Meno male che c’è Del Piero…!
Sarebbe fin troppo facile sguainare una discreta penna e delineare le asperità di un tunnel nero nel quale si imbatte la Juventus in ogni partita che tenta di giocare. Nulla c’è ormai del luminoso bianconero che fu. Che non mi venissero a dire che è stata pareggiata col Bologna una partita ormai persa; di queste frasi se ne possono sentire una all’anno, non quante sono le giornate di un campionato! Sarebbe troppo facile scrivere di brutture di campo e di società: milioni di tifosi ormai hanno contezza e chiarezza di quello che manca, di ciò che si sarebbe dovuto fare e forse di quanto è necessario fare. Ma purtroppo fino a quando sono soltanto i milioni di tifosi, nulla si muoverà. Dovranno essere quei tre o quattro che hanno le redini in mano a farlo, in quanto competenti, tecnicamente ed economicamente. Lo vogliono fare? Lo possono fare? Sinceramente non lo so più; so soltanto che dovranno farlo in fretta se non vogliono vedere una Juventus non vittoriosa, bensì inutilmente “pareggiosa”, risucchiata in una modesta classifica italiana per gli anni a venire. Sarebbe troppo facile scriverne ancora di tristezze, e allora complichiamoci la vita e verghiamo il foglio di bellezze, di desideri e di speranze, proprio in questo santo giorno dedicato all’Immacolata e all’allestimento dell’albero di Natale. L’abete luminoso e colorato, protagonista delle nostre case, i cui veri addobbi, imprescindibili per aprire le porte alla felicità, sono i sorrisi che avete ora intorno di chi vi ama e gli sguardi dolci e indelebili di una cagnolina.
Sono trascorsi trent’anni, ma sappiamo bene che un’opera d’arte è senza tempo, come un’emozione. Quell’attimo è presente oggi e lo sarà domani e sempre, perché creato da un genio: fu il punto nel quale il tempo toccò l’eternità. Era il pomeriggio del 4 dicembre 1994, allo stadio Delle Alpi la Juventus alle prese con una indomita Fiorentina riesce grazie a capitan Vialli a rimettere in parità un incontro che sembrava perso. Un due a due che avrebbe comunque allontanato i bianconeri dalla testa della classifica. Al minuto ottantasette, dalla linea mediana parte una lunga palombella, sospinta da Zefiro, il vento caldo dell’ovest che annuncia la primavera. Il lancio è lento: impossibile pensare di calciare il pallone al volo dando forza a un’eventuale conclusione. Chiunque andrebbe a impattare con il mancino, ma il destinatario stupisce tutti: con un movimento innaturale, divino, colpisce al volo con l’esterno destro. Un’immagine che andava oltre ogni imitazione del passato: la sua figura brillava di una forza intensa e pareva posseduta da una tensione interna, mai vista prima. Ne viene fuori un delizioso pallonetto, che si spegne dolcemente alle spalle dell’esterrefatto portierone viola. La partita è vinta e l’uomo del Rinascimento bianconero si mostra al mondo intero. In questo modo l’Artista, calciatore dalla leggendaria casacca bianconera impreziosita dal numero dieci, quello che sorride alla fantasia, ha raccontato il divino agli uomini. L’uomo c’è e domina. Questo, in fondo, è il Rinascimento.
Alessandro Del Piero ha rappresentato i moti dell’amor fervente d’ogni tifoso bianconero, della speranza, della soavità, della venustà, della gentilezza, del desiderio, della speranza di un domani sempre migliore, dell’ordine, della concupiscenza, della beltà universale, del desiderio, dell’avvertimento, della grandezza del tutto, esprimendo in tutti la divinità, la maestà, pur rimanendo, con la forza di un grande uomo, il classico bravo ragazzo.
Eh… quella stella fissa, quell’infinito ottantasettesimo minuto, quella pennellata michelangiolesca, oggi in questa Juventus manca. È lontana anni luce. Quelli che come me ne sono stati abbagliati, colpiti dalla sindrome di Stendhal, la cercano in ogni angolo del campo, invano. La desiderano. Infatti desiderare nel suo significato originario vuol dire “allontanarsi (de) dalle stelle (sidera)”, quindi rimanerne con la voglia, rimpiangere, ma anche cercare di riconquistare ciò che prima si aveva tra le mani; l’esatto opposto di considerare, “stare insieme (cum) alle stelle (sidera)”, meditare. Ma come mai allora nei classici desiderium è per lo più un disvalore, accoppiato alla paura (metus)? Perché la classicità iscriveva i suoi valori nel presente, mentre il desiderio, al pari della paura e anche della speranza, rimandava al futuro e cadeva al di fuori dell’autonomia del saggio, procurando inquietudine e instabilità interiore. Pensateci bene, desiderare, sperare, non è qualcosa di straordinario, o peggio, impossibile. È nel nostro cuore ciò che si desidera, è umano, appartiene alla vita, possibile. La vita oggi, a differenza di quella dei nostri padri latini, va veloce, il presente si confonde col futuro e la speranza non può che essere parte integrante intesa quale forza interiore per migliorare se stessi.
Mi inchino ai classici, ma poiché non voglio vivere con la più terribile delle sensazioni, cioè la sensazione di aver perso la speranza,
mi stringo con tutte le mie forze alla poesia e faccio miei i versi di Pablo Neruda, augurandomi che per la Juventus e per i nostri cari, emozioni e desideri siano il fulcro della loro vita:
Ti saluto, Speranza, tu che vieni da lontano
inonda col tuo canto i tristi cuori.
Tu che dai nuove ali ai sogni vecchi.
Tu che riempi l’anima di bianche illusioni.
Ti saluto, Speranza, forgerai i sogni
in quelle deserte, disilluse vite
in cui fuggì la possibilità di un futuro sorridente,
ed in quelle che sanguinano le recenti ferite.
Al tuo soffio divino fuggiranno i dolori
quale timido stormo sprovvisto di nido,
ed un’aurora radiante coi suoi bei colori
annuncerà alle anime che l’amore è venuto.
Roberto De Frede