Luca Percassi: "Juric, scelta condivisa. Ma il secondo tempo col Sassuolo ci ha imposto di cambiare"
Luca Percassi, intervenuto in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de L’Eco di Bergamo, ha affrontato diversi temi, tra cui l’addio a Gasperini, l’esonero di Ivan Juric e la decisione di affidare la panchina a Raffaele Palladino. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
L’esonero di Juric è arrivato come un colpo forte per l’ambiente. Che tipo di decisione è stata per voi?
«È stata una scelta umanamente dura, una delle più difficili che io abbia mai dovuto prendere da dirigente. Parliamo di un professionista serio, che ha sempre lavorato con grande impegno. Non è mai semplice interrompere un percorso dopo pochi mesi, ma ci siamo trovati dentro una situazione di difficoltà a 360 gradi e a quel punto il nostro dovere era intervenire».
Da fuori si ha la sensazione che la società si sia "esposta" come non accade spesso. È così?
«Assolutamente sì. L’Atalanta che esonera un allenatore è un evento raro: è la seconda volta in 16 stagioni che succede. Proprio per questo è giusto ribadire che la responsabilità è interamente della società. Io, in quanto amministratore delegato, mi prendo tutte le responsabilità. Da sedici anni ogni giorno prendiamo decisioni su investimenti e strategie sportive, e questa è una delle pochissime volte in cui abbiamo ritenuto necessario cambiare la guida tecnica».
Perché avete deciso di intervenire adesso e non a giugno, quando già allora il ballottaggio era tra Juric e Palladino?
«In Champions la squadra ha avuto un buon rendimento e, se guardiamo alle prestazioni, probabilmente ci mancano due punti con lo Slavia. Il problema è stato il campionato: nell’ultimo mese non erano i risultati in sé a preoccuparci, ma il trend delle prestazioni. Già a Cremona avevamo avuto segnali che non ci erano piaciuti, poi sono arrivate Udine e soprattutto la gara in casa contro il Sassuolo, davanti alla nostra gente. Quella non è stata un’Atalanta riconoscibile, ce ne scusiamo. È lì che si è chiuso un cerchio».
Juric sosteneva che la squadra stesse comunque giocando bene. Vi ci ritrovate in questa lettura?
«Fino a un certo punto sì. C’è stato un periodo in cui la prestazione c’era, poi qualcosa ha iniziato a mancare. Quando parliamo di prestazione, per noi la prima cosa è l’atteggiamento. Le partite si possono vincere, pareggiare o perdere, ma una cosa l’Atalanta non può permettersi: scendere in campo senza l’atteggiamento giusto. Negli ultimi tempi questo aspetto non è sempre stato all’altezza di ciò che pretendiamo».
Torniamo all’estate: avete incontrato sei allenatori e alla fine il ballottaggio è stato tra Juric e Palladino. Perché avete scelto Juric?
«La scelta è stata molto ponderata. Ci siamo trovati all’improvviso nella necessità di cercare un nuovo allenatore, una situazione che non ci aspettavamo fino a poche settimane prima. Siamo andati su Juric perché il nostro direttore sportivo, Tony D’Amico, lo conosceva bene e con lui aveva già lavorato. Tony è qui da quattro anni e sta facendo un lavoro eccellente: questo rapporto è stato un fattore importante. Ma ci tengo a dirlo: è stata una decisione condivisa da tutte le componenti della società. Nessuno ha “imposto” Juric, è stato scelto da tutti dopo i colloqui».
Ha parlato di una scelta “inaspettata” per il nuovo allenatore. In che senso?
«Perché fino a pochissimo tempo prima eravamo convinti che saremmo andati avanti con Gasperini. Con lui il dialogo sul contratto e sulla costruzione della squadra è proseguito per tutto l’ultimo mese di campionato: nulla lasciava immaginare una separazione. Solo il martedì successivo all’ultima partita contro il Parma abbiamo appreso la sua volontà di chiudere l’esperienza a Bergamo. Prima, tutto lasciava presupporre che si sarebbe proseguito insieme, come nei nove anni precedenti. Solo in quel momento abbiamo iniziato a muoverci per individuare un nuovo tecnico».
Immaginavate che voltare pagina dopo Gasperini sarebbe stato così complicato?
«Sì, su questo non avevamo dubbi. Cambiare allenatore dopo un ciclo così lungo e ricco di risultati non può essere indolore. Sapevamo fin dall’inizio che si sarebbe trattato di un cambiamento radicale e che le difficoltà sarebbero state parte del percorso».
Quando avete maturato la decisione di cambiare e tornare su Palladino?
«La scintilla finale è stato il secondo tempo contro il Sassuolo. Non tanto il risultato, ma la mancata reazione della squadra. Lì ci siamo resi conto che serviva una sterzata vera. E in quel momento ci sono tornate in mente le parole di Palladino dell’estate precedente, quando ci aveva dimostrato grande convinzione sul valore della nostra rosa. Da lì è stato naturale tornare su di lui».
Che impatto ha avuto il primo contatto con il nuovo allenatore?
«Quando ci siamo seduti a parlare, la sensazione è stata immediata. Siamo quasi coetanei, il dialogo è molto semplice e diretto. Ho la sensazione che, in cuor suo, Palladino abbia aspettato l’Atalanta: avrebbe potuto accettare altre proposte, ma ha scelto di aspettare questa opportunità. E questo per noi è un segnale importante».
La chiusura del capitolo Juric e l’apertura dell’era Palladino raccontano una società che non ha paura di prendersi responsabilità pesanti pur di proteggere un’identità costruita in sedici anni di lavoro. Adesso la parola passa al campo: la pagina è stata strappata, ma la storia è ancora tutta da scrivere.
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