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Da 0 a 10: la bufera (giusta?) su Meret, la porcata di Agnelli, ADL vola in Champions e la promozione di BakayokoTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
lunedì 19 aprile 2021, 16:51Copertina
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Da 0 a 10: la bufera (giusta?) su Meret, la porcata di Agnelli, ADL vola in Champions e la promozione di Bakayoko

Il Napoli fa 1-1 con l'Inter, non basta l'autorete di Handanovic. Male Osimhen, regge la difesa ed il piano difensivo di Gattuso

Zero vibrazioni. Vince la razionalità, che doma l’istinto. Il Napoli contro l’Inter si specchia in uno stagno, resta forse impaurito dall’immagine riflessa della capolista.  Si muove su una lastra di ghiaccio sottile, portandosi sulle spalle la zavorra degli errori che ora rendono il cammino maledettamente complesso. Un margine d’errore così ridotto è un freno all’entusiasmo, la prudenza un peccato che potrebbe diventare rimpianto. C’era disperato bisogno di un’impresa, forse a qualcuno non è chiaro. 

Uno a uno ed un punto a testa: il risultato poi rispecchia quello che si è visto. L’Inter fa quel che sa fare benissimo, resta fedele al suo calcio che può non piacere ma è efficace. Il Napoli ha qualche problema con la sua vocazione, perché non ha ancora capito bene la divinità che copre il suo cielo. Resta ondivago, nell’approccio e nella credenza. Vive di fiammate di fede improvvisa, folgorazioni che diventano parentesi sparse nell’ateismo. Domina uno spregiudicato ottimismo, come quello di Sud di Trainspotting che esclama “Tutto si aggiusterà”. Speriamo…

Due legni dell’Inter nel primo tempo oltre all’autorete che aveva portato avanti il Napoli. Quanto è carogna la fortuna, che ti gira le spalle dopo averti accarezzato due volte il viso. Come sa essere cruda e cinica la sorte se non gli vai incontro con quell’audacia che stimola il suo aiuto. È come incontrare per strada l’amore della vita, ma quel giorno avevi deciso di indossare dei calzini di spugna rigorosamente bianchi. Il calzino bianco è uno schiaffo in faccia ad ogni tipo di concessione del fato.

Tre minuti e Meret esce dieci metri fuori dall’area per anticipare Lukaku. Nel finire del primo tempo si lancia a valanga su Barella, quasi a voler zittire le critiche sui timori in uscita. La gogna mediatica arriva lo stesso, perché per alcuni Alex avrebbe dovuto far suo il cross di Hakimi che precede il gol di Eriksen. È il problema di quando concedi al mondo una tua debolezza: ti azzanna su quel punto alla prima occasione, anche quando appare complicato scovare tracce di colpevolezza. Così è, se vi pare (a me, non pare).  

Quattro sulla schiena ed un’assenza che è già emergenza. Demme c’è, spesso, comunque, quasi dovunque. Corre, rincorre, rintuzza, strappa, prova pure a cucire sebbene non sia la specialità della casa. È un pezzo invisibile, come la leggerezza dell’essere. Eppure c’è, incide, è una voce del bilancio così imponente che è sciocco chi guarda ad altre spesucce. Con la Lazio non ci sarà, Bakayoko scalda i motori. E si, quest’ultima era una velatamente ironica.

Cinque squadre, tutte in corsa per la Champions. Ma quale Champions sarà? Perchè nella notte è arrivata la notizia che ha l’effetto di un terremoto: nasce la Superlega e l’idea è partire dall’agosto 2021. Con Inter, Milan e Juve tra i club fondatori, e dunque fuori dalla Champions, tutta la classifica potrebbe essere stravolta e spingere il Napoli di De Laurentiis in Champions. Una porcata a campionato in corso, su cui Agnelli aveva sempre mentito quando invece erano già pronti i comunicati. Alla fine, nel tentativo disperato di vincerla, qualcuno sta provando a farsi una Champions League a parte, nel tentativo di sostenere bilanci ormai insostenibili. 

Sei più a Manolas, che ci mette più di una pezza e nel finale si traveste da Dikembe Mutombo e muove il dito a tergicristallo stoppando l’ultimo assalto di Hakimi. È il miglior Kostas visto nell’anno solare, che va corna contro corna col Toro Lautaro e deve pure sbrigare le faccende in sospeso che gli vengono destinate, beneficenza non richiesta, da Mario Rui. Una delle notizie migliori della serata in proiezione del rush finale. 

Settequattro, i minuti attesi per effettuare il primo cambio. Troppi, con l’Inter che mostrava più ossigeno ed un Osimhen a caccia disperata di un segnale, che fosse di sostegno o di resa. Rino temporeggia, non coglie gli affanni di Mario Rui in versione autovelox relegato solo a registrare la velocità di Hakimi, assolutamente illegale per i parametri del portoghese. Immobilismo dell’animo, nomadismo del cuore in cerca di un impulso forse arrivato troppo tardi.

Otto all’ultimo sforzo. Quello in cui convinci la tua mente che non è ancora il momento di mollare. Quello in cui non ti accontenti. Dei limiti da superare. Della fatica che non senti, anche quando vorresti crollare. Con gli occhi puntati verso il cielo, in attesa di una stella che diventi foglio per un desiderio da scrivere. C’è la Lazio, da affrontare e da battere giovedì al San Paolo. Poi un calendario che può travestirsi da amico geniale, basta solo ascoltare i suoi consigli.

Nove gare e otto risultati positivi. Tra le note liete c’è una solidità tecnica e mentale ritrovata, la capacità di discernimento del singolo momento. L’Inter mostra i muscoli, gli azzurri subiscono su calcio piazzato la fisicità nerazzurra ma non perdono la testa. In altri momenti sarebbe bastato un soffio di vento per uscire di strada, facendo prevalere la confusione. 

Dieci palloni giocati in tutta la gara. Una notte da numero primo per Osimhen, perso in una solitudine che si scava anche con le proprie mani, introverso come Christian Bale ne 'L'Uomo senza sonno'.Poca assistenza che non può giustificare una tendenza a passeggiare sul confine dell’ozio, rinunciando a priori alla battaglia come un guerriero che ha perso lo scopo. Sbiadito, come la realtà filtrata da un fondo di bicchiere che ha annacquato col ghiaccio tutti i buoni propositi. Serviva una conferma, che non è arrivata. Rimandato.

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