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Ranieri, la Roma come ultima Mission Impossible. Ma non è risolto tutto…
Ranieri torna a Roma. Ha fatto un giro molto lungo, sia lui che la società, prima ad arrivare a quella che sin dalle prime ore sembrava una soluzioni fra le più logiche. Romano e romanista, uno dei padri della patria, testaccino di cuore. Lo chiamavano “The Tinkerman” in Inghilterra, prima che vincesse quello straordinario campionato con il Leicester. The Tinkerman, l’aggiustatutto. Perché Claudio Ranieri sembrava che fosse perfetto nelle situazioni in cui c’era qualcosa da riparare, qualcosa di rotto che bisognava far funzionare. Lui aggiustava, rimetteva tutti in riga, ogni cosa al suo posto e poi il club proseguiva la sua strada, magari vincendo. In più di una circostanza i club in cui è stato hanno vinto un trofeo proprio nella stagione (o nelle stagioni) successive al suo “intervento”.
A Roma lo conoscono bene Ranieri. Non solo perché è romano ma perché la Roma l’ha già vissuta. E’ cresciuto calcisticamente nella Roma, ha esordito in serie A con la Roma. Per la Roma ha sempre tifato e ha finito anche per allenarla, non una ma due volte. Questa sarà la terza. La prima fu nel 2009, quando subentrò a un dimissionario Spalletti e quando contende all’Inter lo scudetto fino all’ultima giornata, la seconda 10 anni più tardi, nel 2019, quando viene chiamato a sostituire Di Francesco (di cui prenderà il posto anche l’anno successivo, alla Samp), fino a fine stagione.
Ora torna, ancora una volta per rimettere in piedi una stagione che - sportivamente parlando - si sta rivelando drammatica. Porta la sua romanità ma anche la sua straordinaria esperienza, il suo carisma, la sua passione. Ha girato l’Italia in lungo e in largo, ha girato l’Europa in lungo e in largo: Spagna, Inghilterra, Francia. E’ andato via ed è tornato. Ha allenato nazionali (Grecia). Ha vinto un campionato che rimarrà nella storia del calcio mondiale, ha vissuto le ultime stagioni a Cagliari che rimarranno nella storia anche quelle. Ha vinto la D, ha vinto la C (una volta proprio a Cagliari attraverso i playoff), ha vinto la B, ha vinto Coppa Italia e Supercoppa, ha vinto la coppa di Spagna, una Supercoppa Uefa. Avrebbe voluto smettere: ma in cuor suo sapeva benissimo che se lo avessero richiamato dalle sue due terre (Roma e Cagliari) non poteva dire di no.
Ranieri ha allenato tutti e tutto. In tutte le condizioni. E questa situazione, di Roma, non può fargli può paura di altre.
La scelta non poteva che cadere su di lui: su di lui o su Allegri (almeno secondo noi). Solo che ad Allegri avresti dovuto prospettare un percorso con un orizzonte temporale più lungo. A Ranieri, anche per motivi anagrafici, magari no. Oppure sì, ma con compiti diversi. Ma per cercare di rimettere in sesto una stagione come questa serve uno che si faccia carico di tutto, che abbia le spalle grandi per potersi permettere di portare questo peso sulle spalle.
Ci è voluto certamente più tempo del previsto per arrivare a questa conclusione. Già dai primi scricchiolii della panchina di Juric, quando era evidente che era stato respinto (come innesto) dal mondo giallorosso, il nome di Ranieri circolava. Ma circolava e basta: non c’erano stati contatti diretti.
Nelle ultime ore l’accelerata. Non sapremo se perché qualcuno non si è incastrato anche per motivi burocratici (come Montella magari) o qualcuno ha detto no o fra chi - fra i tanti che si sono proposti - non è piaciuto o non ha convinto.
Di sicuro è l’unico che non farà parlare più di De Rossi e di quello che è successo in passato. Perché anche Ranieri, come De Rossi, è un figlio di Roma.
Ma i problemi alla Roma rimangono. RImane il grande punto interrogativo di come sia stato possibile il 10 di novembre dichiarare completamente fallito un progetto. Tutto quello che c’era due mesi fa non c’è più. Non c’è più De Rossi, non c’è più Lina Souloukou, non c’è più l’ambizione di migliorare l’annata precedente con la vittoria di qualche trofeo e la qualificazione in Champions League.
E questo non è (stato) un problema di Juric. Juric in qualche modo è stato una vittima.
La Roma ha trovato l’allenatore: in questa situazione una delle migliori scelte possibili, se non la migliore. Ma ancora manca tutto il resto. Manca un dirigente di calcio integrato nel nostro calcio che possa supportare l’allenatore e indirizzare la società, manca un amministratore delegato che possa fare da cuscinetto fra la proprietà e la piazza. Non chiediamo che i Friedkin parlino: non è necessario fare interviste. Ma è necessario che qualcuno, per nome e per loro conto, possa parlare per capire in che direzione ora si sta muovendo la Roma. Perché a forza di comunicati stampa, le domande rimangono irrisolte e i dubbi invece di dissiparsi aumentano, contribuendo a rendere il clima sempre più incandescente.
