
Nesta: "Per Maldini o il Milan o niente. Ho rivisto dopo anni uno come Pirlo: Modric, è folle"
Alessandro Nesta è stato protagonista di una lunghissima e bellissima intervista al podcast "Passa dal BSMT" di Gianluca Gazzoli. Un tuffo nella carriera di uno dei centrali di difesa più forti della storia del calcio che, tra i punti più alti della sua traiettoria, ha avuto anche la duratura e fortunata esperienza al Milan, squadra di cui ha fatto letteralmente la storia. Il difensore romano ha parlato di tutto e in particolare di quella sua squadra rossonera: delle vittorie, delle sconfitte, di Berlusconi, Ancelotti, Maldini e tanti altri personaggi di rilievo. Tutte le sue dichiarazioni qui di seguito.
Sull'addio alla Lazio: "Io non volevo andare via dalla Lazio, l'anno prima che mi hanno venduto al Milan il Real Madrid mi aveva chiamato, o meglio aveva mandato un giocatore a dirmi 'Tu devi giocare al real Madrid' e io gli avevo risposto 'Io gioco nella Lazio'. L'anno dopo poi sono stato costretto perchè non prendevamo lo stipendio da 8 mesi, ma non solo noi giocatori, anche i magazzinieri, tutti. C'era un casino nello spogliatoio che tu non hai idea, sapevo che dovevo andare via a fine anno perchè già me lo avevano comunicato e in più avevo capito che non era più cosa. All'ultimo giorno di mercato la Lazio cercava di monetizzare il più possibile col Milan, ma io sapevo che dovevo andare via".
Sulla possibilità di andare all'Inter prima del Milan: "Nei mesi precedenti alla cessione al Milan dovevo andare alla Juve, ma poi ti dico la verità non ci volevo andare. Poi è arrivata l'Inter ma dopo il 5 maggio è sparita, magari hanno fatto altre scelte. Però dopo il 5 maggio che l'Inter perde (lo scudetto ndr) e io ero dall'altra parte, è saltata. Poi all'ultimo giorno mercato è arrivato il Milan. Io al Milan non ci volevo andare perchè ero sicuro che l'Inter era la squadra che avrebbe vinto l'anno dopo e invece poi mi è andata bene perchè vinciamo la Champions League al primo anno".
Sull'arrivo a Milano: "Mi ricordo il primo giorno che arrivo a San Siro perchè c'era un'amichevole e mi dovevano presentare prima della partita, c'era il capo tifoso del Milan che mi apre lo sportello e mi dice ben arrivato a Milano. A Roma quando c'erano le contestazioni ti dovevi mettere il casco da battaglia. Anche lì sono rimasto stupito, ho detto cavolo il capo tifoso così bravo, educato. Io nella città non ci volevo stare, i primi 6 mesi ho fatto schifo perchè non volevo rimanere qua. Mi mancava tutto".
Sui nuovi compagni al Milan: "Qualcuno lo conoscevo perché giocavamo in nazionale, Pirlo, Gattuso. Però l'impatto è stato l'allenamento, in allenamento andavano più forte. Noi a Roma facevamo allenamento ma non così forte. Quando sono arrivato la mia difficolta è stata proprio adeguarmi a quel ritmo che mi hanno dato i compagni, non l'allenatore. C'era Paolo (Maldini) che nel riscaldamento andava a duecento all'ora, tutti andavano a duecento e io sempre dietro. Alla fine ho capito che se volevo stare li dovevo andare come loro. È stato difficile adeguarmi all'allenamento, la serietà, la competitività che c'era ogni giorno a Milanello con i miei compagni. Folle!"
