Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomocremonesefiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilannapoliparmapisaromasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloturris
Altri canali mondiale per clubserie bserie cchampions leaguefantacalciopodcaststatistiche
tmw / bologna / Serie A
Bernardeschi: "Sono al Bologna anche per giocare il Mondiale. C'è un gruppo bellissimo"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
Oggi alle 17:45Serie A
di Dimitri Conti

Bernardeschi: "Sono al Bologna anche per giocare il Mondiale. C'è un gruppo bellissimo"

Federico Bernardeschi, attaccante del Bologna, si è raccontato in una lunga intervista al podcast BSMT. Di seguito alcuni passaggi principali delle sue dichiarazioni: "Bello viaggiare il mondo e fare esperienza, ma il richiamo di casa c'è sempre. Sono stato e sono felice di questa scelta". Cosa le mancava di più dell'Italia? "La bellezza che ha l'Italia. Vedi grandissime realtà, città che ti fanno rimanere affascinato. La storia che abbiamo è sottovalutata da noi stessi, dagli italiani. Poi vai in giro per il mondo e ti accorgi che dovrebbe essere curato di più. E per me Roma è la città più bella del mondo". Come è andato l'approccio con Bologna? "A Bologna ho trovato un bellissimo gruppo, con valori importanti. La solidità degli anziani è veramente importante, rispecchia i risultati in campo. Non è mai banale quando si raggiungono certi traguardi, significa che c'è una società seria sopra. Questo vale per ogni ambiente, oltre al calcio. Sono stato accolto benissimo sia dai compagni che dalla città e dai tifosi. Mi trovo veramente bene". Quali differenze ci sono tra la Serie A e la MLS? "Intanto dico che per loro una partita di calcio è intrattenimento live, come andare al cinema. Tatticamente poi dico che in Europa siamo più avanti di tutti, la MLS è più un attacco contro difesa: c'è meno preparazione, molto più fisico. Il concetto sul mercato è totalmente diverso dall'Arabia, ma anche l'americano è diverso". Quando era alla Fiorentina c'era il programma 'Giovani Speranze' che seguiva la Primavera in cui era lì. "Dico una cosa che sanno in pochi, quasi nessuno. Io ero il capitano e numero 10, succede che andava firmata una liberatoria per le riprese. Avevano puntato tanto su di me a MTV, assieme ad altri sei-sette calciatori principali. Io non ho firmato la liberatoria perché non mi andava che venissi violato di quello che per me era la mia vita, in quel momento. Io vivevo in casa da solo, gli altri erano in convitto dove però io non sono mai voluto andare. Quando decisi di trasferirmi a Firenze, chiesi proprio questo, di avere una casa mia e vivere da solo. Ma ero minorenne e la Fiorentina non voleva prendersi certe responsabilità: alla fine sono andato in casa con un ragazzo di 18 anni, lui era maggiorenne. La liberatoria poi non l'ho firmata perché non volevo che persone che non conoscevo potessero entrare lì. Ero convinto della mia scelta e sono andato avanti, vivendo l'esperienza di riflesso. Da lontano è stato molto bello, ancora sento tanti di quei ragazzi che hanno partecipato". Prima della Fiorentina, da dove parte tutto? "A 8 anni mi ha preso la polisportiva Ponzano, una succursale dell'Empoli. Facevo tre volte avanti e indietro a settimana con mia mamma in macchina. I miei genitori sono due operai, si arrivava a fine mese con le unghie. Loro ci riconoscevano delle spese per poterci permettere la cosa, altrimenti non fattibile. Leggo che mi voleva la Fiorentina, il Ponzano non voleva darmi ma quando sei bambino firmi un anno solo. E allora ancora avanti e indietro Carrara-Firenze, 30 chilometri in più, fino a circa 12 anni. Mia mamma non ce la faceva più e chiedemmo se ci poteva essere un trasporto: la Fiorentina, che aveva tanti ragazzi sparsi in Toscana, metteva a disposizione un pulmino che partiva da Massa e faceva