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Clemente di San Luca a TN: "Il velleitarismo di insegnare ciò che si conosce poco"
Oggi alle 15:40Esclusive
di Pierpaolo Matrone
per Tuttonapoli.net

Clemente di San Luca a TN: "Il velleitarismo di insegnare ciò che si conosce poco"

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, è intervenuto ai nostri microfoni: "1. Martedì sera siamo andati al Maradona fiduciosi, volendo guardare al bicchiere «mezzo pieno». E siamo rimasti delusi ancora una volta, constatando che s’è confermata l’incapacità di sfruttare come si deve le qualità offensive dei nostri giocatori (alcuni – Neres e Lang – impiegati, peraltro, troppo poco).’O ver’ par’ ca Pulecenell’ s’è scurdat’ comm’ se parl’ ’o napulitane. Giocando così, sarà difficile domenica venire a capo del Bologna.
Ha ragione Conte, con l’Eintracht «abbiamo dominato». Tuttavia, se «alla fine devi fare gol» e non li fai, delle due l’una: o non sei stato sufficientemente bravo per farli, o non sei stato assistito dal Kairos. Abbiamo, sì, avuto alcune occasioni, sebbene non esattamente delle vere e proprie «situazioni clamorose». Però le abbiamo avute. E non v’è dubbio che, se avessimo concretizzato quelle capitate, si sarebbe detto che il «Napoli ha fatto una grande partita». Perché il diffuso (mal) costume basa i giudizi soltanto sul risultato conseguito. E la vittoria avrebbe coperto la generalizzata insoddisfazione dei tifosi azzurri (quelli allo stadio e quelli a casa davanti alla tv).

Ora, non si può definire coerente il compiacersi e gloriarsi dei commenti benevoli quando il risultato è favorevole e, laddove non lo sia, respingere le critiche adoperando quegli argomenti concernenti il gioco che si rifiutano quando si vince non convincendo. Dunque, siamo d’accordo? Il risultato non è l’unica cosa che conta. È importante – e anzi decisivo – ragionare su come si consegue.

E allora, abbiamo fatto il terzo clean sheet consecutivo. Questo è senz’altro un bene. Significa aver ripreso un elemento indispensabile, che va assolutamente consolidato. Nondimeno, è tutto da dimostrare che la nostra ‘pericolosità’ (non messa a frutto) sia stata generata da studiati e preordinati schemi offensivi, e non da una certa qual casualità, che pur trova origine in un possesso palla preponderante e solido. Il mister, pertanto, non può polemicamente alludere, in modo negativo, al «calcio italiano, di catenaccio e di ripartenza» cui i tedeschi si sarebbero ispirati («se avessimo fatto noi una prestazione del genere in Germania»), come fosse un modo di comportarsi poco dignitoso. L’anno scorso ci abbiamo vinto il campionato. Quando sono il frutto di un sistema pensato e ben organizzato, saldezza difensiva e contropiede ben possono esprimere bellezza. Il Napoli di Mazzarri, ad esempio, era uno spettacolo. Diverso, ma non meno entusiasmante di quello di Sarri o di Spalletti.

Il punto è questo. Prendiamo atto, con soddisfazione, che Conte abbia dichiarato l’intento di voler «fare un calcio diverso», e che «lo step di crescita nostro deve essere questo quest’anno»: quello, cioè, «di proporre un calcio, che comunque sia un calcio attivo e non un calcio passivo», e nonostante le «difficoltà di giocare ogni 2-3 giorni». Registriamo, tuttavia, che, almeno allo stato (anche prima che s’infortunasse KDB), lo si vede assai poco. Ancora non sembra così nitido che «lo stiamo facendo». Forse perché i «nostri difetti» impediscono di mettere adeguatamente in luce «i nostri pregi». Fatto sta che continuiamo a veder praticato un gioco lento, asfittico, noioso. Dipende dalla non eccelsa qualità tecnica media dei nostri giocatori? A me non pare, anche se Anguissa, McFratm e Hojlund non l’hanno dimostrato, nelle chances di segnare che hanno avuto.

Pur volendo riporre piena fiducia nelle intenzioni manifestate dal mister, mi tornano a mente giovanili reminiscenze della pedagogia e dell’educazione gramsciane: i genitori devono trasmettere ai figli il loro patrimonio culturale; non possono insegnare ad essi le idee che non gli sono proprie. Certo, non devono comprimere la libertà di formazione e manifestazione del pensiero, e accettare il loro emanciparsi affrancandosi dal magistero ricevuto. Ma è questo che i genitori devono esercitare, senza relativismi equivoci. Mi direte, cosa c’entra? Ebbene, io mi chiedo: può un condottiero insegnare alle sue truppe con profitto una strategia che quasi mai ha praticato? Naturalmente posso sbagliare, ma credo che, per quanto lo si possa studiare, sia difficile istruire su ciò che non appartiene (almeno non del tutto) al proprio bagaglio.

E la cosa si fa ancor più preoccupante laddove mostra di non conoscere bene il contesto in cui opera. Riferendosi all’ambizione (che, secondo lui, «ci può essere, a parole, da parte di tutti»), può affermare che «c’è un percorso da fare, da parte di tutti» («di tutto il club», «da un punto di vista medico, da un punto di vista fisioterapico, da un punto di vista gestionale, nel recuperare i ragazzi, nel gestire ogni 2-3 giorni anche il fatto di non allenarci»). Va bene, «lo dobbiamo fare». Si deve «fare un percorso tutti insieme, non solo in campo ma anche fuori, di crescita». Ma non si può dichiarare alla leggera che «La Champions è un campionato nuovo, un campionato a parte». Come bene ha osservato Minervini, è un clamoroso svarione parlare «di un club che deve abituarsi a giocare ogni tre giorni», perché «Sono 16 anni che il Napoli sta stabilmente in Europa, è il suo habitat naturale e due anni fa si giocava l’accesso alla semifinale di Champions». Non è quindi il club, ma forse Conte al Napoli, «che deve abituarsi al doppio impegno dopo lo scorso anno in cui, eccezionalmente, la squadra era fuori dalle Coppe».

2. Un caro amico, acuto giornalista, mi ha scritto domandando perché «nella giurisdizione domestica» (intendendo quella sportiva) le norme non «prevedono delle sanzioni per i responsabili della loro mancata applicazione». Aggiungendo che «Forse la vera rivoluzione del calcio al tempo delle spa quotate in borsa potrebbe essere l’abolizione di una giurisdizione solo domestica».

Beh, sulla prima considerazione, non è tanto un fatto di mancanza di previsioni normative, quanto piuttosto di sfacciata, impudente, sfrontatezza nel non osservarle, senza che vi siano rimedi efficaci. Quanto all’auspicio, invece, la giurisdizione non è «solo domestica». Questa, infatti, è tenuta a seguire i principi e i canoni dello Stato di diritto e della legalità generale, pena l’intervento sanzionatorio della giurisdizione ordinaria, europea e nazionale. Ciò che sta progressivamente accadendo, in maniera sempre più ‘ficcante’, ad opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Autonomia, va bene. Indipendenza o sovranità, no".