Nella Roma non c'è calcio
“Non potremmo essere più felici di costruire un progetto a lungo termine con Daniele”. Cinque mesi fa esatti i Friedkin non solo confermavano Daniele De Rossi ufficialmente sulla panchina della Roma, ma si dicevano, appunto, entusiasti di poter avviare una nuova strada, dopo quella conclusa in malo modo con Mourinho. Un entusiasmo che si è apparentemente dissolto in appena 153 giorni, al termine dei quali l’ormai ex tecnico della Roma è stato (nuovamente) mandato via da Trigoria con uno scarno comunicato.
È quindi difficile pensare, oggi, che quelle parole del 18 aprile scorso corrispondessero alle reali sensazioni della proprietà e della dirigenza, perché del concetto di “progetto a lungo termine” poco, adesso nulla, è stato reso un fatto. Una sessione di mercato iniziata in ritardo per il lento reperimento di un direttore sportivo (che non è un direttore sportivo nelle cariche dirigenziali) e conclusa anche oltre il termine standard per completare la rosa con due svincolati e cercare di ottenere risorse da una cessione poi non concretizzata: di fatto, mettendoci anche la sosta per le nazionali, De Rossi ha avuto la rosa definitiva a disposizione per la prima volta lo scorso 12 settembre, e non era neanche completa visto l’infortunio nel frattempo occorso a Enzo Le Fée. Il famoso “progetto a lungo termine” non è durato neanche le famigerate quattro giornate di campionato disputate fin qui, ma appena 6 giorni effettivi di lavoro in condizioni (quasi) ottimali, al termine dei quali si è deciso che l’allenatore a cui era stato fatto firmare un ricco triennale non fosse più adatto a portare avanti quel progetto.
Un insieme di cose, ancora, difficili da credere anche per chi le sta scrivendo, con fresca ancora la memoria di una partita, quella col Genoa, decisa, di fatto, da un non fischio arbitrale, e quindi da un agente esterno alla squadra e all’allenatore: se Giua avesse fatto il suo dovere oggi De Rossi sarebbe ancora qui, magari atteso al varco al prossimo inciampo? Una domanda che prevede due opzioni di risposta, che porterebbero entrambe alla conclusione che nessuna progettualità ha guidato quanto portato avanti dal 18 aprile scorso a oggi. È chiaro che nella decisione di esonerare Daniele De Rossi il 18 settembre di calcio non ci sia nulla, e questo tende a essere un problema (eufemismo) per una società di calcio: bisogna iniziare allora a valutare altro, tra dinamiche interne di una società che - legittimamente - non comunica quasi nulla e da leggere quindi dagli spifferi che escono da Trigoria, procuratori con diversi assistiti sotto contratto e che ora ne hanno uno in più e una serie di scelte che hanno eroso quasi del tutto il credito che questa proprietà aveva acquisito nei confronti dei tifosi a colpi di immissioni di denaro e di mosse estremamente popolari, che, come ogni rimedio rapido, hanno finito per rivoltarsi contro.
Il fatto paradossale è che se oggi ci si chiede “cosa è rimasto alla Roma?”, la risposta ha il nome e cognome di Ivan Juric, allenatore ormai navigato ma che mai ha allenato a questo livello e in questi contesti e oggi figura con al suo interno più calcio dentro la società. È incredibile vedere scarsissime prospettive in una stagione a cui mancano almeno altre 34 partite di campionato, 8 di Europa League e 1 di Coppa Italia per completarsi: dal progetto a lungo termine si è passati a fare la conta delle risorse e accorgersi che non c’è più molto a cui attingere. E, tra le varie domande che sono state poste, ne aggiungiamo una, l’ultima: sapremo mai il vero perché di tutto questo?