2025 chiuso senza trofei, ma da capolista: Chivu riparte dal primo posto in classifica
L’Inter chiude il 2025 senza titoli in bacheca, ma con un primato che racconta molto più di quanto sembri. La vittoria di Bergamo contro l’Atalanta non è soltanto tre punti: è una dichiarazione d’intenti, il manifesto iniziale del nuovo corso targato Cristian Chivu, chiamato a raccogliere un’eredità pesante e a ridare identità a una squadra che ha cambiato pelle senza cambiare ambizioni.
Atalanta-Inter non era più una partita “scritta”. I numeri del passato recente avevano smesso di contare già alla vigilia, perché senza Inzaghi e Gasperini il confronto diventava una terra di mezzo, avvolta dall’incertezza. Bergamo, inoltre, resta un campo che amplifica ogni difficoltà, soprattutto contro una squadra che, pur partita male con Juric, ha ritrovato solidità e convinzione sotto la guida di Palladino.
Il primo tempo è lo specchio fedele dei pregi e dei limiti dell’Inter attuale. Dominio territoriale, ritmo alto, pressione continua, ma poca cattiveria sotto porta. Occasioni costruite con qualità, un gol annullato che brucia, conclusioni che non fanno male quanto dovrebbero. È l’Inter che gioca meglio, ma non capitalizza. Un copione già visto, e proprio per questo potenzialmente pericoloso.
L’Atalanta resta aggrappata alla partita con orgoglio e con un riferimento chiaro: Scamacca. È lui il terminale emotivo e tecnico di una squadra che non rinuncia a colpire quando ne ha la possibilità, pur soffrendo a lungo. Nel secondo tempo il match si sporca, si frammenta, vive di episodi: gol annullati, errori clamorosi, occasioni divorate da entrambe le parti. È la partita delle sliding doors.
L’episodio decisivo arriva non per caso, ma per logica conseguenza della pressione interista: l’errore sanguinoso in costruzione dell’Atalanta e il gol di Lautaro, che pesa come un macigno. Non è una rete spettacolare, è una rete “da capolista”, quella che arriva quando la lucidità conta più dell’estetica.
Da lì in poi l’Inter soffre, rischia, ma non crolla. Chivu legge la gara, cambia, copre, accetta di vincere anche senza brillare. Ed è forse questo il segnale più importante. Perché chiudere l’anno in testa, in una stagione di transizione, senza trofei ma con solidità ritrovata, significa aver rimesso le basi giuste.
Non è ancora un’Inter dominante. È un’Inter che fatica, che sbaglia, ma che resiste. E che, soprattutto, riparte. Da capolista.






