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L'anticipo di Galli - L'insostenibile pericolosità dell'alibiTUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:00Editoriale
di Filippo Galli
per Milannews.it

L'anticipo di Galli - L'insostenibile pericolosità dell'alibi

Non so se si tratti di un gioco delle parti, di una comunicazione non idonea o di limiti di budget, sta di fatto che nelle ultime settimane abbiamo visto sfuggire alcuni nuovi acquisti che sembravano già essere a Milanello a disposizione di mister Allegri. In un caso, addirittura, il Milan è sembrato sbeffeggiato da un tecnico non particolarmente amato (Mourinho), dall’agente del giocatore e dal giocatore stesso, tale Archie Brown, che con tutto il rispetto non è una superstar, salito sul jet privato di un club turco invece che su quello del club con le sette Champions sulla manica.

La recente presentazione di Luka Modric (lui sì, un giocatore di primissima fascia, anche se non nel suo prime) non è sufficiente a placare il malcontento e la delusione. D’accordo. Siamo tutti consapevoli che il potere d’acquisto, non solo del Milan ma di tutto il sistema calcio italiano, sia inferiore rispetto, ad esempio, a quello dei club inglesi (per non parlare di quello del mondo arabo)ma, francamente, fatico a comprendere come squadre appartenenti a campionati che non siano quelli delle migliori cinque leghe europee, costituiscano una meta più ambita della nostra serie A e in particolare di un club glorioso come il nostro, con una bacheca infinita di trofei, con uno stadio e una tifoseria da brividi. Ora, però, facciamo un passo avanti: perché, come cercherò di spiegarvi nelle prossime righe, la china degli alibi è molto pericolosa. E proviamo almeno a capire cosa si possa fare nel nostro contesto: focalizzandoci sul presente, con uno sguardo al futuro ma anche con la volontà di capire cosa, nel passato non così lontano, ci ha resi un Club straordinario.

E a farlo non devono essere solo società e management, istituzioni e politica (che pure hanno tanto lavoro da fare), ma anche loro, i principali protagonisti dello spettacolo, coloro a cui i tifosi chiedono prestazioni e risultati: i calciatori. Perché qui sta il punto. Se continuiamo a costruire intorno a loro l’alibi di una società “inesistente”, se continuiamo a rimpiangere la presenza di Paolo Maldini, allontanato troppo in fretta da questa proprietà (vero), se continuiamo a dire “manca una punta, manca un terzino”, sapete che cosa succede? Che costruiamo intorno ai nostri giocatori una rete di protezione, una ragnatela di alibi che li avvolge, una mancata presa di coscienza e di – passatemi il maiuscolo per una volta – RESPONSABILITÀ: con la conseguenza che non riescano a liberare tutto il loro potenziale, che vale certamente più dell’ottavo posto della scorsa stagione.

In passato ci sono stati momenti difficili, divisivi, anche quando squadra, società e tifosi si sentivano un tutt’uno. Ne ho vissuti anch’io, da calciatore di un Milan a lungo molto forte. Tutto ciò che di negativo ci accadeva intorno ci aiutava a compattarci, a metterci, se possibile, qualcosa in più. Non so se si chiamasse senso di appartenenza, attaccamento alla maglia (c’erano più giocatori cresciuti in casa): sta di fatto che le avversità ci regalavano nuove energie, nuove sfide, nuovi obiettivi da raggiungere. E non parlo solo della golden era berlusconiana, in cui “gli arabi eravamo noi”, come ama dire Adriano Galliani, ma anche negli anni precedenti, quando il valore qualitativo della rosa non era così elevato. Riuscivamo a trovare motivazioni, a dare ognuno il meglio di sé, per sé e per la squadra, in campo, negli allenamenti e nelle partite, e fuori dal campo. Sì, anche fuori dal campo. E no, non eravamo degli scolaretti ubbidienti: c’era più di qualche tipetto che definirei bizzarro (e per fortuna non c’erano i social ad amplificare tutto), ma nel flusso positivo del gruppo tutto si sistemava, tutto scorreva nella giusta direzione e se la squadra poteva dare cento, dava cento più uno. 

Non è e non era necessario essere amici: ciò che contava era essere professionali, era sentirsi la maglia addosso con le responsabilità che ne derivano, era fare in modo che l’obiettivo personale non andasse contro quello della squadra e viceversa, era avere in testa quanto la collaborazione, l’abnegazione potessero innalzare il proprio standard e le qualità dell’altro in un circolo virtuoso, giorno dopo giorno.

È la sola strada che conosco per esprimere tutto il potenziale a disposizione. Non è filosofia (che per altro non dovremmo disdegnare), ma è ciò a cui i giocatori dovrebbero attenersi; è ciò che possono fare di concreto per non arrivare già alla prima sosta di campionato e rimpiangere ciò che non è stato.

Per tutte queste considerazioni, che spero di avere espresso quantomeno con passione, basta con gli alibi. I giocatori che ci sono sono i giocatori del Milan: altri ne arriveranno. Ma ognuno di loro, da Modric a Bartesaghi, dal veterano al canterano, devono sentirsi il Milan. Oppure non ci sarà campagna acquisti che tenga.

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