Casarin sull'arbitro moderno: "Non più il Dio onnipotente dell’Antico Testamento"
Paolo Casarin, ex arbitro, parla a La Repubblica giudicando il ruolo odierno del direttore di gara: "Non più il Dio onnipotente dell’Antico Testamento, quel giudice remoto e a volte incomprensibile, ma una persona che vuol bene ai calciatori. Anche loro devono volergli bene, perché al comando assoluto si sostituisce il dialogo, pieno di rispetto".
L'arbitro è solo?
"Sì, ma gioca anche lui. Io in campo guardavo i piedi di Maradona, larghi e stretti nelle scarpe slacciate, e provavo a immaginare cosa avrebbe fatto. Impossibile prevederlo".
Rispondendo alla domanda sul motivo per cui l'arbitro "gioca", Casarin ha spiegato che l'arbitro è rimasto in fondo il bambino del campetto, e il suo si trovava a Mestre, vicino allo stadio. Ha raccontato che il padre era operaio ai cantieri navali di Porto Marghera e che il calcio lo aveva prima "sentito e ascoltato", poi visto con gli occhi. Inizialmente, ha detto, credeva che le persone che andavano allo stadio stessero andando a messa, definendo i due riti "mica tanto diversi". L'ex arbitro ha poi aggiunto di averne viste "di tutti i colori", ricordando un episodio a Maglie, durante la sfida contro il Brindisi, in cui gli tirarono una scarpa che gli sfiorò il viso. Casarin l'aveva raccolta e tenuta in mano mentre arbitrava, finché nell’intervallo era intervenuto il maresciallo dei carabinieri, dicendogli di consegnargliela, altrimenti gli sarebbe arrivata anche l'altra.
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