Dal pathos di Champions, agli “asinelli” del campionato.
Nella lega dei campioni, ovvero in Champions League, la Juventus si è imbattuta udite udite contro i ciprioti del Pafos, non certo maestri del football, eppure i bianconeri nelle mura casalinghe hanno subito la squadra avversaria, rischiando una figuraccia mortificante epocale. Una partita di totale pathos, altro che Pafos, per i tifosi ormai increduli e affetti da pericolosa iniziale disaffezione.
«E tutta la vita è veramente, per propria natura immutabile, un tessuto di patimenti necessarii, e ciascuno istante che la compone è un patimento». Scriveva così, nel 1822, Giacomo Leopardi, nel suo Zibaldone, ricordando l’inevitabilità del male e la costante sperimentazione del patimento da parte dell’essere umano. Patimento, in greco, si dice pathos, termine carico di implicazioni concettuali, ontologico-metafisiche ed etico-antropologiche. Indica tante cose, per un greco: sofferenza, patimento, passione, esperienza, emozione, dolore, affetto, accidente, caso, destino, affezione morbosa, infermità, sventura, calamità, disgrazia, infelicità, affetto, infermità dell’animo. La ricchissima gamma di significati che, di primo acchito, sembrerebbero non avere nulla in comune, trova invece un fondamentale raccordo nella radice path. Il vocabolo greco, come testimonia la radice *παθ-, è riconducibile alla forma dell’aoristo del verbo πάσχειν, che esprime l’idea di sofferenza e che descrive sia il fatto di trovarsi in una condizione di sopportazione, sia il fatto di subire un’attività esterna, di essere passivi. Il pathos, pertanto, si configura come ciò che si subisce, come ciò da cui, nel bene o nel male, si è investiti, travolti e sconvolti. Non a caso i latini, per chiamare tutto questo complesso di “sensazioni patite”, ricorreranno a termini come affectus, passio, perturbatio, aegritudo. La realtà ci porta ad una riflessione amara: stiamo vivendo una parentesi bianconera pregna di sofferenza che dura da troppo tempo e che stenta a chiudersi, per mancanza di forze tecniche, economiche ed emozionali.
Superato, Dio solo sa come, il birillo (altro che ostacolo!) Pafos, stasera si punterà di gran carriera l’abbondante e tondeggiante Bologna, per conquistare la vetta, non della classifica, ma almeno della meravigliosa Torre degli Asinelli, fatta costruire dal nobile cavaliere di fazione ghibellina Pietro Asinelli tra il 1109-1119.
La Juventus per riassaporare la sua essenza ha un bisogno vitale di guardare orizzonti dall’alto, come fece Goethe dalla terrazza in cima alla torre degli Asinelli: «Sul far della sera, mi sono finalmente appartato da questa antica città veneranda e dotta, da tutta quella folla che, sotto tutti i suoi portici sparsi per quasi tutte le vie, può andare e venire, al riparo dal sole e dalla pioggia, e baloccarsi, e fare acquisti e attendere ai fatti suoi. Sono salito sulla torre a consolarmi all'aria aperta. Veduta splendida! A Nord si scorgono i colli di Padova, quindi le Alpi svizzere, tirolesi e friulane, tutta la catena settentrionale, ancora nella nebbia. A occidente un orizzonte sconfinato, nel quale emergono solo le torri del Modenese. A oriente, una pianura sconfinata fino all'Adriatico, visibile al sorgere del sole. Verso sud i primi colli dell'Appennino, coltivati e lussureggianti fino alla cima, popolati di chiese, di palazzi e di ville, come i colli del Vicentino. Era un cielo purissimo; non la più piccola nuvola; solo all'orizzonte una specie di nebbione secco».
Nella speranza di spazzare via anche il goethiano nebbione e di non tornare a Torino come tanti poveri asinelli, con sul groppone un pesante fardello.
Roberto De Frede






