
Igor Tudor e i nomi nuovi per la panchina della Juventus
Ogni giorno un nome nuovo sulla panchina Juve.
E lui? Legge, ascolta, lavora. Come se non ci fosse e non bastasse, e i potenziali sostituti fossero migliori.
Ci sono parole che pesano. Una di queste è “traghettatore”. Nel calcio come nella vita, nessuno vuole essere il mezzo. Il ponte. Il passaggio. O sei origine o sei destinazione. Ma Tudor, da settimane, è sospeso. Allenatore della Juventus, sì, ma con una scadenza impressa in fronte. Un cartello appeso al collo: “provvisorio”.
Uno di quei post-it gialli che si attaccano e si staccano, spesso troppo in fretta.
Eppure lui lavora. Tace, ma lavora. Sta preparando la squadra per il Mondiale per Club – una vetrina importante, certo, ma anche una specie di addio preannunciato. Era lì per traghettare, per tenere a galla la barca in attesa del capitano vero. Il nome pesante. Quello che avrebbe ridato prestigio alla plancia di comando.
Ma il grande ritorno di Conte non c’è stato: ha preferito restare a Napoli, dove lo aspettano con la devozione di chi ha fame di riscatto. Gasperini ha fatto le valigie da Bergamo, sì, ma ha scelto Roma, come se per lui il fascino della Lupa valesse più della Signora.
E Allegri, ormai, è un ricordo ingombrante, come quei mobili antichi che non si sa dove mettere ma che nessuno ha il coraggio di buttare davvero.
E Igor Tudor? È ancora lì. Nel mezzo. Non chiamato, non cacciato. Un uomo solo in una stanza piena di eco.
Cosa penserà?
Non lo dice, e forse fa bene. Ma è difficile non immaginare una certa amarezza. Non solo per il trattamento, ma per il paradosso: uno che è già lì, che conosce la squadra, che ha già iniziato un lavoro concreto e che, nonostante tutto, viene trattato come un oggetto provvisorio.
Come un taxi prima di un’auto di lusso, mentre magari sui giornali si fanno i nomi più improbabili e spesso molto meno altisonanti del suo per sostituirlo.
Uno come Tudor ha la faccia da stazione di provincia in inverno. Non grida, non si agita. Ma aspetta. Come i treni minori, quelli che partono sempre, anche se non fanno rumore. E in effetti, Tudor è un tipo da panchina artigianale. Ha idee, ha spigoli, ha carattere. Non fa magie, ma fa ordine.
Non incanta, ma convince. E forse la Juve, in questo momento, non ha bisogno di un illusionista. In assenza di un vero big, ha bisogno di uno che sappia sporcarsi le mani. Uno come Igor Tudor
E lui? Legge, ascolta, lavora. Come se non ci fosse e non bastasse, e i potenziali sostituti fossero migliori.
Ci sono parole che pesano. Una di queste è “traghettatore”. Nel calcio come nella vita, nessuno vuole essere il mezzo. Il ponte. Il passaggio. O sei origine o sei destinazione. Ma Tudor, da settimane, è sospeso. Allenatore della Juventus, sì, ma con una scadenza impressa in fronte. Un cartello appeso al collo: “provvisorio”.
Uno di quei post-it gialli che si attaccano e si staccano, spesso troppo in fretta.
Eppure lui lavora. Tace, ma lavora. Sta preparando la squadra per il Mondiale per Club – una vetrina importante, certo, ma anche una specie di addio preannunciato. Era lì per traghettare, per tenere a galla la barca in attesa del capitano vero. Il nome pesante. Quello che avrebbe ridato prestigio alla plancia di comando.
Ma il grande ritorno di Conte non c’è stato: ha preferito restare a Napoli, dove lo aspettano con la devozione di chi ha fame di riscatto. Gasperini ha fatto le valigie da Bergamo, sì, ma ha scelto Roma, come se per lui il fascino della Lupa valesse più della Signora.
E Allegri, ormai, è un ricordo ingombrante, come quei mobili antichi che non si sa dove mettere ma che nessuno ha il coraggio di buttare davvero.
E Igor Tudor? È ancora lì. Nel mezzo. Non chiamato, non cacciato. Un uomo solo in una stanza piena di eco.
Cosa penserà?
Non lo dice, e forse fa bene. Ma è difficile non immaginare una certa amarezza. Non solo per il trattamento, ma per il paradosso: uno che è già lì, che conosce la squadra, che ha già iniziato un lavoro concreto e che, nonostante tutto, viene trattato come un oggetto provvisorio.
Come un taxi prima di un’auto di lusso, mentre magari sui giornali si fanno i nomi più improbabili e spesso molto meno altisonanti del suo per sostituirlo.
Uno come Tudor ha la faccia da stazione di provincia in inverno. Non grida, non si agita. Ma aspetta. Come i treni minori, quelli che partono sempre, anche se non fanno rumore. E in effetti, Tudor è un tipo da panchina artigianale. Ha idee, ha spigoli, ha carattere. Non fa magie, ma fa ordine.
Non incanta, ma convince. E forse la Juve, in questo momento, non ha bisogno di un illusionista. In assenza di un vero big, ha bisogno di uno che sappia sporcarsi le mani. Uno come Igor Tudor
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