Sullo stimolo di giocare con Maldini: "Si è stato un grandissimo stimolo. Io ho avuto tanti compagni di squadra, ma l'unico che mi mette in soggezione è lui. Io facevo le vacanze insieme con lui, a Miami abbiamo preso casa nello stesso palazzo. Lo conosco bene. Nonostante questo però quando ci parlo è l'unica persona che mi da quella roba là, ancora oggi. Questa cosa è dovuta dalla stima, dal rispetto. Non c'è mai stata una rivalità interna, ognuno sapeva che l'uno aveva bisogno dell'altro. Quando Paolo ha smesso io sono rimasto li, un po' vecchiotto ed è arrivato Thiago Silva. Meno male che è arrivato senno io mica riuscivo ad andare avanti altri tre anni. Quindi io ho aiutato Paolo, Paolo ha aiutato Baresi, e così via".
Sulla mentalità rossonera con Berlusconi e Galliani: "Sai chi te la da quella roba li? La società. Quando la società è seria che ha le idee chiare, è rigida ma poi ti da tutto. Il mio Milan di Berlusconi e Galliani: quando sono arrivato mi hanno fatto scegliere qualsiasi casa e me l'hanno pagata. Noi già guadagnavamo già tanti soldi e l'affitto ce lo potevamo pagare da soli, ma no, l'affitto di casa, l'elettricità, tutti i mobili che volevo, la macchina... loro dicevano che non dovevo avere pensieri, devi pensare solo a vincere quindi tutte le energie devi usarle per allenarti e vincere le partite, a tutto il resto ci pensiamo noi. Però se sbagliavi ti asfaltavano eh, non è che dicevi vabbè non è successo niente".
Ancora su quel Milan: "Ma se pareggiavamo in casa... ti faccio un esempio: con l'Empoli, neanche i giardinieri ti guardavano o ti guardavo male, sai perche? Perchè avevano il premio anche i giardinieri, a fine anno se vincevi qualcosa era stipendio doppio per tutti, a prescindere dal ruolo che avevi in società, giardinieri, camerieri.... perciò quando non vincevi ti iniziavo a guardare un po' malino (ride ndr.). Però noi quando vincevamo facevamo le buste, c'era l'addetto cameriere che passava e distribuiva. Le facevamo noi giocatori. Ad esempio se vincevamo la Champions la società faceva stipendio doppio, ma pure noi facevamo le buste. Noi prendevamo il premio e lo condividiamo, anche perchè per noi non era magari tanto, ma per loro erano certe sassate! (Ride ndr). La squadra è tutta. Noi arrivavamo magari alle 4 di notte a Milanello che dovevamo mangiare perchè dovevamo recuperare, e c'era il cameriere che sorrideva. Ma tu dimmi in quale altro posto che un cameriere era sveglio alle 4 di notte per farti la cena, ti mandava a quel paese. A Milanello no, tutti andavano nella stessa direzione".
Sulla finale di Manchester contro la Juventus: "Io non l'ho vissuta bene, preferivo giocare contro qualsiasi altra squadra ma non italiana. Se perdi contro il Real Madrid è un conto, ma con la Juve, con l'Inter, resta scritta li. Perciò non mi piaceva, però è stata la mia prima finale di Champions League. Non dormivo, un ansia, io dormivo con Pirlo che era anche lui un po' nervoso e allora ho detto ah, se anche Andrea è nervoso o precipita un meteorite sulla terra e moriamo tutti, che quasi è meglio. È stata tosta ma bellissimo, c'erano due suadre fortissime, diverse, noi forse un po' più di talento, loro forse più squadra, era tostissima giocarci contro e sapeva vincere, due squadre che sapevano vincere".
