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30 maggio 1994: il suicidio del capitano della Roma. Di Bartolomei si spara con una S&W
Il 30 maggio del 1994 è una data che tutti i tifosi romanisti hanno in fondo al cuore, anche se per le ragioni sbagliate. Non è un gol, non è un trofeo alzato, bensì una Smith & Wesson 38 Special che viene utilizzata come arma per suicidarsi. Agostino Di Bartolomei si sparò nel petto, senza lasciarsi scampo, esattamente dieci anni dopo la finale di Coppa Campioni della Roma contro il Liverpool. Quella famosissima, con i romanisti pronti ad alzare la Coppa e Grobelaar che ballava sulla riga di porta come Jerzy Dudek nel 2005, facendo sbagliare i rigoristi giallorossi. Non era l'eco del decennio a far vivere nel malessere l'ex capitano, bensì altri fantasmi, economici soprattutto.
Trentanove anni, una vita di successo e il suicidio. Non era depressione ma sconforto per quanto successo alla sua attività a San Marco di Castellabate, un paesino nel salernitano eretto a residenza, con i figli. Di Bartolomei vorrebbe investire in un centro sportivo - mettendoci sin da subito gran parte del proprio patrimonio - che però avrebbe bisogno di un prestito bancario per coprire tutte le ingenti spese. Qualche errore di troppo e il dopo pallone, una volta, era molto diverso da quello attuale. Cifre alte ma non da milioni come ora, come potrebbe prendere il capitano della Roma.
"Mi sento come chiuso in un buco", la frase lasciata sul biglietto di commiato. Perché il mondo del pallone era serrato e, forse, tutto il resto incominciava a montare senza avere la possibilità di essere fermato. O la sensazione, che poi è la stessa cosa. Ventinove anni fa Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma, tre anni al Milan e poi Salernitana e Cesena. Incredibilmente - e questo dà forse la dimensione di quella Serie A piena zeppa di italiani e pochissimi stranieri - non ha mai indossato la casacca della Nazionale.
Trentanove anni, una vita di successo e il suicidio. Non era depressione ma sconforto per quanto successo alla sua attività a San Marco di Castellabate, un paesino nel salernitano eretto a residenza, con i figli. Di Bartolomei vorrebbe investire in un centro sportivo - mettendoci sin da subito gran parte del proprio patrimonio - che però avrebbe bisogno di un prestito bancario per coprire tutte le ingenti spese. Qualche errore di troppo e il dopo pallone, una volta, era molto diverso da quello attuale. Cifre alte ma non da milioni come ora, come potrebbe prendere il capitano della Roma.
"Mi sento come chiuso in un buco", la frase lasciata sul biglietto di commiato. Perché il mondo del pallone era serrato e, forse, tutto il resto incominciava a montare senza avere la possibilità di essere fermato. O la sensazione, che poi è la stessa cosa. Ventinove anni fa Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma, tre anni al Milan e poi Salernitana e Cesena. Incredibilmente - e questo dà forse la dimensione di quella Serie A piena zeppa di italiani e pochissimi stranieri - non ha mai indossato la casacca della Nazionale.
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