
Tony D’Amico: "Da giocatore non segnavo mai, oggi vivo di intuizioni e scelte coraggiose"
Tony D’Amico, intervenuto in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, ha ripercorso la sua carriera da calciatore e dirigente, rivelando aneddoti personali e professionali che hanno segnato la sua vita. Dal ricordo della sua esperienza in campo come mezzala di corsa fino ai passaggi più dolorosi della vita privata, passando per l’approdo al ruolo di direttore sportivo, D’Amico ha dipinto un ritratto autentico di sé stesso, lontano dalle luci dei riflettori. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
Com’era il Tony D’Amico calciatore?
«Ero una mezzala che correva tanto ma che non riusciva quasi mai a segnare, nemmeno davanti alla porta. Ero testardo, litigavo con tutti, persino con i compagni di squadra. Mi definirei un calciatore generoso ma istintivo, spesso troppo».
Quali modelli ti ispiravano e in quali giocatori ti rivedi oggi?
«Se dovessi azzardare un paragone, direi Guendouzi. Da ragazzo, invece, mi affascinavano Junior e Paulo Sousa, due calciatori che mi hanno segnato».
DOMANDA: C’è un episodio della tua vita che ti ha cambiato profondamente?
«Sì, la morte del mio amico Catello Mari, compagno alla Cavese. Eravamo in festa per la promozione e lui perse la vita in un incidente. Quel giorno, insieme a lui, se n’è andata la parte più spensierata del ragazzo che ero. È stato un colpo durissimo».
Quali rimpianti porti con te dalla carriera di calciatore?
«Ho sempre pensato di poter essere un giocatore da Serie B. A Empoli, invece, rimasi appena sei mesi. Ho fatto quindici anni in Lega Pro: quella era la mia dimensione. Lo ricordo come una lezione di vita. Oggi il mio ex tecnico Corsi scherza spesso: “Come dirigente vali, ma come calciatore eri scarso”. Forse non aveva tutti i torti».
Il passato da calciatore, con i suoi limiti e le sue delusioni, ha forgiato il dirigente di oggi. Tony D’Amico si racconta senza filtri, con la sincerità di chi non ha paura di ammettere le proprie imperfezioni. Forse è proprio da quella consapevolezza che nasce la lucidità con cui oggi guida le scelte di un club ambizioso come l’Atalanta.
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