Castan: "Sabatini è stato un secondo padre, Garcia veniva ogni giorno a casa mia. Spalletti mi disse che ero da Frosinone"
Leandro Castan ha militato nella Roma dal 2012 al 2018, compresi i prestiti alla Sampdoria, al Torino e al Cagliari. Il brasiliano si è raccontato in un'intervista a La Gazzetta dello Sport, di cui proponiamo uno stralcio.
La fine della sua carriera ha coordinate ben precise: era il 13 settembre del 2014, la Roma giocava in casa dell’Empoli. Maicon si accorse che qualcosa non andava...
«In quei 15’ è finito tutto. Maicon andò da Garcia e disse "Leo sta male, cambialo". Sono uscito dal campo e non sono più rientrato. Il giorno dopo mi sono svegliato con un mal di testa particolarmente acuto, sono andato in ospedale e ho fatto una risonanza. Il corpo non rispondeva più, ho avuto paura di morire».
Dopo una lunga riabilitazione ha poi provato a rientrare. Ma non è stato facile. Ha come avuto la sensazione che il suo corpo non rispondesse più ai comandi?
«Le racconto questo. Ricordo alla perfezione il primo pallone su cui provai ad andare quando ripresi gli allenamenti con la Roma. Provai a stoppare ma mi passò sotto le gambe. Era come se avessi perso il controllo del mio corpo. Una sensazione tremenda.».
Alla Roma le sono stati vicini?
«Sì, tantissimo. Non posso fare altro che ringraziare il club e le persone che hanno vissuto con me quel periodo. Walter Sabatini è stato come un secondo padre, ma anche Rudi Garcia è stato fondamentale. Dopo ogni allenamento veniva a casa mia e passava mezz’ora con me. Succedeva tutti i giorni. Era il suo modo per farmi sentire parte del gruppo. Non l’ho mai detto prima, ma è una cosa che porto nel cuore».
Spalletti, invece, la mise praticamente fuori rosa dopo la partita con l'Hellas Verona...
«Mi chiamò nel suo ufficio per dirmi che voleva rilanciarmi. “Cosa devo fare per ritrovare uno dei difensori più forti del campionato”, mi chiese. All'inizio, infatti, mi diede fiducia. Poi dopo quella partita terribile contro il Verona, scelse di non farmi più giocare. Mi convocò e mi disse che sarei dovuto andare via, che il mio livello era quello di uno che poteva giocare nel Frosinone. Quindi in Serie B. Fu brutto, non tanto per la scelta ma per i modi usati. Mi sono sentito umiliato. Non credo, però, di essere l'unico ad averci discusso nel corso del tempo...».