fermate a caricare i ragazzi lungo la strada. Anche perché da tre eravamo saliti a quattro, cinque volte alla settimana. Mi sento anche fortunato, tanti altri ragazzi non hanno potuto farlo. Poi, certo, si vedeva che ero diverso dagli altri con cui giocavo al tempo. Quindi ho fatto uno step e sono passato al treno, il pulmino era fino ai 14 anni. Ed era veramente stancante, tante volte mi sono addormentato e mi rubavano le cose. Dopo aver fatto benissimo la Primavera, sono andato poi in Serie B a Crotone e anche lì le cose funzionarono. Tornai poi in Serie A, con la prima squadra della Fiorentina e lì parte il mio percorso. Il primo anno, dopo cinque-sei partite, mi sono rotto la caviglia in allenamento restando fermo sei mesi". Il primo a credere in lei è stato Montella. "Sì, ma lì è stato più un discorso societario, sapevano delle mie qualità e del potenziale. Dopo avermi cresciuto, mi hanno coccolato e questo ha aiutato. L'anno dopo poi è venuto Paulo Sousa ed è lui l'allenatore che mi ha visto e messo lì. Esordio? Ricordo, contro il Genoa a Firenze, entro un quarto d'ora e ancora oggi insulto Perin per quella partita. Non so come abbia parato quel colpo di testa, ma poteva lasciarlo stare! Ho sempre avuto buoni rapporti con gli allenatori, c'è chi sento di più e chi meno, ma credo che qualcuno ti lasci sempre qualcosa. Anche del negativo, magari ti fa crescere. Ho sempre ringraziato". La Fiorentina è stata la squadra delle prime volte. Poi però è andato alla Juventus. "Il trasferimento è stato pesante. Non solo andavo alla Juventus, ma il numero 10 andava alla Juventus. E lo capisco, si guarda sempre una parte ed è facile magari insultare. Ci sta, fa parte del gioco. Ero un ragazzo di 23 anni, sono opportunità che uno può scegliere di cogliere o no, io decisi di sì. La Fiorentina mi ha dato tanto e questo non lo dimenticherò mai, è imprescindibile, al di là della scelta. La Juventus non era neanche l'unica squadra interessata. Lo fai consapevolmente, comunque, sai cosa può scatenare una scelta del genere. Fossi andato in un'altra società, sarebbe successo il 30-40% del rumore. Io avrei voluto anche ringraziare, alla fine la Fiorentina mi ha portato fino a lì e a Firenze ho tanti amici, sarò sempre grato alla città e alla società. Dieci anni dopo posso dirlo, in quel momento no. Anche l'avessi fatto, non sarebbe valso nulla per i tifosi viola. Mi hanno fatto uno striscione fuori dal Franchi, scrivendo cose pesanti. Comprensibilmente. Lo accetti, ti fai le ossa e vai avanti. Anche questo è nel percorso di crescita. E tra l'altro fui il primo a lanciare la moda del certificato medico. Non mi presentai in ritiro, la trattativa non si sbloccava, la Fiorentina faceva storie anche se era bene o male fatta. Ma vuoi sempre dimostrare che è il giocatore a fare un determinato tipo di scelta, quando non è solo così. Volevano che andassi in ritiro per tre giorni, ma io sapevo che mi avrebbero ucciso se ci fossi andato. E lì scatta il certificato medico, prima che alla fine si sbloccasse tutto. Ma era una decisione di entrambi: se uno dei due non è d'accordo, non si fa". Che Juventus ha trovato? "Venivano da quattro Scudetti vinti di fila, in quel momento la Juve volava ed era la società più importante in Italia e tra le cinque d'Europa. Un'opportunità incredibile anche per una crescita personale: mi sono confrontato con dei campioni veri. Vedi gente che ha vinto di tutto, è un contesto in cui ti metti in gioco e poi sta a te. Ho legato col gruppo italiano: c'era Buffon, che era una cosa a sé e pur giocando ancora era già nella leggenda, ma anche Chiellini, Barzagli e Marchisio per esempio mi hanno accolto benissimo. Così come Khedira, Pjanic, Dybala. Funzionava tutto tanto bene che ambientarsi non era difficile". Qualcuno alla Juventus l'ha voluta più di altri? "Io penso la proprietà. La Juventus che ho vissuto io ha sempre