Sotto il segno degli USA, ma con due fusi orari diversi: Bergamo insegna, Milano rincorre
Quando stasera le luci della New Balance Arena illumineranno il rettangolo verde, non andrà in scena soltanto una sfida tra due compagini di vertice, ma un confronto ideologico tra due modi di intendere l'impresa calcio nell'era della globalizzazione. Da una parte la provincia che si è fatta metropoli finanziaria, dall'altra il gigante che cerca di risanare le proprie fondamenta. Sotto l'egida comune della bandiera a stelle e strisce, Atalanta e Inter si specchiano scoprendo similitudini nella governance ma profonde differenze nella maturità progettuale. Semplicemente, la Dea è avanti: un passo temporale che non si misura in punti in classifica, ma in visione strutturale e solidità patrimoniale.
IL PARADOSSO DEL CEMENTO E DEI CONTI – La distanza siderale tra i due club si misura innanzitutto nel rapporto con la propria casa. Mentre a Milano si è appena celebrata la firma del rogito con l'orizzonte, ancora nebuloso, di un nuovo impianto pronto forse per il 2031, a Bergamo il futuro è già "hic et nunc". La ristrutturazione completata nel 2024 è il sigillo su un percorso iniziato con l'acquisto dello stadio nel 2017: programmazione contro intenzioni. Anche nei bilanci, la narrazione diverge. L'Inter di Beppe Marotta e del fondo Oaktree celebra con legittimo orgoglio il ritorno all'utile (35 milioni) dopo un triennio horribilis costato quasi mezzo miliardo di perdite sotto la gestione Zhang; per l'Atalanta dei Percassi e di Stephen Pagliuca, chiudere in verde è invece una dolce consuetudine che dura da quasi un decennio. Certo, i nerazzurri di Milano fatturano cifre monstre (546 milioni, record assoluto) trainati da un brand globale e dalle notti di Champions, ma la Dea ha tracciato la rotta della sostenibilità ben prima che diventasse una moda imposta dalla necessità.
INVESTIMENTI: QUANDO LA PROVINCIA SPENDE PIÙ DELLA METROPOLI – C'è un dato che, più di ogni altro, fotografa il ribaltamento delle gerarchie economiche sostanziali - analizza i dati nello specifico La Gazzetta dello Sport -. Nell'ultimo esercizio, l'Atalanta ha superato l'Inter alla voce ammortamenti (68 milioni contro 61), sintomo inequivocabile di una potenza di fuoco sul mercato che non conosce freni. Mentre a Milano si operava con la forbice della *spending review*, tagliando il monte ingaggi a 219 milioni, a Zingonia si alzava l'asticella degli stipendi (113 milioni) e si investivano 133 milioni in una sola estate. Gli acquisti di profili come Mateo Retegui (25 milioni), Raoul Bellanova (24), Lazar Samardzic (22) e Odilon Kossounou (19) certificano che il club orobico non è più un laboratorio di scommesse, ma una potenza capace di mobilitare mezzo miliardo nel quinquennio.
L'ALCHIMIA PERFETTA DEL TRADING – Come può una realtà dai ricavi strutturali inferiori (199 milioni, pur sempre record storico) permettersi di spendere quanto e più delle big? La risposta risiede in quel "ciclo virtuoso" che a Bergamo hanno elevato ad arte. La capacità di generare cassa attraverso il *player trading* è il motore immobile che finanzia l'ambizione. Ogni investimento è calcolato per trasformarsi in oro: l'operazione Retegui, venduto a peso d'oro appena dodici mesi dopo l'acquisto con una plusvalenza monstre di 41 milioni già iscritta a bilancio 2025-26, è l'ennesima prova di forza di un meccanismo perfetto. Oaktree, fondo specializzato in asset "stressati", guarda oggi a Bergamo non come a una "provinciale", ma come al modello di business a cui l'Inter, pur nella sua grandezza, deve necessariamente aspirare.
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