Sul rigore segnato: "Guarda io mi ero promesso che se mi fosse capitato nella vita calcistica un qualcosa di eclatante ci sarei andato, tipo un rigore. Io non ho mai tirato un rigore in vita mia, forse uno in under 21. Poi però alzo la mano nella finale di Champions League. Pippo si era tolto gli scarpini, era mezzo stirato ma non lo voleva battere, non si trovavano quelli per battere, io mi giro e dico mister tiro io. Il mister fa finta di non vedermi, poi mi chiede se me la sentissi e sono andato. Sono arrivato sereno sul dischetto, l'avevano già sbagliato Trezeguet, Clarence (Seedorf), poi ho visto Buffon e mi sono messo un po' paura. Gli ho tirato un carciofo, lui dice che si è mossa perchè l'ho presa male. Però ho fatto gol, perciò mentalmente ho fatto uno scatto. Ho superato l'incertezza che mi si era creata dopo Roma Lazio 5-1, dove non avevo tenuto botta mentalmente"
Su Istanbul: “Tranvate grosse ne ho prese due, di finali che mi hanno condizionato il sonno: quella con il Liverpool e quella con la Francia a Euro 2000. Non è possibile fare una cosa del genere: siamo 3-0, per me Benitez ha fatto dei cambi per non prendere il quarto e il quinto, loro erano in balia e noi non avevamo mai fatto una partita così. C’era solo un giocatore che teneva in piedi la baracca ed era Steven Gerrard, stava ovunque. Rientriamo nel secondo tempo: qualcuno ha detto che abbiamo festeggiato, non è vero anzi discutevamo. Poi loro ci fanno tre gol ma la gente scorda la parata di Dudek su Sheva sulla riga: non hai la forza per tirare via dalla porta una palla così. Io credo un po’ nel destino: doveva andare così. A volte succedono cose che non succederanno mai più nella vita”
Sull'eventualità che la sconfitta minasse gli equilibri dello spogliatoio: “No. Abbiamo litigato con i tifosi all'aeroporto, ha parlato Paolo Maldini. Niente di grosso ma sono volate parole importanti. Io credo che l’ultima partita di Maldini sia anche frutto di quella giornata: io la leggo così. Tutti noi, inclusi i tifosi, non eravamo lucidi: ci sono state un po’ di parole fuori controllo. Ho passato la notte sveglio: c’era chi piangeva, Gattuso voleva smettere di giocare e voleva andare via. Il mister era distrutto pure e per noi era un punto di riferimento importantissimo”
Su come ne è uscito il gruppo: “Eravamo un gruppo di uomini forti. Ci siamo riuniti, abbiamo messo l’obiettivo e abbiamo vinto. Ancora contro il Liverpool è stato destino: anche loro nel 2007 lo sapevano. Anche perché se tu fai il fenomeno quando vinci, prima o poi il conto ti arriva: infatti li ribecchiamo e hanno perso. Quando si vince bisogna saper vincere. Dal pullman quella partita l’abbiamo vinta, sai quando te lo senti: avevano fatto troppo i fenomeni”
Sulle differenze tra il derby di Milano e quello di Roma: “Sicuramente il derby di Milano è meglio: quello di Roma c’è una pressione che non dormi più. Mai stato così male, ti giuro: la tensione che mi metteva il derby mai più l’ho sentita. Quello di Milano una figata: eravamo due squadre forti, abbiamo fatto una semifinale di Champions. A Roma si uccidono…”
Sull’assenza di Nedved in finale a Manchester: “Per me Nedved che non fa la finale è una grande cosa. Perché Pavel te la mette all’incrocio, perciò sono stato contentissimo: anche se Del Piero fosse stato a casa ero più contento e dormivo meglio. I calciatori sono al centro di questo sport, sempre”
