
Il “grande botto” del calciomercato… con l’assenza di una necessaria e vitale “regia” felliniana
Siamo a fine luglio, il caldo è torrido e offusca i pensieri: un tempo era il mese principe del calciomercato, si concludevano affari pazzeschi. L'annuncio dell'acquisto di Diego Armando Maradona da parte del Napoli addirittura avvenne il 30 giugno 1984, ma la presentazione ufficiale allo stadio San Paolo fu il 5 luglio dello stesso anno. La trattativa, durata circa quaranta giorni, fu molto complessa, ma alla fine il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, riuscì a portare il campione argentino a Napoli. Ma all’epoca i presidenti avevano la “P” maiuscola, il portafoglio a soffietto e non dovevano dar conto a soci e azionisti sparsi nel mondo.
Di luglio pare restino oggi “in campo” solo i versi di Gianni Rodari: “Luglio miete il grano biondo, / la mano stanca, il cuore giocondo. / Canta il cucùlo tra le foglie.” Spero che non ci resti solo di osservare un cucùlo qualsiasi tra i rami degli alberi sparsi in un insipido mercatino. Joao Mario invertito con Alberto Costa, come due bambini un tempo si scambiavano senza senso due “mottini” nell’intervallo a scuola elementare, solo per il gusto di far qualcosa; e lì davanti il passero solitario David…, con la grana Luiz, piombi da gettar via, e rinnovi e ritorni che danno un po’ d’ossigeno. Che il Signore ce la mandi buona… tanto il mercatino è ancora aperto!
Ricordo che da ragazzini, in questi giorni balneari, si sfogliava il quotidiano sportivo per trovare la pagina dedicata al mercato, ai riquadri “acquisti-cessioni”, sperando in un gran colpo, fantasticando sulla probabile formazione titolare della stagione a venire: i desideri cadevano sui centravanti stranieri in giro per il mondo o sul famigerato regista. Già, il regista.
Il regista è il demiurgo che dà vita alle storie, trasformando le parole in immagini e le emozioni in esperienze visive per lo spettatore. Cosa sarebbe La finestra sul cortile senza Hitchcock, Arancia Meccanica senza Kubrik e La dolce vita senza Fellini?
Il dovere di un regista è dare importanza all'anima dello spettatore. Si sente spesso dire (che follia!!!) che il regista nel calcio moderno non serve più. Il calcio è spettacolo, siamo lì, così come non esiste un film senza regista, non può esistere il calcio senza un regista, colui che detta i tempi, un metronomo. Del resto a memoria non ricordo una squadra di calcio vincente senza un regista, seppur “mascherato” come si suol dire. La Juventus oggi ha tra le sue fila un regista, vero? Mah! Il famoso cervello c’è sempre stato. Certo, mai come in questo momento scarseggiano i cervelli, e non solo nel calcio, ma questa è un’altra storia.
La Juventus ha vinto sempre con un regista, o anche con più di uno in diverse zone del campo contemporaneamente. Negli anni '30, al servizio della Vecchia Signora aveva Luis Monti, Giovanni Ferrari e Renato Cesarini, giocatori chiave, che ricoprivano ruoli di centrocampo e di collegamento tra difesa e attacco, contribuendo a creare il gioco offensivo della squadra. Nella Juventus degli anni '50, seduto su quella iconica sedia felliniana c’era Giampiero Boniperti. Nel decennio successivo, diversi giocatori dirigevano egregiamente l’orchestra bianconera, su tutti Luis del Sol e Gianfranco Leoncini, Sandro Salvadore che disponeva dalla difesa il gioco e Helmut Haller, centrocampista tedesco arrivato nel 1968, dotato di ottima visione. Negli anni '70, Fabio Capello, Franco Causio e Romeo Benetti, regista sporco - oserei dire - ma ad avercelo oggi! Poi Platini, Deschamps, Zidane, Pirlo, Pianic… Mi fermo qui, la nostalgia è troppo forte, sia ricordando gli acquisti al mercato estivo, sia i fotogrammi in campo di quegli eroi.
Ma chi è veramente il regista? Velocemente, scriveva un tale, viaggia su onde cerebrali diverse dal normale. Figura mitologica a cui, in barba al temibile Idra a più teste, viene attribuito il possesso di occhi posizionati anche a livello del cervelletto. Ha la capacità di avere chiara la situazione osservando dalle retrovie ventuno uomini in calzoncini, che sgomitano come barbari per il possesso della palla. Se il calcio fosse giocato con le mani, alla stregua del Gaelic Football, il regista giocherebbe con i guanti bianchi color neve, per preservare le dita ed esaltare l’eleganza delle sue movenze. Proprio come neve danza sui pendii scoscesi delle tibie avversarie, tracciando con occhi e piedi, l’epilogo naturale del calcio: l’estasi. Se questo non basta ad identificare il ruolo più iconico del calcio, ci si limiti a pensare come senza una guida, qualsiasi gruppo socialmente identificatosi come tale, corra il rischio di sfaldarsi in una miriade di modi di pensare diversi. Per anni i popoli barbari soccomberono contro l’organizzazione dei grandi strateghi romani di turno. Senza la visione coordinata di Leonida, probabilmente, alle Termopili non sarebbe andata in scena una delle più importanti resistenze militari della storia. Ancora, senza Nelson Mandela, anche oggi a Cape Town, persone dal colore della pelle diverso, siederebbero come minimo in posti separati.
Il regista è semplicemente colui da cui tutto nasce. Non è attore protagonista, non sfoggia muscoli o capacità espressive particolari, ma si pone al di sopra di tutto e di tutti. Il suo compito è coordinare le operazioni, prevederle e pensarle prima ancora che esse vengano fisicamente immaginate da altri esseri umani: un iperuranio dello sport. Il regista è una divinità che legittima la sua natura umana attraverso i compiti che svolge: interdire, organizzare la manovra, distribuire i palloni. In poche parole, il suo compito è far ragionare la squadra nelle due diverse fasi di gioco.
Negli ultimi versi di ‘Ode alla vita‘, scritta dall’estatica penna brasiliana di Martha Medeiros, c’è la prescrizione letteralmente medica per ritrovare sé stessi, per evitare di morire lentamente: «Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità».
Su un campo di calcio c’è chi respira, chi fa legna e suda per portare a casa un attimo di gloria. C’è però, soprattutto, chi pensa, e a pensare mentre si vive ci si impiega il doppio delle energie. La levigazione del gioco, fra trame aracnoidi e pennellate di colore, è frutto dell’ardente pazienza medeirossiana volta a cercare la felicità. Un monito a resistere contro il logorio del tempo e la miopia umana.
Ricorda a noi tutti, il regista, di utilizzare il cervello per sentirci meno umani e un po’ più simili agli dei, anche quando si fa la spesa al mercato…
A proposito, qui sopra ho fantasticato, quasi a mo’ di rito apotropaico… oggi il mercato bianconero lo trovo fatto senza regia, figuriamoci come si possa minimamente immaginare l’acquisto di un regista!
Grande botto sì, come indicava il titolo, ma esploso troppo vicino all’orecchio da render sordi e rincitrulliti gli acquirenti… un grande botto che per ora somiglia ad un gran petardo che rischia di fare una grande fetecchia!
Roberto De Frede