E’ questo lo scollamento che si nota, che si percepisce, che si vive.
Ranieri può colmare una parte di questa distanza. Il resto lo deve fare una dirigenza competente, preparata e seria. A meno che non voglia davvero metterci la faccia Friedkin.
A Roma lo conoscono bene Ranieri. Non solo perché è romano ma perché la Roma l’ha già vissuta. E’ cresciuto calcisticamente nella Roma, ha esordito in serie A con la Roma. Per la Roma ha sempre tifato e ha finito anche per allenarla, non una ma due volte. Questa sarà la terza. La prima fu nel 2009, quando subentrò a un dimissionario Spalletti e quando contende all’Inter lo scudetto fino all’ultima giornata, la seconda 10 anni più tardi, nel 2019, quando viene chiamato a sostituire Di Francesco (di cui prenderà il posto anche l’anno successivo, alla Samp), fino a fine stagione.
Ora torna, ancora una volta per rimettere in piedi una stagione che - sportivamente parlando - si sta rivelando drammatica. Porta la sua romanità ma anche la sua straordinaria esperienza, il suo carisma, la sua passione. Ha girato l’Italia in lungo e in largo, ha girato l’Europa in lungo e in largo: Spagna, Inghilterra, Francia. E’ andato via ed è tornato. Ha allenato nazionali (Grecia). Ha vinto un campionato che rimarrà nella storia del calcio mondiale, ha vissuto le ultime stagioni a Cagliari che rimarranno nella storia anche quelle. Ha vinto la D, ha vinto la C (una volta proprio a Cagliari attraverso i playoff), ha vinto la B, ha vinto Coppa Italia e Supercoppa, ha vinto la coppa di Spagna, una Supercoppa Uefa. Avrebbe voluto smettere: ma in cuor suo sapeva benissimo che se lo avessero richiamato dalle sue due terre (Roma e Cagliari) non poteva dire di no.
Ranieri ha allenato tutti e tutto. In tutte le condizioni. E questa situazione, di Roma, non può fargli può paura di altre.
La scelta non poteva che cadere su di lui: su di lui o su Allegri (almeno secondo noi). Solo che ad Allegri avresti dovuto prospettare un percorso con un orizzonte temporale più lungo. A Ranieri, anche per motivi anagrafici, magari no. Oppure sì, ma con compiti diversi. Ma per cercare di rimettere in sesto una stagione come questa serve uno che si faccia carico di tutto, che abbia le spalle grandi per potersi permettere di portare questo peso sulle spalle.
Ci è voluto certamente più tempo del previsto per arrivare a questa conclusione. Già dai primi scricchiolii della panchina di Juric, quando era evidente che era stato respinto (come innesto) dal mondo giallorosso, il nome di Ranieri circolava. Ma circolava e basta: non c’erano stati contatti diretti.
Nelle ultime ore l’accelerata. Non sapremo se perché qualcuno non si è incastrato anche per motivi burocratici (come Montella magari) o qualcuno ha detto no o fra chi - fra i tanti che si sono proposti - non è piaciuto o non ha convinto.
Di sicuro è l’unico che non farà parlare più di De Rossi e di quello che è successo in passato. Perché anche Ranieri, come De Rossi, è un figlio di Roma.
Ma i problemi alla Roma rimangono. RImane il grande punto interrogativo di come sia stato possibile il 10 di novembre dichiarare completamente fallito un progetto. Tutto quello che c’era due mesi fa non c’è più. Non c’è più De Rossi, non c’è più Lina Souloukou, non c’è più l’ambizione di migliorare l’annata precedente con la vittoria di qualche trofeo e la qualificazione in Champions League.
E questo non è (stato) un problema di Juric. Juric in qualche modo è stato una vittima.
La Roma ha trovato l’allenatore: in questa situazione una delle migliori scelte possibili, se non la migliore. Ma ancora manca tutto il resto. Manca un dirigente di calcio integrato nel nostro calcio che possa supportare l’allenatore e indirizzare la società, manca un amministratore delegato che possa fare da cuscinetto fra la proprietà e la piazza. Non chiediamo che i Friedkin parlino: non è necessario fare interviste. Ma è necessario che qualcuno, per nome e per loro conto, possa parlare per capire in che direzione ora si sta muovendo la Roma. Perché a forza di comunicati stampa, le domande rimangono irrisolte e i dubbi invece di dissiparsi aumentano, contribuendo a rendere il clima sempre più incandescente.
E’ questo lo scollamento che si nota, che si percepisce, che si vive.
Ranieri può colmare una parte di questa distanza. Il resto lo deve fare una dirigenza competente, preparata e seria. A meno che non voglia davvero metterci la faccia Friedkin.
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