Sul rapporto con Berlusconi: “Super rapporto, un Presidente che non esiste: non ce n’è roba così. Aveva mille cose da fare ma si ricordava il nome dei miei genitori, di mia moglie… Aveva cura delle persone, si preoccupava di tutti e cercava di risolvere i problemi di tutti. Quando arrivava a Milanello, si accendeva il centro sportivo: aveva una personalità spiccata rispetto degli altri. Poi lui voleva vincere e vinceva. L’unica cosa che morto lui… Ha creato delle cose che dipendevano troppo da lui. Consigli tecnici? Sì. Ci diceva sempre uno schema su calcio piazzato: cinque giocatori fuori area e quattro dentro. Diceva: ‘quelli dentro uscivano fuori, quelli fuori entravano dentro, calcio di rigore per noi’. Istanbul? Non ci ha mai detto nulla, ci ha sempre fatto i complimenti e diceva che oltre che vincere dovevamo fare bel calcio e comportarci bene. Lui l’ha vissuta benissimo e anche le vittorie le ha vissute bene: dopo Atene, lui era lì ma non ha fatto chissà che: rimaneva sempre lucido”
Su Ancelotti: “Io vorrei essere come lui anche da allenatore. La serenità del mister io non ce l’ho, forse perché lui vince sempre. È un fenomeno. Ogni tanto Berlusconi gli diceva qualcosa o comunque c’era sempre pressione ma lui aveva questa capacità di assorbire tutte le rotture di scatole con la squadra che aveva zero problemi. Era sereno, sigaretta e grappino anni fa. Io gliela invidio questa serenità. Il primo anno che l’ho incontrato io veniva da anni alla Juventus in cui era stato contestato: da quella Champions a Manchester è volato. Ha questa capacità di gestire i grandi giocatori che è unica, sa perfettamente dopo una vittoria o dopo una sconfitta cosa deve dire al grande giocatore”
Su Pirlo, Modric e i grandi campioni: “Per me Andrea è un campione mai visto. L’altro giorno ho visto la partita del Milan e ho rivisto dopo anni uno tipo Pirlo, che è Modric. Ma da Pirlo e Modric non ho visto tante robe del genere e dopo lui non so chi ci sarà. Modric lo vedi e peserà 60kg ma poi è follia. Pirlo è un mondo a parte: sempre serio ma un talento fuori dal comune, vedeva giocate che nessuno vedeva. C’è una cosa che accomuna tutti questi campioni: l’umiltà. A me capita di parlare con giocatori di Serie C che fanno più i fenomeni di Maldini e Pirlo”.
Sugli infortuni: “Mi sono fatto male tanto, mi sono operato 10 volte. Tutto parte dal 1998 quando mi spacco il ginocchio: da lì non potevo più fare 60 partite. Ogni volta ai Mondiali arrivavo a fine stagione e mi spaccavo perché il mio corpo non reggeva più. Abbiamo vinto il 2006 ma ho fatto due partite e mezzo: ho fatto fatica a sentirlo. Prima della Germania ho riprovato e il mister Lippi mi voleva far giocare: poi avevo la percezione di poter vincere il Mondiale. Riprovo in rifinitura e mi riapro ancora. Non me la sentivo perché quando ho vinto le cose sono stato protagonista. Dopo il Mondiale non mi sono fatto mai vedere in giro, perché non me la sentivo”
Su Thiago Silva: “Quando me ne sono andato via gli ho detto guarda che tu diventi più forte di me. Fortissimo: è arrivato da noi che aveva avuto la tubercolosi a Mosca e per poco non muore. Il Milan fa un acquisto e nessuno lo conosceva. Sembrava bravino in allenamento: dopo due partite sono andato da Galliani e gli ho detto che era fortissimo. A me ha allungato la carriera: se ho fatto tre anni in più è merito suo”
Sul Milan di oggi: “A me piace questa parte di Milan. È arrivato Tare che ha esperienza e la testa a posto: dopo l’uscita di Maldini e l’entrata di Tare, in mezzo a questo il Milan ha perso l’identità, non riconoscevo più niente. Un peccato perché il Milan ha una storia e identità troppo forti per essere lì nel magazzino e non ascoltata. Quella cosa la devi portare dietro. Mi piacerebbe che Paolo Maldini potesse tornare: per me potrebbe andare ovunque ma lui sta a casa perché per lui è il Milan o niente. È fatto per stare al Milan e il Milan è fatto per stare con lui. Prima o poi l’amore ritornerà”






