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ESCLUSIVA TC - Pepe Herrera: "Avrei voluto chiudere la mia carriera in rossoblù. Godin? Forse lui e il Cagliari non si sono incontrati al momento giusto. Col Parma come nel secondo tempo dell'Unipol Domus"
sabato 3 giugno 2023, 14:13Primo piano
di Matteo Bordiga
per Tuttocagliari.net

ESCLUSIVA TC - Pepe Herrera: "Avrei voluto chiudere la mia carriera in rossoblù. Godin? Forse lui e il Cagliari non si sono incontrati al momento giusto. Col Parma come nel secondo tempo dell'Unipol Domus"

Dei tre uruguaiani sbarcati in Sardegna dopo il Mondiale di Italia ’90 era forse il meno reclamizzato. Sicuramente il meno conosciuto. Eppure José Oscar Herrera, per tutti “Pepe”, ha saputo conquistarsi un posto speciale nel cuore dei tifosi cagliaritani, tanto che ancora oggi viene ricordato con grande simpatia e affetto.

Mediano incontrista tignoso e caparbio, ma anche abile finalizzatore e maestro negli inserimenti in area avversaria, il jolly del centrocampo originario di Tala rivestiva un ruolo strategico tanto nel Cagliari di Claudio Ranieri, appena sbarcato in serie A, quanto nella squadra che stupì l’Italia e l’Europa con la qualificazione alla Coppa Uefa nel 1993 e la successiva campagna continentale (quasi) trionfale, spezzata solo dall’Inter in una drammatica semifinale.

A trent’anni di distanza Pepe Herrera torna spesso in Sardegna, per stare vicino a quei colori rossoblù che ormai si è tatuato sulla pelle. Sarebbe voluto rientrare anche per la semifinale playoff con il Parma, ma “mia figlia sta per partorire e non posso proprio spostarmi in questo momento”. Poco male: farà sentire il suo sostegno incondizionato alla causa cagliaritana anche dal Sudamerica.

Pepe, riavvolgiamo il nastro della memoria. Estate 1990, lo sbarco in Sardegna: come andò la trattativa e che squadra trovò al suo arrivo nell’Isola?

“Fu tutto molto veloce. Durante Italia ’90 arrivò la proposta del Cagliari, che accettai immediatamente perché all’epoca giocare in Italia e in serie A, il campionato più importante d’Europa, era il sogno di tutti.

Il Cagliari veniva da una promozione dalla serie B, e la piazza era l’ideale per un calciatore uruguaiano: in Sardegna si viveva il calcio come da noi in Sudamerica, per cui c’erano tutti i presupposti per trovarsi bene e per fare un buon lavoro. Non esitai a firmare il contratto, e col senno di poi si può dire certamente che non ho sbagliato.

L’accoglienza dei sardi fu eccezionale. C’è da dire che all’epoca non ero un giocatore molto conosciuto: dei tre uruguaiani che giunsero quell’anno a Cagliari l’unico famoso era Enzo Francescoli, già un campione affermato. Ma io e Daniel Fonseca fummo trattati esattamente alla stessa maniera di Enzo, e questo ci aiutò a rendere al meglio e a superare i momenti di difficoltà che si presentarono all’inizio di quel campionato di serie A. I tifosi ci fecero subito capire che erano con noi e che ci avrebbero sostenuto sempre e comunque, dandoci grande serenità e facendoci ambientare nel migliore dei modi.”

Il campionato 1990-’91 si concluse con una salvezza insperata alla fine del girone d’andata, frutto di un girone di ritorno quasi da Coppa Uefa. Quale fu il segreto di quella svolta?

“Il mister Ranieri fece un lavoro enorme. Non solo noi uruguaiani non conoscevamo la serie A, ma non la conoscevano neanche i nostri compagni, che provenivano dalla B. Se non erro solo Matteoli aveva avuto esperienze importanti in massima divisione. Per il resto eravamo tutti dei novizi. C’era bisogno di tempo per capire come giocare e come affrontare quegli squadroni che si incontravano ogni domenica. Nel girone d’andata pagammo lo scotto dell’inesperienza, ma dopo il giro di boa cambiammo atteggiamento e la squadra rese per quelle che erano le sue reali possibilità. Cominciammo a fare risultati e alla fine conseguimmo una salvezza meritatissima: eravamo più che degni di mantenere il posto in serie A.”

Piccolo salto in avanti: 1993, l’approdo in Coppa Uefa con Mazzone in panchina. Come giocava quella squadra memorabile, che diede una soddisfazione impagabile a tutta la Sardegna, e che ricordo ha del tecnico di Trastevere?

