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L'Atalanta, il sogno Milan, il Celtic: Massimo Donati si raccontaTUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
ieri alle 20:45Storie di Calcio
di TMWRadio Redazione

L'Atalanta, il sogno Milan, il Celtic: Massimo Donati si racconta

Da San Vito al Tagliamento al Celtic Park. Una storia incredibile quella di Massimo Donati, una di quelle storie che solo il calcio sa regalare. Cresciuto nei settori giovanili del Sedegliano, dell'Ancona Udine e del Donatello Calcio, si fa notare e viene preso dal club che più di ogni altro è sempre stato all'avanguardia per la scelta dei giovani talenti: l'Atalanta. E con Bortolo Mutti come allenatore, esordisce nel campionato di Serie B con la maglia nerazzurra nella stagione 1999-2000 contro il Cosenza e contribuisce alla promozione in Serie A della squadra bergamasca con 20 presenze e una rete. E finisce addirittura nella lista dei migliori giovani calciatori stilata da Don Balón. 

"Ci sono state cose belle ma anche diverse difficoltà, ma ci sta in una carriera. L'importante è superare certi momenti, insistere, non mollare mai - ha ammesso Donati a Storie di Calcio, trasmissione di TMW Radio -. Alla fine ho avuto una carriera buona, non ottima. Forse avrei potuto fare qualcosa in più. Ma non mi piace guardarmi indietro e avere rimpianti. Ho avuto la fortuna da ragazzo di non avere grandi cose se non il pallone. Sono cresciuto in campagna vicino Udine e il pallone è diventata subito la mia passione. Ero ancora alle elementari, venne una tv a intervistare i bambini nella mia scuola. E io dissi che mi piaceva il mio paese ma volevo andarmene per giocare a calcio. Ho avuto sempre la determinazione per arrivare e diventare un calciatore. E ho avuto la fortuna di incontrare una società che crede molto nei giovani come l'Atalanta, che mi ha fatto crescere, in primis come persona. Arrivai in breve in prima squadra, e feci l'esordio in Serie B per poi approdare in Serie A. Sono stato bravo io ma sono capitato al posto giusto nel momento giusto. Sempre però accompagnato da una fame che non hanno in molti". Fame che oggi riscontra poco tra i ragazzi: "Io oggi che sono allenatore sono mosso sempre da questa fame. Oggi questi ragazzi crescono in maniera diversa, ma gli manca quella necessità che invece noi avevamo".

E ha confessato: "Tifavo Milan da ragazzino e sono cresciuto con Rijkaard, Van Basten e Gullit. Rijkaard era il mio modello, volevo diventare come lui". Ma quella maglia è arrivato a indossarla davvero, nel 2001: "Il Milan comprò la metà la metà del mio cartellino l'anno della promozione in A con l'Atalanta e disse che avrebbe visto poi la mia evoluzione per comprare l'altra. E così poi è stato. L'anno di Serie A fu ottimo e quindi il Milan mi prese. Sapevo che ero loro ma ancora non ero arrivato. Avevo fame di arrivarci e alla fine quando firmai fui davvero felice. I dirigenti dell'Atalanta mi dissero che forse era il caso che rimanessi ancora un anno per maturare, ma il richiamo del Milan era troppo forte. Forse avevano ragione loro, ma non ho rimpianti".

Con la maglia rossonera colleziona 17 presenze, quasi sempre da subentrato. Poi inizia un lungo viaggio in prestito fino al 2007 tra Parma, Torino, Sampdoria, Messina e di nuovo Atalanta: "Non fu colpa dell'esplosione di Pirlo a darmi poco spazio. All'inizio ebbe poco spazio anche lui. All'inizio giocavano Albertini, Ambrosini, Pirlo invece cominciò a giocare di più nella seconda metà della stagione quando Ancelotti lo abbassò come play. La verità è che quando giochi per club importanti come il Milan è un altro sport, perché non ci sono solo le doti fisiche, tecniche e tattiche, ma c'è un aspetto mentale che devi avere molto forte. Devi essere pronto a indossare quella maglia e giocare a San Siro e non tutti hanno subito certe caratteristiche. Condividere però lo spogliatoio con certi campioni è stato incredibile. Era un sogno, c'erano giocatori pazzeschi". 


E sulle altre esperienze ha detto: "Tra Messina e il prestito all'Atalanta sono davvero maturato - ha ammesso Donati -. Tornai a Bergamo senza stress, sapevo delle mie qualità e che cosa potevo dare". Poi il 29 giugno 2007 passa a titolo definitivo alla società scozzese del Celtic, una delle squadre più iconiche a livello europeo: "E' stato sicuramente il momento più alto della mia carriera come emozione pura. Segnare in quello stadio è qualcosa di incredibile, ho vissuto momenti bellissimi". Una data da ricordare quella del 28 novembre 2007, quando segna il suo primo gol in carriera in Champions League a tempo scaduto al Celtic Park il gol che vale la vittoria della sua squadra nei confronti degli ucraini dello Shakhtar Donetsk: "Qualcosa di incredibile. Fu uno dei momenti più alti per me". Poi ha ricordato una chiamata speciale di Shevchenko: "Fu lui che mi chiamò e mi disse dell'opportunità del Celtic, perché conosceva il proprietario. Mi informai col mio procuratore, capii bene di cosa si parlava e alla fine l'affare si fece. Mi porto dietro il modo di vivere il calcio, perché qui sei sempre sotto tiro, lì si pensa più alla partita e non pensano al fatto che un giocatore non ha datto tutto, perché per cultura si da sempre tutto per la maglia".

Poi una carriera che lo ha visto giocare anche per Bari, Palermo, Verona e altre due esperienze estere tra Hamilton Academical e St.Mirren: "A Bari arrivai ad agosto e feci subito gol contro l'Atalanta. Il primo anno fu incredibile. A Bari si vive per il calcio, avevamo una bella squadra, le cose andavano bene e il primo anno fu incredibile. La stagione dopo purtroppo no, e andai a Palermo. Una piazza molto simile, dove i primi sei mesi andò bene ma poi la stagione successiva, nonostante avessimo Gasperini, non andò proprio. Avevamo una squadra forte, giocavamo benissimo ma le partite che dovevamo vincere le perdevamo. Era una stagione che doveva andare così purtroppo, la classica stagione sfortunata e purtroppo retrocedemmo".

Infine sui tecnici fondamentali nella carriera di Donati: "Ventura e Gasperini. Ma alla fine tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno dato qualcosa, dando sempre il massimo per loro e apprendere il più possibile. Ma con loro avevamo una preparazione alla partita talmente precisa che io potevo giocare le partite anche a occhi chiusi, sapevo già cosa fare". Infine su due suoi ex compagni ha detto: "Dybala non pensavo potesse fare quello che ha fatto. E' stato bravissimo a livello tecnico e mentale, era un ragazzino quando è arrivato a Palermo ma ha fatto cose incredibili poi. Pinardi pensavo avesse qualità per fare grandi cose, aveva delle movenze alla Zidane, ha fatto la sua carriera ma non ha avuto quello che meritava".