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Il punto sulle multiproprietà nel calcio mondiale: Luciano Gaucci avanti di un ventennio...
venerdì 8 dicembre 2023, 07:30Primo Piano
di Redazione Perugia24.net
per Perugia24.net

Il punto sulle multiproprietà nel calcio mondiale: Luciano Gaucci avanti di un ventennio...

La Rivista Undici ha fatto il punto sulle multiproprietà nel calcio, facendoci capire ancora una volta che oltre 20 anni fa Luciano Gaucci era già avanti a tutti ed oggi in tanti, nel mondo, sono arrivati a vedere il calcio come lo vedeva lui allora...

Ha fatto molto discutere, negli scorsi giorni, una (mancata) norma in Premier League che avrebbe vietato i prestiti tra club con la stessa proprietà. Nel mirino il Newcastle, che dopo la squalifica di Tonali sta cercando un sostituto: si è fatto il nome di Ruben Neves, centrocampista dell’Al-Hilal, uno dei quattro club sauditi di proprietà del fondo PIF – proprietario, appunto, anche del Newcastle. Come anticipato, la proposta non è stata approvata – si dice per due soli voti – “salvando”, per il momento, le possibilità di manovra dei Magpies. Che hanno potuto contare su un buon numero di alleati: quelle società che, proprio come il Newcastle, hanno delle “consorelle” altrove.

Il caso più famoso è certamente quello del City Football Group, la galassia di club che orbitano intorno al Manchester City. Nato nel 2013, il CFG oggi annovera nel proprio portfolio dodici squadre: Manchester City, New York City, Melbourne City, Yokohama Marinos, Montevideo City Torque, Girona, Sichuan Jiuniu, Mumbai City, Lommel, Troyes, Palermo, Bahia. Anche a una rapida scorsa dei club controllati, si coglie il piglio globale che sorregge la visione del gruppo, che spazia dall’Europa al Sud America, dall’Australia agli States, dall’India al Giappone.

E ancora: in Premier ci sono legami tra Arsenal e Colorado Rapids, tra Chelsea e Strasburgo, tra Aston Villa e Vitória Guimarães, tra Brighton e Union Saint-Gilloise, tra Brentford e Midtjylland, tra Nottingham Forest e Olympiacos, tra Crystal Palace, Lione, Botafogo e Molenbeek. Anche in Italia esistono casi di questo tipo: la RedBird di Gerry Cardinale controlla Milan e Tolosa, Joey Saputo del Bologna è proprietario anche del Montréal, i Pozzo sono da tempo a capo di Udinese e Watford, il Genoa fa parte di un network che comprende, tra le altre, anche Siviglia, Vasco da Gama, Hertha Berlino. E poi c’è il caso De Laurentiis, l’ultima proprietà (dopo le cessioni recenti di Lotito e Setti) a detenere due club professionistici in Italia, Napoli e Bari.

È il sistema delle multiproprietà, un trend che, soprattutto negli ultimi anni, si sta diffondendo sempre di più. Non che decenni fa fosse un concetto inesistente: negli anni Novanta gli inglesi di ENIC, azionisti di maggioranza del Tottenham, possedevano anche Rangers, Slavia Praga, Vicenza, Aek Atene, Basilea, e ancora la Parmalat di Tanzi controllava al tempo stesso Parma e Palmeiras. Ma oggi le multiproprietà sono un sistema di business chiaro, rodato, replicabile su larga scala. Si può far risalire la nascita delle moderne multiproprietà al network Red Bull, che più di quindici anni fa avviò il proprio colossale progetto calcistico da Salisburgo, per poi espandersi negli Stati Uniti, in Germania e in Brasile.

In cinque anni, i club coinvolti in multiproprietà sono aumentati a dismisura: nel 2018 erano 81, alla fine del 2022 sono saliti a 195. Il modello Red Bull è ancora oggi il riferimento principale, per la strada che ha tracciato: diversificare le attività di business, ammortizzare eventuali perdite, accrescere la propria visibilità globale, creare occasioni di sponsorizzazione su larga scala. Chiaramente il modello comprende vantaggi anche dal punto di vista calcistico: sviluppare giocatori in-house, condividere competenze, tecniche, sanitarie, di scouting, implementare nuovi modelli e svilupparli trasversalmente. È il motivo per cui questi grandi network hanno, il più delle volte, piccole succursali che ruotano attorno a una squadra principale, rilevante. Lo stesso Red Bull, in una specie di matrioska, ha stabilito una successione gerarchica, dove dal piccolissimo Liefering si arriva al Lipsia. Giocatori di fama come Upamecano e Szoboszlai, prima del grande salto nelle big d’Europa, hanno fatto l’intera trafila, dal Liefering al Salisburgo al Lipsia.