“La squadra non era cambiata molto rispetto a due anni prima. Qualche rinforzo importante era arrivato, ma l’ossatura di base era rimasta. Soprattutto eravamo allenati da un mister che non ci dava tregua: Mazzone era un martello pneumatico, ci faceva lavorare come dei matti e ci trasmetteva tutta la sua straordinaria carica.

Facemmo un campionato splendido, raggiungendo un traguardo all’inizio non preventivato. La caratteristica principale di quel Cagliari era che i gol non venivano solo dagli attaccanti, ma anche dai centrocampisti e dai difensori. Era una squadra che aveva tante reti nelle sue gambe. Ovviamente le punte erano fortissime – penso a Oliveira e a Francescoli – ma anche gente come Moriero, Matteoli, Pusceddu, Napoli e Firicano aveva dimestichezza col gol. Pure io, che avevo compiti più difensivi che offensivi, potevo inserirmi, entrare in area e calciare. Insomma, segnavamo un po’ tutti.”

Il grande rimpianto del 1994: dopo un percorso quasi netto in Europa, la caduta dinnanzi all’Inter in semifinale, a un passo dal traguardo. Cosa vi è mancato per coronare il sogno di tutta l’isola?

“Direi che è mancato poco. Abbiamo fatto una coppa Uefa meravigliosa, incontrando sul nostro cammino avversari durissimi che siamo stati molto bravi noi a far sembrare abbordabili. In semifinale abbiamo trovato l’Inter, che in quel momento secondo me era la formazione più forte del torneo. Dopo il successo ottenuto in casa, a Milano ci è mancato fare gol prima che l’Inter passasse in vantaggio. Avevamo avuto qualche palla per andare noi sull’1-0, che purtroppo non avevamo sfruttato. Andare sotto a San Siro è stato deleterio, perché poi per cercare di rimontare abbiamo lasciato spazio ad attaccanti micidiali come quelli che aveva l’Inter. Se fossimo passati in vantaggio noi avremmo potuto gestire meglio la gara. Poi c’è da dire che qualche fischio arbitrale non ci ha esattamente favorito: c’era almeno un rigore netto per noi che l’arbitro inglese non ha visto.”

Il suo ultimo anno a Cagliari, stagione 1994-’95. Che ricordo ha di Tabarez e di quel campionato, in cui sfioraste nuovamente la qualificazione in Coppa Uefa?

“Non posso che parlare bene di Tabarez: ce l’ho avuto al Penarol, al Cagliari e nella Nazionale uruguaiana. È stato come un padre calcistico per me. Quella stagione fu molto positiva: rimanemmo fino all’ultima giornata in lizza per un posto in Coppa Uefa, perdendo il treno solo a Torino contro la Juventus Campione d’Italia. Ma il nono posto finale fu comunque un buon traguardo. L’unico peccato è stato che, dopo quell’anno, ho dovuto abbandonare la Sardegna. Fosse stato per me sarei rimasto a Cagliari fino alla fine della mia carriera. Ma nell’estate del 1995 la società fece altre scelte. Se non erro c’era da liberare un posto per un altro extracomunitario in rosa, quindi scelsero di sacrificare me.”

Lei continua tutt’oggi a seguire con affetto le vicende del Cagliari. Qualche anno fa accompagnò Diego Godin, suo genero, in Sardegna per l’inizio della sua avventura rossoblù, che poi non si concluse nel migliore dei modi. A suo parere che cosa non ha funzionato tra Godin e il Cagliari?

“Difficile dirlo. La squadra non andava bene in quel periodo, e il rendimento di Diego ne ha risentito negativamente. Probabilmente non era il momento giusto per incontrarsi, anche se da parte di Diego c’è sempre stato il massimo impegno e la massima buona volontà. È stato un peccato che i risultati non siano stati all’altezza delle aspettative.”

Oggi invece il Cagliari sembra aver aggiustato il tiro, e lotta strenuamente per riconquistare un posto in serie A.

“Io credo che abbia concrete possibilità di raggiungere l’obiettivo. Delle squadre rimaste in lizza penso che quella con i migliori giocatori – e senza dubbio con il miglior allenatore – sia proprio il Cagliari. Va detto che ha anche qualche giorno di lavoro e di preparazione della partita in meno rispetto al Parma. Ma se giocherà come ha fatto nel secondo tempo dell’ultima gara con i ducali, dimenticando il primo tempo molto negativo, secondo me ce la può fare.”