Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomoempolifiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliparmaromatorinoudinesevenezia
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloturris
Altri canali euro 2024serie bserie cchampions leaguefantacalciopodcaststatistiche
tmw / napoli / Esclusive
Clemente di San Luca a TN: "Analisi sulla stagione e sulla natura del tifo napoletano"
domenica 1 giugno 2025, 16:15Esclusive
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Clemente di San Luca a TN: "Analisi sulla stagione e sulla natura del tifo napoletano"

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, traccia un bilancio sulla stagione del Napoli (leggi qui la prima parte dell'analisi).

"Un particolare è passato sotto silenzio. Venerdì sera, benché fosse stata organizzata la esibizione di cantanti e uomini dello spettacolo partenopei, dopo la premiazione, lo stadio s’è svuotato. Il popolo azzurro manifesta insofferenza alle forme organizzate. Vuole esprimere la sua gioia pienamente, con la spontaneità che gli è propria. Tutti a sciamare per le strade, abbracciandosi, ridendo, canzonando gli avversari.

Il risveglio, sabato mattina, mi ha visto del tutto afono. La città per strada respirava una serena, dolcissima, pacata, autentica felicità. Si percepiva fortemente quanto Maurizio De Giovanni espresse, in maniera sublime, nella trasmissione di una TV locale di qualche tempo fa, per spiegare la specialità del nostro tifare. «Dovunque nel mondo, ma anche dall’altra parte della terra, due napoletani si riconoscono, si sorridono, si fanno l’occhiolino e poi uno dei due dice, “ma ’sto Napoli?” Noi siamo quelli che, quando devono essere presi in giro – diciamo così – o anche offesi, si fa riferimento al territorio, si fa riferimento al vulcano, si fa riferimento al fuoco. Si fa riferimento alla terra, perché noi siamo quelli di questa terra. Quindi noi non siamo tifosi di una coppa, non siamo tifosi di una stella, non siamo tifosi di una vittoria. Noi siamo tifosi di una canzone. Siamo tifosi di un profumo. Siamo tifosi di un sapore. Siamo tifosi di un territorio. Noi siamo identitari. Noi siamo quelli che sono tifosi di una terra. Noi siamo tifosi di noi stessi, perché ci riconosciamo. Non andiamo dietro al voler essere vincenti. Noi siamo vincenti perché abbiamo già vinto. Perché noi siamo tifosi di noi stessi. Noi siamo i tifosi del Napoli».

Chiunque si riconosca in questa descrizione – ed io mi ci riconosco appieno – è chiamato a confrontarsi con l’accusa, proveniente dalla stampa, anche nostrana, di professare un’immagine stereotipata. Ora, dicesi stereotipo – per non essere impreciso sono andato a cercare sulla Treccani on line – «qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, su persone o gruppi sociali». In altre parole, una «opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni». Un cliché, e cioè un «luogo comune», una «frase fatta».

Per affrancarsi dallo stereotipo, dunque, è indispensabile stabilire correttamente quale esso sia con riferimento al modo di essere, all’antropologia, all’ethos (il comportamento e le abitudini di vita di una comunità territoriale) di Napoli. Di questa terra, tanto bella e affascinante quanto complessa e articolata. Se è così, allora, con ogni probabilità è stereotipo quello che, nella incapacità di leggere le sue radici profonde nell’epicureismo, pretende di ridurre la specificità assoluta di Napoli a realtà omologata ai paradigmi della cultura mitteleuropea protestante (calvinista o luterana che sia).

L’antico e nobile quotidiano partenopeo fondato da Scarfoglio e Serao (ormai divenuto foglio di propaganda del governo di destra, megafono appiattito, celebrativo ed acritico delle posizioni assunte dalla premier, rappresentata – a torto e con palesi forzature – quale usbergo a difesa del Mezzogiorno) evoca la «magia della normalità». Credo gli si debba rispondere così.

La nostra normalità è nella fantasia, nella creatività, nella immaginazione, nella resilienza, nella naturale capacità di resistere alla omologazione. La nostra specificità è nel superare la dicotomia «individualismo/collettivismo». Perché rifiutiamo di annegare il primo nel secondo. La peculiarità della nostra identità è nella capacità di sommare gli individualismi, non di sintetizzarli. La sintesi degli individualismi finisce spesso per azzerarli, generando il collettivismo. Noi non abbiamo mai sofferto – e, dunque, non abbiamo mai dovuto liberarci dal – la «sindrome del futuro». Il nostro marchio di fabbrica è sempre stato, e verosimilmente sarà, saper cogliere l’attimo, saper vivere alla giornata. Carpe diem.

Ogni programmazione, intesa come visione e/o attitudine progettuale, mai potrà risolversi qui in rigida pianificazione di tipo sovietico. L’«elogio della normalità» è clamorosamente contraddetto dai fatti della festa di popolo. Questa suggerisce, a chi invita a superare gli stereotipi, di riconoscere quello che propina. Di saper guardare la trave nel proprio occhio.

L’èthos del popolo napoletano – quello che i borghesi rivoluzionari del 1799, restando alieni dalla plebe, non riuscirono a capire, finendo per far fallire la nobile idea della rivoluzione liberal-democratica – aspira a coniugare il bello col vincente. Senza escludere di poter persino unire bellezza e vittoria con sregolatezza. Perché non sempre è vera la equazione tra organizzazione e vittoria. Perché non necessariamente tutto si costruisce a tavolino.

Napoli è ancora viva proprio perché il processo di omologazione, già compiutosi altrove, qui non lo è ancora del tutto. Qui è tuttora possibile combinare modernità e tradizione, senza che l’una schiacci e disperda il patrimonio dell’altra. Perché siamo in grado di assorbire i più diversi orientamenti culturali, le manifestazioni di pensiero più varie. La città porosa, infine, nella sua complessità, forse unica, certamente assai peculiare, non può essere appiattita sulla componente camorristica. Che nessuno può o vuole negare. Ma ritenere che tra camorra e modernità tertium non datur è sempre stata una pericolosa semplificazione.

Ai napoletani che non hanno a che vedere con la camorra – la grande maggioranza –, per ‘consentirgli’ di aver luogo nel futuro, non si può chiedere di rinunciare al loro particolare modo di essere. Essi, per vincere, non devono per forza tradirlo. Non si devono piegare al modello del ‘risultato’ ad ogni costo. Possono e devono ancora coltivare la ricerca della vittoria attraverso la bellezza. Massimizzando la loro fantasia. La loro creatività. La loro laboriosità pigra, fondata sull’ozio contemplativo, che non conosce l’accidia".