
Betis, manquepierda - la storia di Joaquin Sanchez, il re Verdiblanco
Andrés Martinez de Leon è stato tante cose. Pittore, scrittore e illustratore spagnolo della metà del novecento. E' stato soprattutto socio onorario numero 552 del Real Betis Balompié. E' stato l'uomo che, dalla sua penna, ha dato vita a Joselito, personaggio di un fumetto anni '50. Ed è stato colui che, tramite Joselito, ha rappresentato, in una frase che campeggia ovunque in Andalusia, che cosa significa essere Beticos. ¡Viva el Betis manquepierda!” (Viva il Betis anche se perde). La frase che la penna di De Leon ha fatto pronunciare a Joselito non è un motto, è uno stile di vita, incarnato al meglio da un altro gigante della pluricentenaria storia verdiblanca. Joaquín Sánchez Rodríguez, noto semplicemente come Joaquin - a queste latitudini diventato Gioacchino - da quelle parti è un'istituzione. Se cercate la cosa più simile a ciò che Francesco Totti è stato per Roma, andate nel quartiere di Heliopolis e chiedete di Joaquin. Nasce a 116 km da Siviglia, a Puerto de Santa Maria, cittadina da dove Cristoforo Colombo partì per il suo secondo viaggio oltre oceano. lui la sua America la trova subito, o quasi. A sedici anni, nel 1997, per la prima volta si mette addosso il biancoverde. E non se lo leva più. Nonostante le tre esperienze fuori Siviglia.
A inizio 2000 è già uno degli esterni migliori d'Europa: partecipa al Mondiale del 2002 con la Spagna, fallendo il rigore decisivo ai quarti contro la Corea del Sud. Il suo colore non sarà mai il rosso: con la Roja disputa altre 50 partite ma manca il treno per saltare su nel momento in cui la Spagna salpa per il proprio decennio dorado, perdendosi i due Europei vinti e il Mondiale del 2010. Non era destino. Il suo, ruota tutto attorno a due colori, il bianco e il verde. E a una corona. Quella del Real Betis e quella della Copa del Rey. La vince per la prima volta nel 2005, col suo Betis, a ventinove anni di distanza dall'ultimo trofeo messo in bacheca dagli andalusi.
Lo cerca il Chelsea ma lui dice di no perché, dichiara, "A Londra non c'è il sole, e io senza sole non posso vivere". E così si sposta prima a Valencia, dove vince un'altra Copa del Rey, poi nel nuovo Malaga degli sceicchi quatarioti e dei petroldollari. Ma l'altro suo sole, dopo Siviglia, lo trova a Firenze: arriva in Italia a giugno del 2013, a 32 anni, come colpo prestigioso ma di contorno nella rosa della Fiorentina di Montella. Invece, in due anni e 72 presenze col giglio sul petto fa innamorare tutti soprattutto per quell'indimenticabile gol nel 4-2 storico contro la Juventus del 20 ottobre 2013. A Firenze gli vogliono tutti bene, ma Joaquin sente di vivere una storia d'amore che non è la sua. "Ogni giorno pensavo al Betis. E ogni giorno mi sentivo sempre più vicino al ritorno a Siviglia".
Nell'estate 2015, a nove anni di distanza, Ulisse torna a Itaca. E non sarà soltanto un ultimo baile romantico e nostalgico. Joaquin col Betis gioca per altre otto stagioni. Tornato da idolo, diventa mito e poi leggenda, recordman in tutto con 528 presenze totali. El pisha, il ragazzo, come era chiamato ai tempi della sua prima esperienza al Betis, diventa el Rey. E riporta la corona dalla parte biancoverde di Siviglia. Copa del Rey 2022, finale contro il Valencia. A venti anni di distanza dal mondiale in Corea del Sud, scaccia il fantasma dei rigori. E' suo uno dei rigori decisivi nella lotteria finale (segneranno anche un altro ex viola, Cristian Tello, e il terzino del Bologna Juan Miranda). Come nelle favole, Joaquin è l'eroe che rompe un digiuno di trofei lungo 17 anni. Come nelle favole, più che nelle favole.
Chiedetelo a un beticos chi è Joaquin Sanchez Rodriguez, vi risponderà con gli occhi e il linguaggio dell'amore. Lo stesso con cui Joaquin parla del suo Betis: meglio di tutti, il numero diciassette da Puerto de Santa Marta ha rappresentato un sentimento, un modo di essere, di vivere la vita, di pensare. Anticonformista nell'atteggiamento, scherzoso e solare come le piazze di Siviglia. Sempre contro corrente, contro il potere, contro 'il vincere a ogni costo'. Perché lo ripete spesso anche lui: "Viva el Betis, manquepierda!".







