
Una sconfitta pesante e con colpe che arrivano da lontano
Per un club con ambizioni importanti come l’Inter perdere con una squadra fisica, solida e discretamente compatta, in casa (anche se senza tifo), alla seconda di campionato, è un fatto sportivamente grave e con molte implicazioni.
La sconfitta ha gli stessi crismi di altre delusioni avvenute la scorsa stagione, perché quando ci si trova con gli stessi giocatori e un assetto tattico simile, si ripetono i medesimi errori e si hanno le stesse qualità.
Se fosse scesa in campo una squadra nuova, che faticava a trovare le distanze o a conoscersi, sarebbe stato duro da digerire ma comprensibile. L’undici titolare invece è praticamente identico a quello dello scorso anno e non essere riusciti a rimontare una squadra non trascendentale come l’Udinese, con tutto un tempo a disposizione, porta delle indicazioni piuttosto sconfortanti.
La partita ha messo a nudo l’impossibilità attuale di far giocare insieme Calhanoglu e Sucic, perchè per caratteristiche e posizioni che occupano in campo, indeboliscono le caratteristiche di entrambi e infatti il croato ha sbagliato tantissimi palloni.
La squadra è parsa confusa e senza una leadership, nonostante la consueta generosità di Barella, e anche in questa occasione è andata a sbattere contro un muro.
La società è tetragona all’acquisto di un un trequartista o un giocatore in grado di saltare l'uomo e, in una partita simile a quella che l'Inter aveva già disputato l'anno scorso, trovando una formazione arroccata, chiusa e solida è andata puntualmente in crisi.
Il segreto di Pulcinella è che rivedremo questo tipo di partita altre volte e ci arrabbieremo più o meno per le stesse ragioni, perché il club ha pensato che qualche ritocco giovane fosse meglio di due acquisti da 50 milioni.
Veniamo proprio alla campagna acquisti con questa premessa: il rapporto tra una tifoseria, oltretutto vasta come quella nerazzurra, è una società è complicato perché non si basa su un rapporto professionale, non è una relazione sociale tra più persone che collaborano o sono amiche. E’ una dinamica fondata sull’appartenenza astratta e simbolica ad una squadra che ha una storia e una tradizione ed è l’unico elemento di continuità di qualsiasi squadra al mondo. Il fatto che proprietà e dirigenti mutino nel tempo lascia sempre un senso di frastornamento e speranza, perché l’Inter ha un legame affettivo con chi la supporta e se qualcuno, per quanto bravo, fa qualcosa di poco comprensibile, si muove un’inquietudine quasi solida e decisamente percepibile.
E’ quello che sta accadendo in questo periodo, nonostante dal 2021, dunque in soli quattro anni, siano arrivati due scudetti, due coppe Italia, tre supercoppe e due finali di Champions, più una finale di Europa League se contiamo quella ottenuta due anni prima.
Il fatto che le finali non siano state vinte e che gli scudetti siano stati smarriti per dettagli, superficialità e fattori esterni, ha creato un effetto inverso.
In molti c’è più la rabbia per quello che si è perso che per i titoli ottenuti. E’ una questione di percezione, del tutto inadeguata e ingiusta per definizione, eppure è quella che regola i rapporti.
Il mercato dell’Inter questa sera si chiuderà, presumibilmente senza ulteriori colpi, sia per tempistiche che per precise scelte della proprietà. I tifosi nerazzurri, a occhio, sono rimasti particolarmente male. In tre mesi hanno visto tre acquisti importanti (Leoni, Lookman e Konè) reclamizzati dalla stampa e qualche dichiarazione e terminati tutti senza esito.
Complessivamente il club ha speso 91 milioni e ne ha incassati 45, con la cessione di Taremi. La cifra spesa, così come quella incassata non è equivalente alle ambizioni che l’Inter dichiara di avere, ma è proprio questo il punto. Non si può giudicare le mosse di mercato dell’Inter parametrandole alle altre realtà, semplicemente perché tra tutte è quella che viene dal debito più importante, lo sta sta gestendo riuscendo a coniugare le richieste della Uefa, diminuendo sensibilmente il passivo e mantenendo la squadra competitiva. Questa stagione però la nuova proprietà Oaktree ha inciso profondamente nella libertà d’azione della dirigenza e ha espressamente chiesto di ringiovanire la rosa. Detto, fatto.
Resta però quel disappunto per lo strano modo con cui l’Inter ha perso gli obiettivi e la scelta di non comprare nessun nuovo difensore, lasciando il reparto senza un nuovo innesto. Il club risponde che la dimostrazione di forza viene dalla permanenza di tutti i giocatori più forti e c’è da andargli dietro, se è vero che dopo il Mondiale per club sembrava che dovesse esserci una diaspora di proporzioni clamorose.
Invece Calhanoglu, Thuram, Dumfries ecc. sono tutti rimasti, al netto di un lavoro di cucitura perfettamente eseguito dalla dirigenza, con la complicità dei diretti interessati.
Se però il risultato di questo grande lavoro di conservazione porta a questo tipo di prestazioni, dobbiamo sperare di non avere rimpianti per la mancata rivoluzione di questa estate.