concentrato il suo scheletro sugli italiani e sulla loro presenza. Devono portare avanti i valori del club, il segreto della Juventus era di imparare certe regole perché un giorno sarai tu a doverle tramandare. I primi tre anni sono andati benissimo, hanno continuato nella cavalcata". Che rapporto ha con Allegri? "Buonissimo, anche adesso. Ci sentiamo e sono molto legato anche al suo staff. Ti rendi conto di condividere cose che nella vita non sai se ricapiteranno. Li sentivo anche quando ero a Toronto, poi con Max abitiamo anche vicini e negli anni ci siamo visti. Potevano esserci discussioni interne ma una volta che dico quello che penso, e te lo devo dire, fa tutto parte del gioco. L'importante è il rispetto". Ha pagato i cambi di allenatore? "Non è stato solamente un cambio di allenatore, ma di vedute a livelli più alti. Non potremo mai sapere cosa è accaduto, ma non è una sola parte, una roba molto più ampia in cui entrare. Quando trovi un allenatore nuovo, che non hai mai conosciuto, è come tornare al primo giorno di scuola perché ognuno ha le sue convinzioni, il suo stile e tu giocatore devi anche un po' adattarti a ciò che hai davanti. E lo stesso penso valga per l'allenatore. L'anno in cui ho giocato meno a livello di numeri era quello con Pirlo in panchina. Ed è successa una polemica inutile, con questo tormentone del 'rischia la giocata'. Per fortuna l'ho trasformato nel mio inno". Ma come nasce tutto questo? "Intanto premetto che con Pirlo non ho un bel rapporto, ma bellissimo. Mia moglie e la sua si sentono spesso! Lì sono state fraintese tante cose: giocavo e performavo poco, entravo in campo e non ci riuscivo. Io devo essere autocritico ed era giusto che quell'anno stessi in panchina. Con Pirlo non mi sono mai lamentato, infatti. Abbiamo un amico in comune e lui racconta che io ero l'unico a chiedergli come stava la mattina. Quando merito, merito, quando non merito, no, e lo vedo anche da solo. Poi però andavo in Nazionale e performavo: tanti parlavano del peso della maglia, ma ero alla Juventus da tre anni. Io non ho la verità in tasca, posso dire per me cosa non facevo in quell'anno, ma perché in un certo contesto non rendevo non lo so. Può essere la fiducia, una minore consapevolezza che ti abbassa l'autostima. Io dico che in Nazionale mi fanno rischiare la giocata, perché io mi sentivo più libero di esprimere. In un club hai obiettivi giornalieri, la competizione è completamente differente. In una società come la Juventus sei una pedina in mezzo a una scacchiera che deve vincere. E non puoi tirarti indietro. Se porti a casa zero trofei, alla Juve non interessa quanti gol hai fatto. E quell'anno tra l'altro abbiamo alzato due trofei. Se devi sacrificare te stesso ma alla fine hai risultati collettivi, va bene così. I tifosi a volte comprendono, altre no". La sua prestazione che tutti ricordano è quella in Juventus-Atletico Madrid di Champions League. Come ricordarla? "Un'alchimia con lo stadio in quella maniera l'ho sentita forse una volta nella vita. Ci sono state combinazioni di mille fattori, si è creato qualcosa di magico all'interno di quello stadio. Ma si capiva già nei giorni prima. C'era stata anche la polemica di Cristiano Ronaldo con la Juve, anche i tifosi bianconeri volevano fargliela vedere. L'incastro tra la partita perfetta e il tifo perfetto. Di recente ho giocato a San Siro e senza tifoseria è come se vai a teatro, ma il calcio non è così. E non voglio una tifoseria malata, ma un pubblico che sostiene e aiuta porta la squadra a fare diversi punti in più". Come si è trovato con Cristiano Ronaldo? "Un uomo straordinario, persona incredibile e di un'umiltà pazzesca. A livello di spogliatoio, eccezionale. Come giocatore non lo dico nemmeno. Devi essere cosciente del fatto che lui è superiore e devi avere la capacità di non paragonare quello che fa lui a quello che fai tu. Se è così, non