Juventus, Tudor da traghettatore a esonerato: l’errore è stato la conferma
Cronaca di un esonero annunciato. Igor Tudor saluta la Juventus prima del tempo, o con qualche mese di ritardo. È questione di punti di vista. Si chiude prima di novembre l’avventura dell’allenatore croato, chiamato dalla società bianconera per prendere le redini della scorsa stagione al posto di Thiago Motta, e naufragato a quattro mesi da una conferma che, molto probabilmente, non sarebbe dovuta arrivare.
Un buon traghettatore. Tudor, in fin dei conti, era arrivato con indicazioni chiare: prendere una Juve in difficoltà e portarla all’obiettivo minimo, la qualificazione in Champions League. Missione riuscita, ma non era impossibile: tutto sommato, la squadra era quinta nel momento dell’esonero di Thiago Motta. Poi, il Mondiale per club: due vittorie con due squadre inferiori (Al-Ain e Wydad) e due sconfitte con squadre superiori (City e Real Madrid). Nulla per cui strapparsi i capelli.
A un certo punto, però, lo status di Tudor è cambiato. Dopo l’avvicendamento tra Giuntoli e Comolli al vertice, il francese ha deciso di ripartire da chi c’era. E Igor, a cui va riconosciuto di non aver mai digerito l’etichetta di traghettatore, si è ritrovato con le chiavi in mano. Di una squadra che, ha dichiarato lui stesso di recente, non è mai stata pensata o costruita per lui.
Il peccato originale resta quello: aver confermato chi doveva andare via, sin dall’inizio. Patti chiari e amicizia lunga, si dice. E invece no. Risultati a parte, tra Thiago e Igor c’è sempre stata una grossa differenza di fondo: un progetto, un percorso, un’idea. Con l’ex Bologna in panchina era chiaro dove la Juve volesse andare: non ci è riuscita, è inciampata, forse era giusto separarsi. Ma l’idea di fondo c’era. Con Tudor, nulla di tutto questo: mica per mancanza di rispetto nei suoi confronti, ma era arrivato per aggiustare e si è guadagnato la conferma per costruire. Una squadra, giova ripetersi, non sua. Quando ha iniziato a sbandare, e si è creata qualche crepa nello spogliatoio, il terreno sotto la sua panchina si è rivelato d’argilla: la sua avventura, in fin dei conti, non aveva grosse radici.
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