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Sarri: "La Premier è l'NBA, noi la A italiana del basket. Te ne rendi conto da tutto"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
Oggi alle 18:28Serie A
di Alessio Del Lungo

Sarri: "La Premier è l'NBA, noi la A italiana del basket. Te ne rendi conto da tutto"

Maurizio Sarri, nuovo tecnico della Lazio, ha rilasciato una lunga intervista a Sky Sport, nella quale ha parlato davvero di moltissime tematiche riguardanti il calcio in generale, descrivendo un po' la situazione attuale del mondo del pallone: "Non so di chi sia oggi questo sport, penso che sia di chiunque abbia delle idee che poi diventano efficaci. In Italia si sta lanciando un messaggio, in Europa se ne sta lanciando un altro un po' diverso. O perlomeno, i risultati vanno in una direzione un po' diversa. In Italia si dice che il calcio moderno sia quello fatto dall'uomo contro uomo, soprattutto nella fase difensiva, ma in Europa poi il predominio è principalmente di squadre che difendono guardando la palla e che hanno tante qualità di palleggio. A livello di nazionali, mi riferisco al Portogallo e alla Spagna; a livello di club, al Paris Saint-Germain. Diciamo che i messaggi non sono univoci in questo momento".

Il primo messaggio che va lanciato in una situazione come questa qual è quindi?
"Non è tanto l'aspetto puramente tattico, l'importante è che i ragazzi abbiano delle idee e cerchino di tirarle avanti accumulando errori ed esperienza fino a che queste idee non diventino sempre più raffinate. Dal punto di vista personale, che ognuno rimanga sé stesso perché la maschera in questo mondo dura poco tempo".

In Italia ci si preoccupa della mancanza di talento.
"La verità è che non c'è più una grande connessione fra il movimento dei club e il movimento della Nazionale, lo penso da diversi anni. Non so quanti saranno i giocatori italiani elegibili per la Nazionale in Serie A, ma penso non più del 15-20%. Questo succede anche in altri campionati. Noi a livello di club negli ultimi anni abbiamo fatto bene: nel ranking UEFA un secondo posto due anni fa e un terzo posto quest'anno. Niente lascerebbe far pensare a una Nazionale che sta fuori per dodici anni dai Mondiali. Però purtroppo penso che questa forbice fra i club e le nazionali si stia allargando".

Può darci una definizione del calcio di Sarri?
"È un calcio che punta molto su grandi livelli di organizzazione, su una squadra corta e compatta che si muova con un unico pensiero. In fase offensiva mi piacerebbe avere il predominio del gioco, ma non sempre alleni squadre che hanno questa caratteristica. E tutti mi chiedono perché la mia squadra attuale non è come il Napoli del 2018... Perché ha caratteristiche completamente diverse. Noi allenatori dobbiamo sì avere un’idea di calcio, ma dobbiamo anche essere a disposizione nell'esaltare le qualità dei giocatori che abbiamo, altrimenti rischiamo di tirare di fuori i difetti e mascherare i pregi".

Le ha dato più soddisfazione il percorso che o i trofei vinti?
"Il percorso sicuramente mi ha dato soddisfazione, anche perché in tutti questi anni mi sono anche divertito e questo è impagabile, penso. I tre anni al Napoli mi hanno dato più soddisfazione dei trofei vinti perché in Italia abbiamo questa esaltazione della vittoria, del trofeo. Ci sono squadre che hanno fatto una brutta stagione, ma hanno vinto una ‘coppettina’ e allora si dice che hanno fatto bene. Questo non mi dà gusto. Nella storia del calcio ci sono dei momenti in cui si ricordano squadre che non hanno vinto. Se ti dico anni '70 tu mi rispondi Olanda. Non ha vinto niente. Quando chiedevo del grande Napoli, loro mi parlavano sì di Maradona, ma se si parlava di squadra mi dicevano il grande Napoli di Vinicio, che non ha vinto niente. Non sono d'accordo con l'esaltazione della vittoria, ci sono cose che si ricordano molto di più".


Tempo fa disse: "Un allenatore deve divertirsi, perché è fondamentale”. Un concetto lontano dalla sofferenza della panchina.
"Serve innescare nella squadra il senso di divertimento, che è contagioso. Se sei il primo ad averlo, molto probabilmente, lo trasmetti anche alla squadra. Che però deve capire che non vuol dire divertirsi in allenamento, vuol dire lavorare tanto e più degli altri per avere poi la possibilità di avere un predominio sulla partita. Se 2/3 giocatori incominciano a divertirsi, dopo cinque minuti lo fa anche tutta la squadra, poi al ventesimo minuto si divertono in 40-50.000. L’esperienza che ho vissuto a Napoli mi ha portato a pensare che quando in tutto lo stadio c'è questo senso di divertimento, si accetta anche la sconfitta".
Questa è stata l’estate dei valzer delle panchine.
"Non è che sia un gran segnale. Vuol dire che a tanti allenatori è concesso poco tempo. Una volta Klopp disse: ‘Chi giudica un allenatore dopo un solo anni di lavoro non capisce niente di calcio’. Qui si giudica dopo tre partite. Il ciclo lungo in Italia è sempre stato difficile, è riuscito a sconfiggerlo solo Gasperini. Però solo in un ciclo lungo tiri fuori veramente un modo di fare calcio. L'Atalanta è un esempio di come ormai una città intera viva di quella mentalità. Questo in Italia purtroppo è difficile, ma sono le storie più belle di calcio. Il Manchester United con Sir Alex Ferguson, il Liverpool con Klopp, il City con Guardiola… Sono quegli allenatori che poi hanno inciso non solamente nel modo di fare calcio, ma nel modo di pensare di un intero ambiente e di un'intera tifoseria che probabilmente innescano poi cose più importanti. In Italia è tutto più difficile".

Cosa le piace e la colpisce di più di un allenatore?
"Quest’anno il coraggio di Luis Enrique, mi è rimasto veramente nell'anima. Un allenatore che ha il coraggio di far fuori le più grandi star mondiali, prendere giocatori classe 2005 e poi andare a vincere... È un qualcosa di meraviglioso. In un'intervista di un anno fa dopo la cessione di Mbappé disse: ‘Noi il prossimo anno senza Mbappé giocheremo anche meglio’. È stato preso per pazzo, ma alla fine aveva ragione lui”

Lei ama molto la Premier League.
"È un campionato straordinario che si gioca con giocatori, squadre e ambienti straordinari. La Premier è l'NBA. Noi siamo la Serie A del basket italiano a confronto e te ne rendi conto da tutto: dagli stadi, dalle strutture, dai centri sportivi, dalla cultura e dalle conferenze stampa. Uno fa una conferenza stampa prepartita in Premier e c'è il giornalista giapponese, australiano, statunitense, cinese. Lì ti rendi conto della grandezza di questo campionato".

Ci racconti quest'altra sua frase: "Io non credo che giocando male pur di vincere si arrivi. Io credo che giocando bene alla fine si vince".
"Mi ricordo che in un'intervista un commentatore, quando ero Empoli alla fine di una partita terminata 2-2, mi disse: ‘Ma lei pensa veramente che giocando così lei si può salvare?’. E la risposta fu ‘perché lei pensa che giocando male io mi salvo?’. C’è questo concetto strano. Io penso che giocare bene aumenti le possibilità di andare a vincere una partita. O perlomeno, esprimere bene il calcio che hai preparato ti può aiutare. Io la penso così, poi vedo che c'è qualcuno che la pensa diversamente".