hai problemi. Devi sapere che è un'azienda più che un tuo compagno di squadra. Quando entravo diceva sempre che ero l'italiano con lo stile, gli piaceva. Nel suo primo anno potevamo realmente vincere la Champions League e purtroppo non ce l'abbiamo fatta. Ma dire che CR7 abbia spaccato o rotto equilibri nella Juventus non è vero. Sarebbe come nascondersi dietro un alibi troppo grande. Il personaggio può essere sicuramente grande e ingombrante, ma in campo si va in undici e la squadra è di venticinque". Che rapporto ha con le critiche? "Il 'rischia la giocata' è partito come un meme e lì devi imparare a riderci sopra. Ce ne sono diversi di meme miei. Io ho un po' esagerato: prendiamoci anche un po' per il culo! Io sapevo di andare in Canada a fare un'intervista in inglese senza sapere una parola e che era meglio farsi tradurre. Lo sapevo. Ho scelto l'inglese per dare subito l'impronta di non essere quello che arrivava senza fregarsene della cultura. E infatti in Canada hanno apprezzato! Qua però è arrivato il 'one, two, three' e ci sta, ma ne ero consapevole. Però ci soffri anche. Io nel momento del 'rischia la giocata' stavo veramente soffrendo, ero il primo che voleva performare in campo con la Juventus: è come levare al bambino che hai dentro la voglia di giocare. Poi dopo la polemica: già arrivavo da un anno pesante, poi mi è arrivata questa roba appena prima di un Europeo. Se tornassi indietro vorrei non stare tanto male come sono stato, dovevo prenderla più alla leggera. Ero il primo a uccidermi. Se me ne fossi sbattuto, sarei stato meglio per qualche mese. Però ci tengo al mio lavoro, mi muove una passione grande". Si è mai fatto aiutare da qualcuno per il supporto psicologico? "Io già avevo iniziato un percorso, non quell'anno ma tre anni prima. E tuttora lo faccio. Se sei consapevole di dove arriva il problema, puoi intervenire. Il fallimento fa parte della vita, devi provare a comprenderlo e a scavare, mettendoti in prima linea senza dare la colpa a questo o a quell'altro". Com'è stato condividere il campionato con Messi? Meglio lui o CR7? "Lui è diverso. Come Cristiano, sono realtà che da giocatore, facendo lo stesso sport, fai fatica a comprendere. Però vanno distinti: Messi ti ruba tanto l'occhio, gli vedi fare cose che non ti spieghi. Qualcosa di grande, sembra un'aurea, qualcosa che non comprendi nel mondo terrestre. Anche Cristiano ha quella roba lì, ma ha fatto qualcosa che l'altro non ha fatto: ha cambiato il calcio. E lo sport in generale. Messi, come Maradona, sono cose probabilmente divine. Se gli atleti fanno attenzione a una serie di cose per prepararsi, è grazie a Cristiano". Come ha vissuto le critiche sulla cura dell'immagine? "Le vivo bene, fondamentalmente mi diverto, sempre per tornare al prendersi in giro. Quando capisci che il personaggio è diverso dalla persona, è cruciale. Sono anche convinto che noi personaggi pubblici abbiamo la grande responsabilità di dover trasmettere valori e principi sani a chi ci guarda. Ci dovremmo esporre anche un po' di più, soprattutto sulle ingiustizie del mondo. Dobbiamo ancora imparare. Una volta, dodici anni fa, mi sono messo una gonna, il pantagonna. Capirai cosa è successo dopo, ma che problema c'è? Se mi piace, me lo metto. E quante volte mi hanno detto che sono gay. E se lo fossi, secondo voi non ve lo dico? E dove cazzo è il problema? Anzi, ne andrei fiero. E chi lo ha dichiarato, chapeau: in questo mondo ognuno è libero di fare quello che vuole. Al tempo sono cose che mi hanno fatto malissimo, io avevo vent'anni. Ora lo racconto ridendo e scherzando, ma lì no". Con Chiesa che rapporto ha? "Ci sentiamo una volta al mese circa, ci mandiamo un messaggino. Fede è un ragazzo eccezionale, i momenti duri arrivano e passano per tutti, è il ciclo della vita". Sogna di giocare il Mondiale? "Sì, non l'ho mai giocato. E tutto può succedere nella vita".