
Sacchi: "Il mio Milan lo hanno copiato in tutto il mondo. Ma in Italia siamo sempre in ritardo"
Cosa è rimasto di quel Milan e della sua lezione?
"Ci hanno copiato in tutto il mondo, lo disse anche Costacurta qualche anno fa, ma noi siamo in ritardo su tutti i fronti, questo è un Paese ritardato a livello culturale, che è stato uno dei Paesi che ha illuminato il mondo. Le nostre Università non sono quelle di prima, gli insegnanti altrove percepiscono il doppio, il quadruplo dei nostri. Una volta venivano in Italia, ora andiamo noi all'estero, il calcio è lo specchio della nostra società. A 11 anni io sentivo sempre dire che i tedeschi erano dei crucchi ma vidi che giravano con Porsche, Mercedes, mentre gli italiani facevano i lavori più umili, e lì che io non ho mai creduto nella furbizia. Nel calcio noi volevamo vincere perché dominavamo e io ho avuto la fortuna di trovare sempre dei presidente pazienti e competenti. Uno per uno fa uno e uno per undici fa undici, nessuno riuscirà mai a essere un collettivo da solo.
Io volevo i giocatori bravi che giocassero con la squadra e per la squadra, fare squadra in questo Paese individualista e ignorante è la cosa più improbabile. Non tutti, io di fatto cercavo di trovare questi ragazzi. Quando andai al Parma, il Parma era retrocesso in C, di 23 giocatori ne tenni 3, m portai dietro i giocatori che conoscevo. Allodi, che è stato per me uno dei più grandi, aveva percepito subito che quello che aveva fatto la Francia l'avrebbe portata a essere una big. Fino al 1975-80 la Francia a livello calcistico non era una grande nazione. Noi siamo vecchi, devi cercare di lavorare prevedendo, anticipando, trovare dei ragazzi che io dicevo con Berlusconi. C'era un giocatore che giocava in nazionale e sapevo che passava la notte sempre fuori, dissi: 'se continuiamo a tenerlo poi lo seguiranno gli altri'. Io gli dissi di non comprare nessuno, c'era già la sua riserva. Poi gli dissi: abbiamo già Costacurta, gioca in C. Avere fiducia nelle tue idee ti permette di prevenire. Io ero convintissimo di quello che stavo facendo. Ancelotti aveva problemi alle articolazioni ma io sapevo che lui era una persona affidabile, generosa, aveva entusiasmo, ti dava forze, e dissi con Berlusconi. Il mercato terminava il sabato mattina, venerdì notte all'1 mi dice di aver fatto l'accordo con la Roma ma devi chiamare il presidente. Lui non voleva, io gli dissi che se mi prendeva Ancelotti avremmo vinto il campionato. Mi prese Ancelotti e abbiamo vinto il campionato".
La cultura della sconfitta: "La cultura della sconfitta non interessa, devi avere delle persone che cercano di non perdere perché giochiamo meglio, corriamo meglio di loro, abbiamo più entusiasmo. Quando perdi hai perso e in quel momento non devi spingere. I giornali cosa fanno? Non aiutano, non tutti, ci sono sempre degli interessi. Siamo disonesti e questo non va bene. Siamo furbi, abbiamo 2.870 miliardi di debito e se non fossimo stati furbi come avremmo fatto? Se ne esce con la cultura e non ci siamo. Se ne esce credendo di non essere in Dio. Io credevo nella bellezza, nelle emozioni, nello spettacolo, nell'innovazione: senza conoscenza non ci può essere né innovazione e né coraggio. Stiamo vivendo un momento terribile, nella vita, e dobbiamo cercare di affrontarlo in un modo positivo, cercando di affrontare la strada per venirne fuori. Nel calcio parlavano di mafia, spaghetti e catenaccio. C'erano solo ue parole nel libro della FIFA, due parole italiane, erano catenaccio e libero. I padri fondatori di questo sport lo avevano pensato come uno sport di squadra offensivo che ha perso le sue caratteristiche originarie in Italia, dove noi lo abbiamo tramutato in un calcio di singoli e difensivo. L'ultima volta che siamo andati all'attacco era con i Romani, con il sistema testuggine. Nel calcio è la stessa cosa. Dovevamo giocare contro il Napoli di Maradona, Careca, e io dicevo: se abbiamo il pallone noi non ce l'hanno loro, poi se quando ce l'hanno loro li andiamo ad aggredire subito il passaggio non sarà così preciso, Maradona riceverà palla ma a centrocampo. Se mi ispiravo a Giulio Cesare? No, non mi ispiravo a lui anche perché ha fatto una brutta fine".







