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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Valentino Mazzola e gli eroi immortaliTUTTO mercato WEB
martedì 24 marzo 2020, 01:05Serie A
di Marco Conterio

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Valentino Mazzola e gli eroi immortali

#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
Quindici, diciotto. Solo che poi viene il diciannove, nel caso specifico l'anno dello scorso millennio. Che, dopo la Grande Guerra, è un anno segnato da un crescente senso di libertà, ma pure di lutto, dopo tutti i morti che questo mondo infame s'era portato via. Diamo le coordinate. In italia esce il primo numero de L'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Don Luigi Sturzo fonda il Partito Popolare Italiano, si costutuisce l'Associazione Nazionale dei Fasci Italiani di Combattimento, guidata da Benito Mussolini, entra in carica il primo governo Nitti, e D'Annunzio guida l'impresa di Fiume. L'Unione Sovietica intanto dichiara guerra alla Polonia e viene inaugurata, per volere di Lenin e Trotsky, la Terza internazionale comunista. Viene fondata la Società delle Nazioni e la Germania firma il Trattato di Versailles, addossandosi la responsabilità della guerra mondiale. A Cassano d'Adda, intanto, in una modesta dimora nella zona adiacente al Castello Visconteo "ruscètt", la signora Leonina Ratti ed il signor Alessandro Mazzola, danno alla luce quello che sarà uno dei più grandi talenti del calcio come Valentino Mazzola.

'l tulen "Al riva 'l tulen", "Al riva 'l tulen"! Ovvero "arriva quello che fa rotolare la scatola di latta". Sì, perché Valentino Mazzola, in quanto a palloni improvvisati, non faceva prigionieri. Zoccoli ai piedi, perché le scarpe costavano troppo, per il signor Alessandro e per la signora Leonina, non faceva altro. A scuola è andato fino a undici anni ma mica come ora, dove magari appena possibile i ragazzetti si dedicano subito alle carriera calcistiche. A undici anni 'l tulen fa il garzone di un fornaio e poi a quattordici entra nel Linificio di Cassano nel reparto corderia. Ah, questa segnatevela. Da bambino era juventino. Poi, l'amore di una vita, diventò il Torino. Intanto giocava, a proposito di portafogli non troppo floridi, nella squadra del quartiere, la Tresoldi. Lì, venne notato da un compaesano che lavorava come collaudatore allo stabilimento dell'Alfa Romeo di Arese, grazie al quale ottenne un posto nella squadra aziendale e un nuovo lavoro da meccanico.

L'Alfa Romeo Mazzola, l'Alfa Romeo, la scelse. Aveva pure un'offerta dal Milano, ma non ebbe dubbi. "È stato molto meglio per me -disse 'l tulen-, aver scelto l'Alfa Romeo; se fossi andato al Milano avrei percepito lo stipendio, allora assai notevole, di 100 lire mensili e non avrei lavorato. Meglio assai lavorare: con l'ozio c'era il pericolo di rovinare la mia passione, veramente sana, per il calcio e per la mia carriera". Non scordatevelo. E' il 1939. Mazzola viene chiamato in Marina, per prestare il servizio militare a Venezia. E, pare 'sponsorizzato' da un ufficiale della Marina, fece un provino con il Venezia presentandosi a piedi nudi. Ricordate le tasche della famiglia? Ecco. Non voleva sciupare le scarpette, ma comunque convinse il tecnico Girani. E già lì, in quella che era considerata la miglior squadra d'allora, venne paragonato addirittura a Meazza. Però non scordatelo. E' il 1939. Mussolini firma il Patto d'Acciaio con Hitler mentre Winston Churchill dichiara guerra alla Germania. E' il 1939. Ed il mondo è in guerra.

20 settembre 1942. Baldi, Mazzola, Gabetto per tre volte, un autogol di Brandi ed ancora Mazzola. Ah, quasi dimenticavo, particolare di non poco conto. Valentino Mazzola viene acquistato dal Torino per un milione e 250mila lire nel luglio del 1942 e nella gara d'esordio guida i granata nella vittoria per 7-0 contro la povera Anconitana Bianchi. Dal Venezia, con lui, anche Ezio Loik, con cui Mazzola giocò nove anni consecutivi, tra Venezia, Torino e Nazionale. Una coppia formidabile, 10 e 8 del sistema. Grazie alle sue reti, pure quella decisiva a quattro minuti dalla fine del campionato contro il Bari, il Torino è la prima della storia italiana a vincere il double Campionato-Coppa Italia. Però la Guerra era in pieno svolgimento e di giocare il campionato non era proprio il caso. Ci fu un campionato dell'Italia settentrionale, il Torino prese il nome di FIAT. Lo Scudetto andò ai Vigili del Fuoco La Spezia ma in quegli anni il calcio non c'era. Era solo parentesi, anche la Nazionale era ferma da due anni, perché in fondo non c'era una Nazionale. Non c'era l'Italia, ma solo polvere e macerie.


