocato otto stagioni in blucerchiato, vincendo uno scudetto, una Coppa delle Coppe, tre Coppe Italia e una Supercoppa italiana. A Natale ha espresso al presidente Mantovani, “papà Paolo”, il desiderio di vivere un’avventura all’estero, Real Madrid o Barcellona. Un’assurdità, all’epoca, e infatti il presidente lo dissuase subito, non potendo ricevere in tale caso una adeguata contropartita tecnica. Il tarlo però continua a lavorare nella mente del creatore della Grande Sampdoria, che alla fine raggiunge una convinzione: cedendo uno dei suoi gioielli, il più appetito, potrebbe rifondare la squadra con un gruppo di giovani e avviare un nuovo ciclo.
E in quell’estate meravigliosa arrivò migrando in bianconero come la rondine valéryana
GIANLUCA VIALLI
il violinista capitano che alzò la Coppa dei Campioni, come scrissi quando Lassù lo convocarono per vincere tutto.
Purtroppo la commozione, i ricordi e il cuore hanno toccato la mia penna affinché scrivessi di un grande Amico del calcio e di noi tutti, di un campione esemplare, senza smettere per un istante di ringraziarlo, ascoltando quale reciproca dedica You’ve got a Friend interpretata da James Taylor e Carole King. L’Epifania tutte le feste le porta via. Proverbio mai più vero come quel 6 gennaio del 2023 che ci ha privato di un uomo, coraggioso in campo quanto nella vita, ricco di un forziere colmo di sorrisi e speranze da donare a tutti: Gianluca Vialli, una festa, una gioia per noi che lo abbiamo amato.
L’uomo coraggioso non è colui che non prova paura, ma colui che sconfigge questa paura. L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura, diceva Giovanni Falcone, e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo. Coraggio non vuol dire avere la forza di andare avanti, ma di andare avanti anche quando non si ha nessuna forza. Il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto il giudizio che c’è qualcos’altro più importante della paura: l’amore per la vita, per la famiglia, per gli amici, per il calcio e per il prossimo sconosciuto. Per tutto questo il coraggio di Vialli era simile a quello di un guerriero che lotta per altissimi ideali cercando a tutti i costi di sopravvivere per guardarli infine trionfare.
“StradiVialli”. Sì così fu appellato da Gianni Brera, probabilmente per assonanza, riferendosi al famoso liutaio cremonese Antonio Stradivari, concittadino del campione. Ebbene in quel soprannome si scorge anche un prefisso, intonato come non mai, quello stra che dal latino extra esprime l’andare oltre, e che nel nostro caso indica l’essere straordinario di Gianluca Vialli.
Dopo Paolo Rossi, Luca è stato il mio centravanti, il nostro per antonomasia, quello dei ragazzi che a cavallo degli anni ottanta e novanta si emozionavano, a prescindere dalla fede calcistica, ammirando le imprese su tutti i campi di calcio di quel ragazzino riccioluto, dalle rovesciate pazzesche, dagli occhi del colore dell’infinito e dal sorriso onesto e perbene, che faceva intravedere quello spazietto tra i denti anteriori, requisito secondo antiche leggende di genialità, bontà e fortuna.
Un liutaio, fabbricando uno strumento, permette la nascita dei più bei suoni d’ambrosia e d’oro che l’orecchio umano possa intendere. Vialli è stato di più: artigiano, violinista e violino stesso. Quei meravigliosi legni possono prestarsi a una folla di sfumature in apparenza inconciliabili, proprio come l’ultimo capitano della Juventus che alzò al cielo di Roma, d’Europa, la Coppa dei Campioni. Vialli aveva la forza, la leggerezza, la grazia, l’accento triste e gioioso, il sogno e la passione; era servitore fedele della maglia e dei tifosi, intelligente, altruista, attivo e infaticabile. Era la vera voce dell’orchestra, passionale e casta allo stesso tempo, straziante e dolce, che piange e grida e si lamenta, o canta e prega e sogna, o esplode in accenti di gioia, come nessuno altro avrebbe potuto e saputo fare.
Il violinista ascolta il legno, il suo strumento divenuto indivisibile amante, per capire cosa sia successo nel suo passato. Se l’acero o l’abete rosso che il liutaio ha scelto è stato abbattuto in un gelido inverno, le note avranno qualcosa della purezza, del candore e dell’enigma dei cristalli di neve. Se l’albero ha invece ospitato sotto le sue foglie una coppia di innamorati o ragazzini che giocavano a pallone, il suono sarà più intenso e vibrante, mieloso e caldo. Il violinista conosce il romanzo del suo strumento, ma non lo racconta a nessuno, egoisticamente lo lascia appena intuire. Gianluca Vialli invece il suo meraviglioso romanzo lo ha scritto per noi donandocelo con amore, non solo in campo vincendo tutto e realizzando reti fantastiche, acrobatiche e inimmaginabili, ma soprattutto nella vita sino all’ultima pagina: ci ha insegnato che il vero coraggio, non è rappresentato da un uomo col fucile in mano, bensì dal sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.
È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede. La vittoria, scrisse Marcel Proust, è di chi sa soffrire un quarto d’ora in più: caro Gianluca ora sai che hai vinto anche l’ultima battaglia. I violini imitano il dolce e soave rumore del vento, ora caro Gianluca sei Tu quel vento che vibra per sempre tra le corde di tutti i nostri cuori.
Roberto De Frede