La straordinaria crescita di multiproprietà in giro per il mondo dimostra come questo modello porti certamente dei benefici, per di più in un momento storico in cui il calcio si sta rivelando un business produttivo. Chi ha già un club di calcio, è tentato dal rilevarne un altro. Ovviamente, situazioni di questo genere mettono di fronte a problematiche nuove. Nel 2018 in Europa League si sfidarono Salisburgo e Lipsia, le “ammiraglie” del gruppo Red Bull: per evitare guai, la multinazionale ha ridotto l’esposizione della società all’interno del management del club austriaco, mascherando la proprietà da semplice sponsorizzazione. Un caso simile lo si è visto quest’anno con il Tolosa, con Cardinale e altri suoi fedelissimi che si sono dimessi dal cda del club francese per non ostacolare la partecipazione in Europa League (vista la contemporanea presenza del Milan nelle competizioni Uefa). Poi ci sono, come abbiamo visto nel caso del Newcastle, dinamiche di calciomercato che rischiano di essere alterate. Nei mesi passati, il numero uno della Uefa Ceferin ha promesso di adottare misure ad hoc: «Non dobbiamo essere contrari agli investimenti e all’emergere di multiproprietà, ma dobbiamo capire che genere di regole fissare, perché siano il più possibile stringenti».



Il futuro sembra essere delle multiproprietà. Con un grande punto di domanda: un conto è l’emergere di network intercontinentali che aiutano la diffusione di know-how e modelli di gioco, un altro è il rischio di veder sorgere multiproprietà somiglianti a veri e propri monopoli. Il caso del Newcastle dice qualcosa di più di altri gruppi: c’è un fondo ricchissimo, con una disponibilità economica praticamente illimitata, che in pratica controlla un intero campionato nazionale – che quest’anno ha “saccheggiato” il mercato europeo – e una squadra in ascesa in Inghilterra ed Europa. Lo stesso City Football Group arriva dai Paesi arabi, anche se al momento la visione del network ha una matrice più calcistica che economica. E all’orizzonte si profila anche il Qatar Sports Investments, proprietario del Psg: lo scorso anno ha acquistato il 21,6 per cento delle quote del Braga, ma il fondo aveva espresso interesse per rilevare il Manchester United. Senza regole chiare e norme definite, il calcio sarà sempre di più in mano a pochi?

LA SCUOLA RED BULL

L’idea della condivisione di un dna calcistico è alla base del modello Red Bull, al punto che i vari club del network hanno prodotto un buon numero di allenatori che, nel corso degli anni, si sono avvicendati in giro per l’Europa. Il dato più interessante è che ciascuno dei cinque top campionati europei ha avuto almeno un tecnico passato dalla filiera Red Bull: in Italia c’è stato Alexander Blessin, anche se l’esperienza al Genoa non si è rivelata proprio felicissima. Ovviamente in Germania gli esempi sono tantissimi, pure in Nazionale con Nagelsmann; fino all’anno scorso in Premier c’era Ralph Hasenhüttl, in Spagna è transitato Óscar García, in Francia da quest’anno c’è Adi Hütter al Monaco.

PERCHÈ TUTTI VOGLIONO SQUADRE BELGA

Il Cercle Brugge di Dmitry Rybolovlev, numero uno del Monaco; il Leuven con la stessa proprietà del Leicester; il Molenbeek, come detto, dello stesso proprietario del Crystal Palace, come l’Union Saint-Gilloise condivide quello del Brighton; lo Standard Liegi è di 777 Partners, come il Genoa; l’Eupen è di proprietà qatariota, il Lommel è uno dei club del City Football Group. Perché così tante multiproprietà hanno squadre in Belgio? Il motivo è da ricercarsi nelle regole di tesseramento dei calciatori extracomunitari, che nel Paese sono molto meno stringenti che altrove. Nelle prime due divisioni non ci sono limiti per stranieri ed extracomunitari, che così possono giocare, fare esperienza, misurarsi con un torneo europeo. Al tempo stesso, guadagnano i requisiti necessari per ottenere il permesso di lavoro anche in altri Paesi. È quello che ha fatto, per esempio, il Brighton con il giapponese Kaoru Mitoma: dopo un anno all’Union Saint-Gilloise, squadra della stessa proprietà, è sbarcato in Premier.

NUOVE POSSIBILITÀ DI TIFO?

John Textor, a capo di Botafogo, Crystal Palace, Lione e Molenbeek, crede che la multiproprietà possa fornire ai tifosi di un club la possibilità di tifare anche per le altre squadre del gruppo: «È qualcosa a cui stiamo già assistendo», ha detto al Guardian. «Le partite del Molenbeek ora sono trasmesse anche in Brasile, e ci sono 300mila persone che le guardano su Youtube». Ferran Soriano, deus ex machina del City Football Group, aveva avuto l’idea di un club gemello negli States già quando era a Barcellona, approfittando della grande popolarità dei blaugrana Oltreoceano. L’idea di una franchigia a New York che riprendesse nome e colori del Manchester City deriva in gran parte da quest’esigenza – creare un rapporto di fidelizzazione tra tutti i club del network. Le multiproprietà cambieranno persino le dinamiche del tifo?