Il quarto d'ora Granata Il quarto d'ora più famoso della storia del calcio si chiama 'quarto d'ora Granata'. Nacque in occasione della gara contro la Roma, finita per 7-0 e funzionava così. se in un dato momento della partita il risultato non si era ancora sbloccato, o peggio il Torino era in svantaggio, il capitano Valentino Mazzola guardava la tribuna, e con un cenno invitava Oreste Bolmida, il trombettiere dello stadio Filadelfia, a suonare la carica. Il segnale erano le maniche della maglia granata che Mazzola si tirava su. Da quel momento non ce n'era più per nessuno: nel giro di un quarto d'ora il Torino ribaltava il risultato, segnando due, tre, addirittura sette gol. Altri tempi, altri giocatori, altra storia. Ecco, con questo, Mazzola segna pure tre reti in tre minuti a Romano del Vicenza e continua a guidare il Torino ad un trionfo dopo l'altro. Quattro Scudetti consecutivi e, soprattutto, un fortino insuperabile. Il Filadelfia.

L'Italia siamo noi Raccontare la storia di Valentino Mazzola è raccontare la storia d'Italia. E dell'Italia. Vittorio Pozzo lo convoca nel 1942 per la prima volta, poi dopo la guerra in azzurro guida una Nazionale che schiera, l'11 maggio del 1947, ben 10 giocatori su 11 del Grande Torino. E le gesta di Mazzola sono così popolari, quel Torino è così Grande, che le sue gesta non si fermano mica solo ai confini nostrani. La Guerra è finita, i confini sono riaperti. Si può tornare a giocare a pallone e pure in Brasile l'eco di quel 10 che si rimboccava le maniche, nel quarto d'ora granata, arrivano forti. Tanto che Josè Altafini, che poi da noi sarà grande, grandissimo, in patria viene soprannominato semplicemente 'Mazola', alla brasiliana. Col Torino vince cinque scudetti di fila, con l'Italia gioca 12 incontri: 9 vittorie, un pareggio e 2 sconfitte, e quattro gol. Sembrava tutto perfetto. Sembrava. Ma era impossibile immaginare, quel che sarebbe successo a Superga.

L'ultima volta Francisco Ferreira, detto Chico, era capitano del Benfica e del Portogallo. Con Mazzola si erano incontrati a Genova a fine febbraio come capitani delle rispettive Nazionali nella partita che ha visto l'Italia vincere per 4-1. Nel corso dei festeggiamenti del dopo-partita, come era prassi allora, i giocatori si erano trovati a fraternizzare tra loro, così i due capitani presero a conoscersi con interesse. Questa simpatia reciproca fa in modo che il comitato organizzativo della festa in omaggio a Ferreira (che era, appunto, un semplice omaggio sportivo e non un addio al calcio, come lo stesso Ferreira conferma in un'intervista a «Mundo Desportivo», il 29 aprile 1949, quindi tre giorni prima di quella partita[9]), prevista per il maggio di quell'anno, decida di invitare il Torino. L'invito viene accettato e il 1º maggio 1949 il Torino arriva a Lisbona per affrontare, due giorni dopo, il Benfica di Ferreira e di Rogério Pipi. La partita finisce 4-3 per i lusitani, ma il risultato poco importa. Il Torino era il Grande Torino, era Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar (Martelli), Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Ma quella, era l'ultima volta. L'ultima thule.

Il Torino non è morto Giocatori: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emilio Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Romeo Menti, Pietro Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert. Tecnici: Ernest Egri Erbstein, Leslie Lievesley, Ottavio Cortina. Dirigenti: Rinaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti. Giornalisti: Renato Casalbore, Luigi Cavallero, Renato Tosatti. Equipaggio: Pier Luigi Meroni, Cesare Biancardi, Antonio Pangrazzi, Celeste d'Inca. E poi il 10, il Capitano. Il simbolo della squadra italiana più grande di sempre. Il Grande Torino. Il grande Valentino Mazzola. Erano le ore 17.05 del 3 maggio 1949. Finiva nel modo più tragico, l'era del Grande Torino. Finiva con la tragedia di Superga, con l'aereo dei granata che si schianta sulla scarpata della Basilica. Una storia che non finirà mai. Eterna, come la leggenda del Grande Torino, come la storia, di Valentino Mazzola, che ad un'Italia con le lacrime agli occhi lasciò in eredità un altro grande, del nostro calcio, come Sandro Mazzola. E come scrisse Indro Montanelli "gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta...".